In realtà, i tagli boschivi finalizzati alla produzione di legna-combustibile per le centrali elettriche, perché di ciò si tratta, sono uno dei peggiori disastri ambientali in crescita negli ultimi anni.
Lo afferma chiaramente la Corte dei conti europea, nella sua recente relazione speciale n. 21/2021 “Finanziamenti dell’UE per la biodiversità e la lotta contro i cambiamenti climatici nelle foreste dell’UE: risultati positivi ma limitati”, dove si ricorda che “le foreste assolvono una pluralità di funzioni utili a fini ambientali, economici e sociali, per cui è in corso la fissazione di limiti ecologici, ad esempio, per l’utilizzo delle foreste a scopi energetici. Le foreste possono servire da importanti pozzi di assorbimento del carbonio e aiutarci a ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici (quali incendi boschivi, nubifragi, siccità) e del calo della biodiversità, ma questo solo se sono in buone condizioni. Spetta alla Commissione europea e agli Stati membri intensificare gli sforzi per assicurare la resilienza delle foreste”.
Invece, “l’obiettivo dell’Ue di raggiungere il 20% di energia rinnovabile entro il 2020 si è tradotto in un aumento del consumo di biomassa solida per scopi energetici”.
Qui non si tratta di produrre energia da sfalci e scarti di legname, ma di far fuori – spesso illegalmente, come sta accadendo in Romania – interi boschi per ragioni puramente d’interesse economico privato.
La produzione energetica industriale da biomassa legnosa è nemica della tutela e dell’incremento di boschi e foreste, è nemica della lotta ai cambiamenti climatici: bisogna dirlo chiaramente, senza ambiguità.
Basta con gli incentivi e i sussidi pubblici alla deforestazione per produrre energia da biomassa legnosa!
Quella prodotta dalla combustione di legname è considerata un’energia rinnovabile e per questo riceve finanziamenti dell’Europa per la biodiversità e la lotta contro i cambiamenti climatici. Ma secondo il parere della Corte dei Conti Ue, la valutazione non tiene conto della deforestazione conseguente al taglio intensivo di alberi da bruciare. E sui fondi destinati al settore ha messo le mani anche la ‘Ndrangheta.(Ludovica Jona)
Attenzione a tagliare alberi per produrre energia “verde” perché potrebbe rivelarsi un boomerang: l’avvertimento arriva dalla Corte dei Conti dell’Unione europea in un rapporto che analizza i finanziamenti dell’Ue per la biodiversità e la lotta contro i cambiamenti climatici nelle foreste dei 27 Paesi membri. Il dossier evidenzia come negli ultimi anni in Europa ci sia stato un calo di valori dell’assorbimento del carbonio – precisamente del 28% tra il 2013 e il 2018 – dovuto, secondo la Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, all’aumento dei tassi di raccolta di legname. “L’obiettivo dell’Ue di raggiungere il 20% di energia rinnovabile entro il 2020 – scrive la Corte – si è tradotto in un aumento del consumo di biomassa solida per scopi energetici”. La relazione della corte dei conti giunge proprio mentre i parlamentari italiani si accingono a votare il parere al governo sul decreto di recepimento della direttiva Red II che definirà futuri incentivi alle energie rinnovabili, compresi gli impianti a biomasse forestali. Ma il testo uscito dalle commissioni congiunte Industria e Ambiente del Senato è un copia e incolla dai documenti delle lobby del settore.
Il copia e incolla del Senato dai documenti delle lobby: ignorate associazioni ambientaliste come Greenpeace Nel parere sottoposto a voto le commissioni congiunte Industria e Ambiente al Senato chiedono che il governo “valuti positivamente” il rinnovo dei sussidi agli impianti a biomasse forestali esistenti che – come la centrale del Mercure – senza il sostegno di fondi pubblici chiuderebbero. Nel parere parlamentare le commissioni hanno fatto copia e incolla dal documento presentato nei giorni scorsi in audizione dall’associazione Ebs (Energia da Biomasse Solide) che rappresenta 22 centrali elettriche alimentate a materiale legnoso, tra cui il Mercure. Si chiede di attuare la norma (“decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, 24, comma 8”) che definisce “i prezzi minimi garantiti, ovvero integrazioni dei ricavi conseguenti alla partecipazione al mercato elettrico, per la produzione da impianti a fonti rinnovabili per i quali la salvaguardia della produzione non è assicurata dalla partecipazione al mercato elettrico” per “assicurare l’esercizio economicamente conveniente degli impianti con particolare riguardo, tra altri, agli impianti alimentati da biomasse”. In sostanza si auspica che il pubblico continui a farsi carico di una fonte di energia che altrimenti non sarebbe economicamente vantaggioso produrre.
pecifica “fermo restando il requisito della sostenibilità”. Un requisito, però, difficile da accertare considerando che il 60% della legna che si brucia in Italia risulta avere origine incerta.
L’altro documento da cui le commissioni congiunte Industria e Ambiente del Senato hanno copiato nel redigere il parere al Governo è quello presentato dall’Aiel (Associazione Italiana Energie dal Legno) che rappresenta la filiera dell’energia da legno per utilizzo domestico (industria del pellet e di stufe e caldaie). Il suggerimento raccolto nel parere parlamentare riguarda l’ampliamento della portata dei generatori di calore a biomasse che possono accedere agli incentivi: “Per i generatori di calore a biomasse, i requisiti minimi per accedere agli incentivi sono riportati unicamente per generatori con potenza fino a 500 kWt – si legge in un passaggio del documento, copiato dalla memoria presentata da Aiel – È, quindi, importante inserire i requisiti minimi anche per generatori di potenza superiore, fino a 2MW termici”.
La voce che, invece, il parere del Senato non ha ascoltato è quella di associazioni ambientaliste come Greenpeace che con la pubblicazione di un rapporto, lo scorso luglio ha auspicato l’interruzione dei “sussidi nazionali che incoraggiano l’uso di biomassa legnosa e stanno causando la distruzione delle foreste europee”.
Mercato energetico drogato dai sussidi. Il caso della centrale del Mercure dove alcuni fornitori sono stati arrestati per ‘Ndrangeta La pioggia di soldi sul settore ha però attirato anche le attenzioni della malavita organizzata. Negli scorsi anni in Italia crescenti sussidi pubblici sono stati erogati per produrre energia da biomasse legnose, con un balzo del + 251% tra 2015 e 2018 (da 242 a 849 milioni di euro). Oggi molti impianti che producono energia elettrica dalle biomasse solide si sostengono solo grazie agli incentivi alle rinnovabili, alcuni dei quali sono in via di esaurimento. Tra questi, la centrale del Mercure, nel parco del Pollino, in Calabria: una capacità di 41 MegaWatt lordi di produzione di energia da biomassa e un consumo di circa 340mila tonnellate di legname l’anno. La redditività economica del Mercure è stata, per il 2016, di 49 milioni di euro, di cui ben 39 derivanti da incentivi pubblici: il dato è emerso dalla battaglia per la trasparenza condotta da Ferdinando Laghi, presidente internazionale di Isde – Medici per l’Ambiente, membro del Gufi (Gruppo Unitario Foreste Italiane) e neo-consigliere della Regione Calabria. “Questi finanziamenti, drogando la produzione di energia elettrica, hanno favorito infiltrazioni della ‘Ndrangeta nell’approvvigionamento del legname, con tagli legali e illegali”, dichiara Laghi in riferimento all’inchiesta Stige che ha portato all’arresto di alcuni esponenti di clan calabresi, che erano stati fornitori del Mercure.
Metà delle “rinnovabili” europee provengono dalla combustione di legna, ma il 14% ha origine incerta Tornando all’aspetto ambientale, almeno il 48% del materiale legnoso usato nell’Ue è consumato per la produzione di energia, secondo il Centro di ricerca comune (Jrc) della Commissione europea. Questo avviene perché “oltre la metà delle energie rinnovabili nell’Ue provengono da biomasse forestali”, spiega Giacomo Grassi, esperto del Jrc, al convegno Biomasse legnose: opportunità o problema per la mitigazione della crisi climatica recentemente organizzato dalla Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale e dal Cnr, aggiungendo che “ci sono preoccupazioni sull’impatto di questa bioenergia”. “La direttiva europea Red (Renewable Energy Directive) considera la biomassa forestale fonte di energia rinnovabile e quindi garantisce gli incentivi che sono poi concessi dai Paesi membri – ha detto Grassi – Questo spinge gli operatori economici a fare uso crescente della bioenergia forestale, stimolando la domanda di legna nel breve termine”.
Il decreto legislativo di recepimento della Direttiva Rinnovabili (Red II) – ma soprattutto i suoi decreti attuativi – saranno fondamentali per decretare il futuro delle biomasse legnose. Nello schema di decreto sottoposto a parere parlamentare si stabilisce che per ottenere gli incentivi si devono avere requisiti di sostenibilità (ad esempio il legname bruciato non deve provenire da foreste elevata biodiversità) che però vengono richiesti solo a impianti di potenza termica superiore a 20 MegaWatt (che corrisponde a una centrale di medie dimensioni) e comunque ammettendo eccezioni. Il problema – però – è che per garantire che le biomasse utilizzate siano sostenibili sarebbe necessario conoscere da dove provengono e questo non è chiaro per il 60% della legna bruciata nel nostro Paese a fini energetici.
“Non si sa bene da dove venga parte del legno che usiamo e questo è un grosso problema per le politiche sulla bioenergia”, ha detto Grassi. In Italia la percentuale di materiale legnoso di provenienza ignota sale al 60%, ha calcolato Davide Pettenella, docente del dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali dell’università Padova, intervenuto allo stesso incontro: “L’offerta della biomassa legnosa a fini energetici risulta essere 22,3 milioni di metri cubi, mentre i consumi dello stesso materiale per la produzione di energia ammontano a 50,4 milioni di metri cubi”, ha spiegato Pettenella. “C’è un gap 28 milioni di metri cubi di biomasse che non sappiamo da dove provengano. Evidentemente abbiamo una quantità molto importante di legname da prelievi forestali che non è registrata”.
L’energia da biomassa forestale è “rinnovabile perché gli alberi ricrescono”. Ma produce il 9% di tutte le emissioni Ue La biomassa forestale è stata definita fonte di energia rinnovabile dalla direttiva europea per le energie rinnovabili – la Red – del 2009 (il cui aggiornamento – la Red II – è in corso di recepimento in Italia) basandosi sulla considerazione che gli alberi ricrescono. Il presupposto – ovvero che vi sia un quasi immediato assorbimento generato dalla combustione grazie alla ricrescita delle piante – è considerato “errato nel caso delle biomassa forestale” dalla Corte dei Conti europea “perché gli alberi hanno bisogno di tempo per crescere e raggiungere la maturità e perché non tiene conto dell’assorbimento del carbonio che il terreno avrebbe generato se non fosse stato utilizzato per la produzione di biomassa”. La corte ha anche puntato il dito sul fatto che “bruciare legna per produrre energia produce generalmente più carbonio per unità di energia prodotta, rispetto alla combustione di fondi fossili”. L’energia da biomasse forestali “rappresenta il 9% di tutte le emissioni di tutti i settori nell’Ue”, ha affermato Grassi.
Questo articolo fa parte dell’inchiesta transnazionale “Subsidizing Deforestation” finanziata dal programma Investigative journalism for Europe (IJ4EU)