Spiegatemi voi dunque, in prosa o in versetti, perché il cielo è uno solo e la Terra è tutta a pezzetti
Gianni Rodari
Parole semplici – quelle di Gianni Rodari – che, come quasi sempre accade con questo straordinario intellettuale, entrano nel vivo di problemi complessi. Il cielo è uno solo e la terra è a pezzetti: perché? Purtroppo è sempre stato così e – se non smetteremo di sottovalutare la gravità del progressivo allontanamento dai principi su cui si fonda la Repubblica – il suo essere fondata sul lavoro, l’uguaglianza, la solidarietà – lo sarà sempre di più. Una lugubre frammentazione, in cui la centralità della persona umana – una premessa e una promessa dense di significati e di un dialogo imprescindibile con la partecipazione, con la rappresentanza e con la funzione delle formazioni sociali – si sta definitivamente trasformando nel suo contrario: l’individualismo ottuso. L’autonomia regionale differenziata cavalca questa deriva, la promuove e la asseconda nello stesso tempo. Dal “prima gli italiani” al “prima i veneti, i lombardi e gli emiliano romagnoli” il passo è stato brevissimo. E sappiamo che in fila, scalpitanti, pronti a esigere il proprio, ci sono i liguri, i toscani, i piemontesi; per non parlare dei friulani. A proposito di Friuli e di moltiplicazione dei particolarismi: la nuova bozza di Calderoli (quella che Salvini assicura passerà in consiglio dei ministri il 2 febbraio) prevede addirittura la possibilità per le regioni a statuto speciale e le provincie autonome di accedere a “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, come previsto dal c. 3 dell’art. 116 revisionato per le regioni a statuto ordinario, laddove quelle ottenute dalle regioni a statuto ordinario superino le loro. Di questo si parla e su questo si tratta mentre l’Italia finanzia quasi all’unanimità l’ulteriore invio di armi in Ucraina, contro la volontà del popolo sovrano e mentre il popolo sovrano stesso ne subisce le conseguenze in termini di condizioni di vita e di aumento delle diseguaglianze.
E’ tutto maledettamente semplice, tutto deve essere maledettamente semplificato: l’aspirazione principale è quella di sfrondare orpelli ed ostacoli inutili per correre più liberamente possibile la folle corsa verso un primato, il primato: quello del profitto sui bisogni delle persone; quello della conduzione solitaria di processi di cambiamento che investono la vita di donne e uomini, annullando qualsiasi spazio di discussione e di confronto; quello del privilegio del più ricco, a dispetto delle diseguaglianze che si moltiplicano nel Paese; quello dell’uomo solo al comando, il sedicente governatore ora, il futuro presidente eletto dal popolo poi, in modo che sempre più si limitino conoscenza, accesso, spazi di democrazia. Ci pensiamo noi, voi fate pure altro. Hanno talmente convinto un popolo ormai rassegnato che le cose non possano stare che così, che persino adesso – mentre il tema autonomia differenziata imperversa nel sistema di dis-informazione che tanto tenacemente ha resistito a parlarne, e solo grazie all’arrembante interventismo del ministro Calderoli lo sta facendo – non si assiste a quel rigurgito di indignazione e di attivismo che quasi inutilmente abbiamo tentato di fomentare nei 4 anni – 4 anni! – ininterrotti di una lotta che ci ha sottratto tempo, danaro, buon umore, interessi.
Perché – credete – quando si vede – come noi vediamo – che il cielo è uno solo e si assiste per decenni al fatto che i pezzetti in cui la terra è stata divisa diventano sempre più microscopici e altrettanto chiusi, respingenti, creati per forgiare menti che della competizione famelica fanno il proprio principale motivo di impegno e riflessione, allora si perde il buon umore. E ci si arrabbia.
Io sono arrabbiata. Sono arrabbiata – siamo arrabbiati – per tutto quello che l’ad comporterà, ma che non viene detto nero su bianco, in quelle lasche richieste di “maggiore autonomia” che, dal quesito referendario in Veneto nel 2017 alle bozze di intese delle 3 regioni capofila, è diventato il mantra di Zaia &C, spesso anche accompagnato dalla rassicurante considerazione che con l’ad non si sta facendo altro che mettere in atto quanto stabilito dalla Costituzione.
Sono arrabbiata perché non si alzano 1000, 10.000 voci che confutino questa affermazione blasfema. Sì, blasfema. Perché il c. 3 dell’art 116 rappresenta il ribaltamento intenzionale dei principi sanciti negli artt. 1, 2, 3, 5 della Carta.
Sono arrabbiata perché quello che Gianni Ferrara chiamò “Un manifesto di insipienza giuridica e politica”, ovvero la Riforma del Titolo V, tiene già da 22 anni in ostaggio il perseguimento dell’unica ragione per cui molti di noi hanno speso la propria vita nella militanza (ovvero la realizzazione di quei principi). E – anzi – ha consentito che già ora (ad autonomia differenziata non ancora realizzata) le diseguaglianze si siano moltiplicate; il processo di privatizzazione si sia evoluto nelle forme più sofisticate e perverse; che ben 20 materie (quelle del c. 3 dell’art 117), attualmente a potestà legislativa concorrente stato-regioni, abbiano allargato i divari nel Paese e fornito alla Corte Costituzionale un surplus di impegno per risolvere i contenziosi.
Sono arrabbiata per una classe dirigente che non consente al Sud di indignarsi come dovrebbe; che non comprende fino in fondo la propria straordinaria funzione storica, politica, culturale, che non alza la voce a sufficienza. La questione meridionale – ancora straordinariamente attuale – per anni è stata disconosciuta, al punto che la parola Mezzogiorno è stata cancellata dalla Costituzione (compariva nel c. 3 dell’art. 119 prima della Rif Tit V). Non abbiamo mai inteso – e non lo faremo mai – la nostra lotta come un conflitto tra le due parti del Paese. Siamo convinti/e che l’affossamento del Sud provocherà delle inevitabili ripercussioni sul Nord. E che la frammentazione del Paese moltiplicherà particolarismi che si riverberanno anche nelle regioni del Nord in un conflitto tra chi è più e chi è meno avvantaggiato.
Sono arrabbiata perché non è bastata la lezione del modello Lombardia – con il suo carico di morti e le sue atroci inadempienze durante il Covid – per far capire che la privatizzazione della sanità è una calamità irreversibile, che lede il diritto universale alla salute. Andrà tutto bene, si diceva. E’ andata bene per loro, che la fanno sempre franca. Le persone sono morte, loro – i “vincenti” – continuano a privatizzare. E ad esibire l’impudicizia di dire – come la Moratti, continuatrice implacabile della destrutturazione della sanità pubblica lombarda – che lei è contro l’autonomia differenziata. Uno slogan che – in questi tempi di campagna elettorale – risuona sulle bocche che non conoscono vergogna di tanti che negli anni hanno fatto di tutto, tranne che difendere l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti.
Sono arrabbiata per le donne, che – dai servizi sociali, agli asili nido – saranno le prime vittime di questa eversione dell’uguaglianza dei diritti.
Sono arrabbiata per la fine che stanno facendo i consultori in questo Paese, convertiti ad una finalità diversa da quella per cui sono stati concepiti. Sono arrabbiata per ciò che sarà della legge 194 – già tanto osteggiata – se l’indirizzo politico della regione e la potestà legislativa della regione stessa dovessero prevalere rispetto al diritto delle donne di interrompere una gravidanza, come già accade di fatto.
Sono arrabbiata perché il primo comma dell’art 33 della Costituzione – “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, un principio dell’interesse generale – sarà definitivamente cancellato nella pratica da un ufficio scolastico regionale che recluterà il personale, ne pianificherà la formazione, ingerendo su cosa, come e perché si debba insegnare. Intanto il neo-ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, anticipa l’autonomia differenziata vaneggiando di gabbie salariali (a fronte di una situazione disastrosa del lavoro nella scuola e delle scuole stesse), chiedendo salari più alti per i docenti del Nord, il cui costo della vita è più alto, e auspicando nella scuola una “relativizzazione” dei confini tra pubblico e privato, con buona pace del c 3 dell’art. 33 (Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.)
Sono arrabbiata perché il lavoro e la sua dignità – oltraggiati da decenni di politiche neoliberiste, di sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, di annullamento delle conquiste di lotte secolari – subiranno, nella migliore delle ipotesi, l’affiancamento del contratto collettivo nazionale a contratti regionali e l’intera, importantissima, partita della sicurezza sul lavoro assegnata alle regioni.
Sono arrabbiata perché Salvini parla della prima pietra del ponte sullo stretto; ma forse non ha mai fatto un viaggio in treno per raggiungere Reggio Calabria e persino Bari: viaggi della speranza. E, a proposito di viaggi della speranza, la regione Calabria devolve 77ml annui agli ospedali convenzionati accreditati privati della Lombardia, un diritto riservato solo a chi se lo può permettere. Non solo. Diversi medici di questi grandi ospedali si recano al sud presso ambulatori privati e qui visitano, arruolano pazienti che vengono poi operati nelle regioni del nord, soprattutto Lombardia e Veneto Emilia.
Sono arrabbiata, ancora, perché un bambino nato nel 2021 in provincia di Bolzano ha un’aspettativa di vita in buona salute di 67,2 anni. Mentre uno nato in Calabria di 54,2 anni. Un gap di ben 12 anni. E tra le bambine del sud il divario aumenta ancora di più, con una differenza di 15 anni, secondo quanto rilevato dalla XIII edizione dell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) 2022, dal titolo “Come stai?” di Save the Children. Come scrive Lino Patruno sulla Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì: “Se sei un bambino di Crotone corri un rischio doppio di morire nel primo anno di vita rispetto a uno di Pavia. Se sei un vecchio di Potenza non puoi essere curato come uno di Padova e muori tre anni prima. Se sei di Alessandria hai l’assistenza domiciliare e a Campobasso no. Se vai a scuola a Caserta hai un insegnante ogni venti alunni e a Modena uno ogni dieci. Se sei l’università di Foggia ti danno meno fondi di quella di Bologna. Se sei un lavoratore di Cosenza ti pagano meno di uno di Verona. Se stai a Torino hai un treno ad alta velocità ogni venti minuti con Milano e fra Bari e Napoli nessuno”. Non ci mettono di malumore questi e gli altri innumerevoli dati che testimoniano una crescita sproporzionata delle diseguaglianze in un Paese che sembra aver smarrito l’unica bussola ragionevole e legittima, quella della Costituzione? Non ci mettono di malumore i passi indietro che abbiamo fatto rispetto all’attuazione del principio di uguaglianza? E non ci mette, terribilmente, di malumore il fatto che, nonostante questo e in violazione aperta di quel principio, si punti ad un ampliamento ulteriore attraverso il provvedimento eversivo dell’AD? Oggi, lo dicevo prima, si scoprono insospettabili detrattori dell’autonomia regionale differenziata. Siamo tutte e tutti abbastanza esperti da non fidarci di quelle promesse, che rispondono esclusivamente a logiche elettoralistiche. Né possiamo affidarci alla speranza che i contrasti interni al governo siano sufficienti a placare il furore di Calderoli, la voracità di Zaia, che impudicamente parla dell’autonomia come del nuovo Rinascimento, l’opportunismo di Bonaccini, alle prese con il congresso del suo partito, la determinazione di Fontana, Giani, Cirio, Fedriga, Toti, i più accaniti. La Lega si gioca una partita fondamentale: e non a caso Calderoli aveva promesso (promessa non ancora sventata) il passaggio del ddl in consiglio dei ministri prima delle elezioni in Lombardia. Né, ancora, ci pare di poter confidare sulle prese di posizioni di Emiliano e De Luca, che abbiamo inutilmente cercato di contattare, che – pur avendo nel passato sventolate richieste di accedere al regionalismo differenziato – sembrano aver cambiato marcia. Oggi prendiamo atto della dichiarazione di Confindustria, il cui vicepresidente, Grassi – afferma: “L’Autonomia differenziata non può e non deve diventare un nuovo tema che spacca il Paese, che penalizza la crescita dell’economia e la stabilità della finanza pubblica”. Meglio tardi che mai, viene da dire.
No, dobbiamo confidare sulle nostre forze. Abbiamo davanti un futuro di iniziative da costruire insieme. Ma questo futuro sarà tale, comune e positivo, solo se ognuno di noi si impegnerà in questa lotta in modo inesausto. Tutti i soggetti che sono presenti nel Tavolo NOAD sanno che – qualsiasi sia la propria vocazione, la propria appartenenza, la propria ragione di esistere, siano essi forze sindacali, partiti politici, forze di movimento, associazioni – TUTTI siamo coinvolti, perché le 23 materie non lasciano scampo (ambiente, scuola, sanità, lavoro, infrastrutture, beni culturali) e perché a rischio è una porzione cospicua della democrazia nel Paese. Chiediamo qui ed ora di raddoppiare l’impegno, la determinazione, la circolazione di iniziative, informazioni, la prontezza e la convinzione nell’aderire alle proposte che da questa giornata verranno.
Dirò da qui parole forse dure, ma necessarie, dal momento che faccio mie le conclusioni del prof. Azzariti sul ruolo e sulle responsabilità che chi ora si trova a all’opposizione ha e non deve mai dimenticare di avere. Alle forze politiche che sono qui presenti di uscire da qualsiasi forma di ambiguità, di minuetto, di dico-non dico, di evocazione di rapporti di forza sfavorevoli. Le responsabilità di ciascuno di noi, di ciascuno di voi, sono scritte nelle ricostruzioni, nei documenti, nella nostra memoria. Inutile fingere. O si è stati da una parte o dall’altra. Questo è l’ultimo momento utile per raddrizzare la barra. Ma ci vogliono chiarezza e trasparenza. Avevo pensato di dire queste parole al cospetto di un rappresentante del PD, che aveva assicurato la propria presenza e che solo l’altro ieri ha scritto di non poter partecipare. Le dico ugualmente, nella speranza che arrivino dove devono arrivare, qui e fuori di qui. Ci vuole il coraggio di compiere scelte responsabili ed anche, in alcuni casi, il coraggio di dire: ho sbagliato. Perché siamo davanti ad uno di quei momenti che la storia giudicherà, quando e se i frutti irreversibili del tentennare e del temporeggiare si concretizzeranno; e nessuna convenienza elettorale, nessun gioco di posizionamento, potrà attenuare l’errore di aver tenuto i propri elettori e il Paese all’oscuro rispetto alla propria incoerenza, al tradimento dei propri principi costitutivi. Oggi occorre essere partigiani, nel senso etimologico del termine: dire, senza se e senza ma, da che parte si sta. Abbiamo bisogno di fatti concreti, siamo stanchi/e di attese, richieste inevase, risposte che non arrivano, di udienze da chiedere con timore e reverenza. Chiediamo ai parlamentari presenti e a coloro che sono o auspicano di entrare nelle istituzioni di diventare la nostra voce; di migliorare un rapporto di comunanza e collaborazione tra il fuori e il dentro i palazzi. E chiediamo loro di ascoltare le richieste che questa assemblea formulerà.
Ci sono in questa assemblea candidati alle elezioni regionali del Lazio. Questa non è e non può essere la vetrina di nessuno. Qui si tratta di un problema di carattere nazionale, drammatico e urgente; su questo e solo su questo vi chiediamo di intervenire.
Siamo felici di avere qui con noi una parte importantissima della Repubblica, i sindaci, ai quali rivolgeremo capillarmente, comune per comune, una richiesta di sensibilizzazione rispetto a quanto sta accadendo e a quanto potrebbe accadere. Loro sono la nostra massima possibilità di uscire dalla teoria, dalla elaborazione, per entrare direttamente nelle città, nei paesi, tra la gente, molto più di quanto non siamo riusciti a fare noi, per raccontargli ciò che non sa. Chiediamo quindi di assolvere a questo compito fondamentale. Dal canto nostro, ci mettiamo a disposizione per qualsiasi tipo di iniziativa intendano mettere in campo in questa direzione.
Il livello locale è fondamentale. Tutti e tutte noi dobbiamo potenziare la nostra articolazione: il Tavolo non può rimanere solo un’entità nazionale, ma deve il prima possibile dare luogo al progetto antico di creare comitati locali in più luoghi possibile e coordinamenti regionali. Credo che dovremmo uscire da questa bella sala di questa bella scuola, che ringraziamo, perché ci accoglie ogni volta democraticamente, con una serie di proposte e con l’energia per farle camminare. Da domani. Da subito. Raccomando quindi di mantenere gli interventi che seguiranno sul piano della propositività e del che fare futuro. Sono anni che facciamo analisi. E i nostri relatori sono stati esaustivi e chiari, come in tante altre occasioni in questi anni, e per questo li ringraziamo.
Chiediamo a tutte e tutti coloro che interverranno a nome di soggetti politici, di associazioni, di sindacati di esprimersi in merito a quanto proponiamo. Solo tenendo gli interventi strettamente legati alle proposte potremo avere contezza di quali sono i reali orientamenti di questa assemblea e desumerne un impegno collettivo e vincolante. Leggerò ora il testo della proposta che l’Esecutivo del comitato Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti propone a questa assemblea, chiedendo di esprimere la vostra opinione in merito. Così come sulle proposte che verranno dagli interventi, di cui si terrà conto necessariamente nelle conclusioni. L’assemblea nazionale del Tavolo per il NO all’Autonomia differenziata si è riunita a Roma il 29 gennaio in un momento nuovamente grave per l’unità del Paese, per i diritti sociali, per le conquiste delle lavoratrici e dei lavoratori. L’azione fulminea del ministro Calderoli sul ddl inviato al consiglio dei ministri (attraverso cui si vorrebbe dare il via alla formalizzazione di nuove intese tra regioni e governo, al perfezionamento di quelle già stipulate da Veneto, Emilia Romagna e Lombardia e all’intero processo di regionalismo differenziato), nonché l’approvazione dei commi 791-805 della legge di Bilancio, che descrivono il percorso tecnico burocratico per la determinazione dei Lep proprio per varare l’AD, ci mettono di fronte ad un pericolo immediato e concreto, dopo anni di tentativi, discussioni, accelerazioni ma anche frenate. Se l’AD dovesse passare, tutte le cittadine e i cittadini, le lavoratrici e i lavoratori verrebbero colpiti. Le conquiste, i diritti, i servizi pubblici, la politica sull’ambiente, la scuola, le infrastrutture, i contratti nazionali subirebbero dappertutto un colpo micidiale, e questo aprirebbe la porta allo scontro tra territori, ad una corsa pericolosa al dumping sociale, alla divisone della Repubblica. D’altra parte la sanità, la cui prima regionalizzazione dovrebbe indurre tutti a fermarsi, verrebbe letteralmente liquidata e privatizzata. In questo contesto, il sud, partendo da condizioni di diseguaglianza già oggi enormi, vedrebbe un vero tracollo. Di fronte a questo pericolo, l’Assemblea lancia un appello a tutte le forze sindacali e politiche: se davvero il governo non si fermerà, nonostante le tante voci contrarie che sono cominciate ad emergere, nonostante le prese di posizione di centinaia di sindaci, allora non ci sarà che una strada per evitare il peggio: la convocazione di una grande manifestazione nazionale, che porti a Roma decine di migliaia di cittadini e lavoratori da tutto il Paese, uniti, per il ritiro dell’Autonomia differenziata. Chiediamo alle forze politiche, ai sindacati, alle associazioni, ai comitati di convergere nell’organizzazione di questa grande mobilitazione popolare.
Mettiamoci al lavoro, dunque. Sta a noi, noi che vediamo che il cielo è uno solo e che la terra è sempre più a pezzetti, trovare la forza, la motivazione, le parole per trasferire questa nostra naturale percezione a quanti rifiutano di indossare le lenti dei principi costituzionali, la strada maestra per pensare ad un altro mondo possibile: più giusto, più solidale, più democratico. Buon lavoro a tutte e tutti.
2 febbraio 2023
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com