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Autonomia regionale differenziata- Domande & Risposte

L’Autonomia regionale differenziata sta proseguendo a grandi passi, con un’ulteriore accelerazione impressa dalla nuova maggioranza di centro destra al Governo da ottobre scorso. Anche se i media, a differenza di prima, hanno cominciato ad affrontare il tema, la maggior parte dei cittadini continua a ignorare decisioni che incideranno profondamente sull’assetto istituzionale del Paese ma anche sulla vita delle persone, aumentando le distanze tra il Nord e il Sud, le disuguaglianze sociali, la disparità dei diritti. E quando i cittadini si renderanno conto delle conseguenze, sarà probabilmente troppo tardi. Ma noi continuiamo a impegnarci per far conoscere quanto sta accadendo: in questa pagina proponiamo una serie di domande e di risposte che possono aiutare a comprendere tutta la portata del cambiamento che si sta preparando senza alcun dibattito pubblico e trasparente.

a cura di Gregorio De Falco* in collaborazione con Carteinregola

(> vedi anche Domande e risposte su un’autonomia incostituzionale di Francesco Pallante da Il Manifesto 5 febbraio 2023)

  • Che cos’è l’autonomia differenziata?

È il riconoscimento, da parte dello Stato, di una peculiare specificità di un territorio, mediante l’attribuzione in via esclusiva alla regione a statuto ordinario, di una potestà legislativa per le materie di legislazione concorrente e/o per tre di quelle di competenza esclusiva dello Stato. Ma ciò che più interessa le regioni è che, alla attribuzione della potestà legislativa, è connesso il trasferimento delle risorse finanziarie.

  • Quanta parte dei rispettivi gettiti fiscali vorrebbero trattenere per spenderli sul proprio territorio?

Il Veneto ha chiesto di trattenere il 90% del gettito fiscale relativo ai cittadini ed alle imprese italiane che sono residenti, o hanno sede, in quella regione. Come se i cittadini fossero veneti, prima che italiani. In tal modo, si calcola, verrebbero meno circa 41 miliardi l’anno dalle casse dello Stato. Per quel che riguarda la Lombardia, invece, la perdita per l’erario dello Stato sarebbe di oltre 100 miliardi di Euro. L’Emilia-Romagna, infine, tratterrebbe 43 miliardi di euro. Considerando, quindi, le tre regioni si registrerebbe una perdita totale di 190 su 750 miliardi annui di gettito fiscale.

  • Quali potestà legislative vorrebbero acquisire in via esclusiva sottraendole allo Stato?

Le Regioni hanno formulato richieste in parte diverse. In generale le materie a legislazione concorrente che potrebbero passare in tutto o in parte alle regioni richiedenti sono le seguenti (articolo 117 comma 3 Cost.):

rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. 

A tali materie le regioni possono chiedere di aggiungere tre materie attualmente di competenza esclusiva dello Stato: giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

  • Quali regioni le chiedono?

Le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno chiesto il trasferimento di potestà legislative e di risorse finanziarie. Il Veneto ha chiesto tutte le 23 materie previste dall’articolo 116 comma 3 della Costituzione; La Lombardia 20 (escluse solo: l’organizzazione della giustizia di pace; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale), l’Emilia-Romagna 16 (non ha richiesto: professioni; alimentazione; porti e aeroporti civili; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale). Successivamente anche la Campania ha chiesto che sua avviata l’istruttoria per alcune materie.

  • Quali sono i vantaggi che porterebbe alle Regioni?

Coloro che sono a favore delle Autonomie Differenziate affermano che trattenere larga parte del gettito fiscale nel territorio si dovrebbe tradurre automaticamente in maggiore efficienza ed efficacia nella realizzazione di servizi per i (propri) cittadini, ovvero per gli italiani veneti, lombardi ed emiliani.
Come se non dipendesse dalle scelte, ma dalla disponibilità economica.

  • Quali sono i vantaggi che porterebbe al Paese?

Ogni autonomia differenziata comporta sottrazione di ingenti
risorse finanziarie alla collettività nazionale e la disarticolazione di servizi ed infrastrutture logistiche (porti, aeroporti, strade di grande comunicazione, reti di distribuzione dell’energia, ecc.) che per loro natura non possono che avere una dimensione nazionale ed una struttura unitaria. Ma nemmeno la regione che ottiene l’autonomia se ne avvantaggia: sia perché il Sud è il mercato essenziale per il Nord, sia perché nelle stesse regioni “ricche” le condizioni interne tra le varie realtà territoriali non sono omogenee, e quelle più svantaggiate difficilmente riceverebbero compensazioni che, nell’ottica dell’efficienza andrebbero, invece, alle parti già più ricche e meglio organizzate, secondo la stessa logica. Inoltre, una Regione non ha alcuna possibilità di affrontare la competizione globale.

  • Con l’autonomia differenziata le Regioni potrebbero interpretare meglio le esigenze dei propri cittadini?

Nel breve periodo è possibile che i veneti, i lombardi e gli emiliani possano godere di un effettivo maggior benessere, potendosi avvantaggiare di una quota cospicua di risorse che, invece, dovrebbero essere destinate alla redistribuzione sul territorio nazionale, ma al di là di ogni rilievo circa la violazione del principio di solidarietà sociale ed economica, al crollo sociale ed economico dei territori svantaggiati, non può che conseguire una crisi dell’intero sistema Paese.

  • Perché anche alcune Regioni svantaggiate vorrebbero l’autonomia?

Nonostante le risorse per quei territori diminuirebbero, la potestà legislativa consente comunque un rafforzamento del controllo politico dell’elettorato e la gestione diretta delle risorse.

  • Quali sarebbero le differenze tra un cittadino del nord e uno del sud?

Già oggi il divario è molto forte: Lo Stato spende per un cittadino del Centro-Nord 17.621 Euro, mentre per un cittadino meridionale 13.613 Euro. Pertanto, se lo Stato volesse spendere la stessa cifra pro capite senza togliere risorse al Nord, dovrebbe mettere a bilancio circa 80 miliardi in più per il Sud. Ma questa autonomia differenziata già solo per le intese con le tre regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) impoverirebbe le casse dello Stato per circa 190 miliardi che rientrerebbero nel bilancio di Veneto (41 miliardi), Lombardia (106 miliardi) ed Emilia Romagna (43 miliardi). Ciò concretamente significa che il divario si aggraverebbe ulteriormente, con l’arretramento della presenza dello Stato: meno ospedali, meno scuole, meno infrastrutture, meno asili, meno musei e università, laddove già oggi mancano e nessuna perequazione sarebbe possibile (*).

Cosa sono i LEP?

I LEP (Livello Essenziale nelle Prestazioni) sono indicatori della misura effettiva di diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti, in modo uniforme, sul territorio nazionale, con la funzione di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali (federalismo solidaristico) e fornire indicazioni programmatiche cui le Regioni e gli enti locali devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite. I diritti di cittadinanza, la cui determinazione è competenza esclusiva dello Stato attribuita dall’art. 117 Cost., si traducono essenzialmente nel diritto di tutti i cittadini all’assistenza sanitaria e sociale, all’istruzione, alle prestazioni previdenziali per i lavoratori e nella possibilità di fruire dei servizi essenziali in modo uniforme.
I LEP sono il necessario presupposto giuridico e sociale per l’autonomia differenziata ed occorre che siano individuati i livelli dei servizi, i relativi costi ed i fondi di perequazione.
Questi ultimi sono le risorse occorrenti affinché anche i territori più svantaggiati abbiano la possibilità reale di offrire quei servizi e garantire diritti in misura analoga a quella dei territori già avvantaggiati.

  • Se si garantisse una spesa uguale per ogni cittadino italiano, l’autonomia non avrebbe più controindicazioni?

È un’ipotesi irrealizzabile, perché i conti pubblici non consentono di garantire sia il trattenimento delle risorse nelle regioni rese autonome che la contemporanea perequazione tra i cittadini ed i territori e comunque, l’autonomia differenziata da una parte contraddice e nega il principio di eguaglianza formale e sostanziale, dall’altra frammenta la naturale unitarietà funzionale delle infrastrutture del Paese, beni comuni della Repubblica, e dunque essa, anche al di là della disuguaglianza delle risorse economiche, crea disuguaglianze formali e sostanziali ed incide sulla funzionalità (e sulla competitività) delle grandi infrastrutture logistiche.

  • È giusto che ad esempio per la scuola ogni regione decida per sé?

No. Infatti, si pretende di regionalizzare la vera e propria “spina dorsale” del Paese, la scuola statale, sostituendola potenzialmente con 20 sistemi scolastici differenti, attribuendo alle Regioni la potestà legislativa sull’intera materia: sulle norme generali, sulle assunzioni del personale, sulla valutazione, in tema di formazione. Insomma, sul come e sul cosa insegnare.
Si tratta di un approccio modesto ed egoistico verso una serie di funzioni che, al contrario, dovrebbero rappresentare uno strumento dell’interesse generale. La configurazione di 20 sistemi scolastici a marce differenti segnerebbe inevitabilmente il passaggio da una scuola organo dello Stato unitario e garante di un livello di istruzione analogo in tutte le regioni italiane, ad un sistema strutturalmente disuguale che forma studenti di serie A e di serie B.
Coloro che si trovano in basso nella scala sociale e vivono in un territorio svantaggiato non potranno più sperare che la scuola possa concorrere a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona.
Infine, verrà meno la possibilità di realizzare uno dei principali compiti della scuola, quello di formare il cittadino italiano.

  • I porti su cui il Veneto vuole avere potestà regionale, sono del Veneto o di tutta l’Italia?

I porti di grande traffico non possono che rimanere nazionali, come è loro natura e come appare evidente dal fatto che le navi infatti battano la bandiera nazionale. Diverso discorso si può fare per i porti minori, soprattutto turistici, quelli che non vedono traffico internazionale e che potrebbero anche essere gestiti dalle regioni, e dalle articolazioni decentrate dello Stato, tenendo sempre fermo il concetto funzionale e di interesse pubblico, poiché ogni porto deve essere un luogo sicuro per la sicurezza delle navi e della vita umana in mare.

E i beni culturali, appartengono al territorio della regione in cui si trovano o sono Beni della Nazione, di tutti i cittadini del nostro paese?

E’ difficile davvero credere che un bene che ha valore culturale ed esprime quindi valori universali possa appartenere solo ad una regione. Il riparto delle competenze in tema di beni culturali tra i diversi livelli di governo della Repubblica, ossia Stato, Regioni ed Enti locali, non è privo di complessità. Tuttavia, il principio di leale collaborazione non consente che una regione si attribuisca in via esclusiva la “proprietà” di quei beni, ed infatti la giurisprudenza della Corte costituzionale ha definito il limitato spazio entro il quale una regione può valorizzarli.

Il conferimento della intera potestà legislativa in materia, e delle funzioni connesse alle regioni, andrebbe contro la natura stessa dei beni il cui valore risiede nella loro universalità, oltre che contro il dettato costituzionale come chiarito dalla Corte.

  • L’autonomia differenziata è anticostituzionale?

Lo è certamente se la richiesta della Regione di potestà legislativa in una materia non risponde ad una necessità di adattare l’ordinamento a reali specificità territoriali. In questo senso, ed entro tali limiti, l’articolo 5 della Costituzione ammette che si limiti la unitarietà dell’ordinamento statale, l’eguaglianza formale dinanzi alla legge, per conformarsi ad esigenze particolari del territorio.
Diversamente, si tratterebbe in modo diseguale ciò che diseguale non è, e sappiamo che, trattare in modo eguale situazioni diverse è ovviamente incostituzionale, ma anche che è allo stesso modo incostituzionale ed ingiusto trattare in modo diverso situazioni uguali.
In definitiva, sono inammissibili, almeno per violazione del principio di eguaglianza, di unitarietà e di solidarietà economico sociale, le richieste di potestà legislativa autonoma che non si fondano su reali peculiarità territoriali che vanno verificate in concreto.

  • Non sarebbe corretto estendere alle altre regioni le prerogative che hanno già le regioni e province autonome?

No, perché la Costituzione distingue le regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario riconoscendo le specificità di quei territori, quindi non è possibile equiparare tout court tali regioni e province autonome con le altre.

  • L’autonomia differenziata inserita in una norma di bilancio permetterà ai cittadini di chiedere un referendum abrogativo?

L’inserimento in norma di bilancio potrebbe fare ritenere, se si adotta un erroneo criterio formalistico, che quelle norme siano sottratte al referendum, in quanto collegate alla legge di bilancio; tuttavia, è chiaro che quelle norme hanno comunque natura diversa, essendo volte a disciplinare il quadro giuridico relativo al riparto di potestà legislativa tra lo Stato e le regioni e non c’è dubbio che i cittadini debbano potersi esprimere. Qualunque tentativo di impedirlo sarebbe chiaramente illegittimo.

  • Dove si possono leggere i testi delle bozze di intesa tra lo stato e le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto?

Sono noti i testi delle pre intese tra il Governo ´Gentiloni – rappresentato dal sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa – e le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sottoscritte il 28 febbraio 2018, 4 giorni prima delle elezioni politiche, e anche quelli delle bozze di intesa successive, che sono state rese pubbliche dalla testata web Roars (Return On Academic Research and School), che l’ 11 febbraio 2019 titola Le bozze segrete del regionalismo differenziato: quale futuro per scuola e università?. Quanto sia poi stato elaborato nelle bozze successive è ignoto non solo ai cittadini, ma agli stessi parlamentari. La cifra costante di questo processo è la segretezza, la sommersione di qualunque discussione parlamentare o comunque pubblica.

  • Se venisse approvata l’autonomia differenziata, in caso di manifeste criticità si potrebbe tornare indietro?

Sa venissero approvate le intese tra Stato e Regioni, l’eventuale revisione richiederebbe l’accordo della regione interessata, il che è piuttosto improbabile.

  • In Parlamento ci saranno spazi di discussione con la possibilità di emendare il testo?

Una volta che si arrivasse alla discussione in Parlamento del DDL collegato alla manovra di bilancio, vi sarebbero limitazioni molto forti dovute ai regolamenti di Camera e Senato. Infatti, i parlamentari non facenti parte delle Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio che si occuperanno del DDL non potranno votare in commissione (neanche i propri emendamenti), né presentare in Aula emendamenti che non siano già stati respinti nelle Commissioni.
È dunque chiaro che il collegamento artificioso del DDL alla manovra di bilancio è funzionale a ridurre al minimo la possibilità d’interventi migliorativi da parte dei parlamentari.

  • Sotto quale Governo è cominciato l’iter dell’AD?

La firma dei pre accordi risale all’inizio del 2018, con ancora in carica il Governo Gentiloni, nella persona del sottosegretario Bressa (eletto nelle fila del PD, poi si candiderà e sarà eletto con il gruppo per le Autonomie Aut (SVP-PATT, UV) a 4 giorni dalle elezioni politiche. In seguito sono state portate avanti dal Centro-Destra, in primis dalla Lega, ma anche dal PD (Bonaccini). Inoltre l’AD è stata inserita nell’accordo di Governo del Conte 1 (sottoscritto da M5S e Lega) e nel Conte 2 (sottoscritto da M5S, PD, LEU e altri)

  • Quali sono oggi le forze politiche favorevoli e quali contrarie alla AD?

Favorevoli sono le stesse forze politiche: più apertamente la Lega, in maniera più velata il PD. Contrari si erano detti durante il Conte 1 i 5 Stelle, che ora, però, tacciono, anche su questo.

  • Era corretto il referendum indetto dalla Regione Veneto per l’Autonomia?

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo quel referendum perché in contrasto con l’articolo 5 della Costituzione, con il quale si stabilisce che la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attuando nei servizi che competono allo Stato il più ampio decentramento, adeguando i suoi principi ed i metodi di legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Alcuni referendum veneti, però, avrebbero incrinato l’unità ed indivisibilità della Repubblica. Con le richieste avanzate dall’attuale Presidente della Regione Veneto Zaia, inerenti indiscriminatamente tutte le materie in astratto contemplate, pur senza un reale “aggancio” a specificità territoriali, si lederebbe l’unitarietà ed ancora prima, il principio di eguaglianza, anche formale dei cittadini italiani dinnanzi alla legge.

  • In cosa differiscono le richieste dell’Emilia Romagna?

La Regione Emilia-Romagna chiede “solo” 15 competenze su 23 possibili, dichiarando anche di non pretendere risorse finanziarie aggiuntive da parte dello Stato, ma di chiedere di poter disporre comunque di “risorse certe”. Queste le materie di cui chiede la potestà legislativa:

1) tutela e sicurezza del lavoro;
2) istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche;
3) norme generali sull’istruzione;
4) commercio con l’estero;
5) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
6) governo del territorio;
7) protezione civile;
8) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali;
9) tutela della salute;
10) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
11) rapporti internazionali e con l’Unione Europea delle Regioni;
12) organizzazione della giustizia di pace;
13) agricoltura, protezione della fauna, esercizio dell’attività venatoria e acquacoltura;
14) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
15) ordinamento sportivo (**);

*Gregorio De Falco – senatore gruppo misto della precedente legislatura

NOTA: alcune risposte potrebbero essere non aggiornate

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Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

ultimo aggiornamento 7 aprile 2023

(*) Fonte Svimez su dati CPT – Agenzia della Coesione e Banca d’Italia, citata in articolo dei Del Monaco e De Falco https://static.gedidigital.it/repubblica/pdf/2020/politica/nota_ocp def_14ottobre_def.pdf

(**) Al contrario non sono stare richieste le seguenti materie: esercizio delle professioni; alimentazione; porti e aeroporti civili; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale che, invece sono state richieste e fatte oggetto d’intesa tra Veneto e, in parte, tra Lombardia e Governo.

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