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Non vogliamo commissari, vogliamo cambiare la città

areoplanino nel neroProponiamo alcune riflessioni sulla richiesta di dimissioni del Sindaco, e il conseguente commissariamento della Capitale che, con il Giubileo straordinario, potrebbe voler dire un lungo periodo con un “uomo solo” al governo. E anche sul fatto che si voglia mandare a casa Marino e la sua Giunta addossandogli le responsabilità politiche di quella maggioranza di centrosinistra che emerge dalle intercettazioni, che è  la stessa che in questi due anni non gli ha risparmiato colpi bassi e attacchi di ogni genere. E soprattutto una riflessione sulla necessità di uscire dall’asfittico dibattito che riduce fatti gravissimi a chiacchiere da bar, per riprendere e intensificare l’impegno dei comitati sui territori. Mafia Capitale non si sconfigge con la magistratura, nè con un commissario, nè con nuove elezioni amministrative indette senza alcun rinnovamento della classe politica cittadina*. L’unico vero antidoto siamo noi, i cittadini, uomini e donne che vogliono tornare a scommettere su una città – e su un mondo – migliore.

Mentre  si scatena  il dibattito sulle  dimissioni del Sindaco Marino e sul comissariamento del Campidoglio, facciamo il punto sull’iter che si attiverebbe in quel caso. Ma per quanto grave sia la situazione – è ormai evidente che mafie e corruzione sono un fenomeno virale nella Capitale – consegnare la città a un Commissario, con buona probabilità  fino alla fine del Giubileo straordinario (20 novembre 2016) (vedi nota) come molti  invocano, vorrebbe dire cancellare l’ultimo brandello della nostra vita democratica e la speranza in un vero  cambiamento. Per anni noi di  Carteinregola (e tanti altri)  abbiamo denunciato la trasformazione della politica romana  – di centrodestra e di centrosinistra –  in un comitato d’affari trasversale che agiva incurante delle regole e in spregio all’interesse pubblico:  nessun responsabile di partito di qualunque livello è intervenuto, nessuno dei  quotidiani  che oggi titolano  a caratteri cubitali sugli scandali  ha dedicato più di qualche trafiletto (la stragrande maggioranza nulla). Eppure,  anche se in solitudine,  la vigilanza e le denunce dei cittadini – adesso ne  abbiamo la conferma – a qualcosa sono servite. Tante delibere sono state bloccate, tante speculazioni azzerate. Per questo  prima di chiedere di mandare tutti a casa è bene riflettere sugli sviluppi successivi. Un  commissario prefettizio  normalmente unisce in sé tutti i poteri degli organi del Comune: Sindaco, Giunta e Consiglio (in questo caso Assemblea capitolina), poteri in virtù dei quali può compiere qualunque atto, sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione. E il  commissario, supportato da altre  due persone,  dovrebbe sostituire 526 persone, di cui 15 presidenti di municipi, 25 consiglieri e 6 assessori per municipio, 48 consiglieri comunali, 12 assessori della Giunta e 1 sindaco (1)  La prospettiva di un anno e mezzo o più con un uomo solo – o un triunvirato – al comando, con il rischio di una drastica contrazione  della   trasparenza e del controllo democratico delle decisioni, è una  possibilità che ci auguriamo non veda mai la luce. Oltretutto nulla cambierebbe in quella parte – temiamo piuttosto estesa –  dell’apparato burocratico/amministrativo coinvolta in Mafia Capitale. In ogni caso  non è corretto  identificare   Marino e la sua Giunta con la  maggioranza capitolina, che   in verità ha spesso “remato contro”:  basti pensare alla vicenda delle 8 multe,  per cui molti illustri esponenti del suo stesso partito chiedevano le dimissioni del  Primo cittadino (2), alla diffusione di un sondaggio sul gradimento di  Marino commissionato dal PD capitolino  che è costato la carica di capogruppo a D’Ausilio (3) , o alle voci ricorrenti di una sostituzione dell’Assessore alla Trasformazione Caudo  con Mirko Coratti (4).   E dobbiamo riconoscere  al Sindaco e alla sua  Giunta di aver segnalato e collaborato con la magistratura per scoperchiare il verminaio.  Detto ciò, si deve anche prendere atto  che   la distanza tra quello che è stato fatto finora e quello che si sarebbe dovuto fare, è ancora grande. Ma di fronte alla gravità di quello che sta emergendo,  anche noi cittadini e comitati dovremmo sentirci chiamati  a fare un salto di qualità, e da “soggetto che chiede” alle istituzioni diventare  “soggetto che si fa carico”. E’ evidente che la corruzione (e la mafia) investe ormai ogni ganglio vitale della vita della Capitale,  ed è ben radicata anche nella società civile. Le complicità e le omertà sono diffuse, seppure in misura diversa, in ogni realtà e classe sociale, ed è tangibile  la sconfitta  della rivendicazione dei diritti individuali  e collettivi e la  schiacciante vittoria  dello scambio, del favore, della legge del più forte e del più furbo. Per questo i  nostri interlocutori non possono essere solo i politici e gli amministratori, dobbiamo parlare con tutta la città, con  quella moltitudine silenziosa  talmente rassegnata  da ingoiare qualunque cosa. Dobbiamo impegnarci ancora di più nei territori perchè  la gente ricominci a indignarsi e a riconoscersi  nella legalità, a difenderla anche nel suo quotidiano. E impegnarci  per contribuire  alla ricostruzione di una nuova classe politica. A  Roma serve un cambiamento vero, epocale, culturale.  Immediato,  ma anche  di  lungo periodo.   Per dare una speranza a questa città non servono superuomini o superpoteri. Serve coraggio. Serve un’amministrazione che  metta   il marchio “interesse pubblico” su ogni scelta che fa e che non abbia  paura di  raccontare ai cittadini le scelte che sta  facendo. Alla luce del sole. Servono uomini e donne di buona volontà che mettano da parte  per sempre   i comitati d’affari e i comitati elettorali  che hanno invaso i partiti come ultracorpi. Serve   ricostruire   la fiducia dei cittadini, non solo nella politica, ma soprattutto in se stessi.

Anna Maria Bianchi Missaglia

annaemmebi@gmail.com

Post scriptum: ci aspettiamo dal Sindaco e dal Presidente del Consiglio   che si prenda atto che –  stante la situazione –  nove anni per rimettere in sesto la città e affrontare un evento “ad alto rischio criminogeno” come le Olimpiadi non sono sufficienti.  Meglio passare  il testimone a Parigi, che ha già  lanciato l’idea di    una candidatura olimpica «etica ed eco-compatibile», con un budget contenuto di  6 miliardi . Noi è meglio che prima ritorniamo una città “normale”, poi ne riparliamo.

(chi vuole contribuire al dibattito può scrivere a Laboratoriocarteinregola@gmail.com)

Le tappe della  procedura di commissariamento e il ricorso ai Giudici amministrativi

(Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. Legge contro le infiltrazioni mafiose negli enti locali)

  • Al commissariamento dell’ente locale si arriva dopo un’attenta procedura che prende il via dalla nomina di una commissione d’accesso agli atti (composta da tre funzionari della pubblica amministrazione) da parte del prefetto del territorio interessato che esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’interno (articolo 2, comma 2 quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410) :l’allora Prefetto Pecoraro attiva  la procedura  pochi giorni dopo i primi arresti di “Mondo di mezzo”  , il 15 dicembre 2014. Il collegio è composto dal prefetto Marilisa Magno, dal viceprefetto Enza Caporale e da Massimiliano Bardani, dirigente di II fascia del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
  • 2  aprile 2015, viene nominato prefetto Gabrielli
  • La commissione svolge  la propria attività per 3 mesi,  che vengono poi prorogati fino al 15 giugno, data in cui la commissione consegnerà al Prefetto Gabrielli .
  • Gabrielli redigerà un’altra relazione entro 45 giorni da inviare al ministro dell’interno previa consultazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato dal procuratore della Repubblica competente per territorio e dal Procuratore Distrettuale antimafia competente per territorio;
  • il ministro dell’interno in seguito potrà proporre lo scioglimento dell’ente al presidente della Repubblica, che emetterà il decreto di scioglimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro 3 mesi a decorrere dalla presentazione della relazione del prefetto (art. 143 d.lgs. 267/2000).
  • L’Ente una volta commissariato sarà retto da una commissione straordinaria (art. 144 d.lgs. 267/2000) per un periodo che andrà dai 12 ai 18 mesi prorogabili fino a 24, la commissione sarà composta da: tre membri scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza e svolgerà le funzioni di sindaco/presidente, Giunta comunale/provinciale e Consiglio comunale/provinciale. La legge ora guarda con molta attenzione anche all’apparato burocratico dell’ente (dirigenti, personale dipendente) infatti a tal fine il comma 5 dell’art. 143 del d.lgs. 267/2000 prevede: anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 (cioè collegamenti o condizionamenti da parte della criminalità organizzata) con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale, con decreto del ministro dell’Interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente, ivi inclusa la sospensione dall’impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte del’autorità competente. Il comma 7 dell’art. 143 d.lgs 267/2000 prevede inoltre che in caso di verifica negativa dei presupposti di legge per disporre lo scioglimento il ministro dell’Interno debba comunque emanare un decreto di conclusione del procedimento. Contro il decreto presidenziale di scioglimento si può ricorrere in prima battuta dinanzi al TAR e in appello dinanzi al Consiglio di Stato, i termini per impugnare il decreto sono dimezzati rispetto a quelli ordinari tranne che per il ricorso introduttivo, il ricorso incidentale e i motivi aggiunti.

NOTA

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