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Panchine con le sbarre: il dibattito

panchine con sbarre municipio 2Pubblichiamo in questo spazio i contributi di cittadini e comitati dopo il nostro post “Panchine con le sbarre al II Municipio, riflettiamo” sul caso delle panchine  con separatori – “antibivacco” – installate  nel giardinetto di  via Giovanni da Procida, nei pressi di piazza Bologna, nel II Municipio da un comitato cittadino, in cui rilancivamo un  articolo  di Federica Borlizzi  apparso su Dinamopress del 30 dicembre 2017.

Intanto segnaliamo che le panchine “antibivacco” sono presenti in altre zone e quartieri della città:  in Piazza Cola di Rienzo, I Municipio, sono state posizionate durante l’amministrazione Alemanno (quando Prati era ancora XVII Municipio ed era a guida centrosinistra).

Aggiungiamo un aspetto che si poteva già evincere dalle foto: le panchine di Via Giovanni da Procida non sono panchine nuove, mnate così,  ma sono quelle già preesistenti a cui sono state aggiunte le sbarre…

da  Massimo Santucci, Paolo Rossi e altri residenti del quartiere Pinciano  (9 gennaio 2018) RIFLETTIAMO MA SENZA COLPEVOLIZZARE CHI SI IMPEGNA PER IL DECORO E LA  SICUREZZA

Criticare l’impegno di cittadini, residenti, Comitati e Associazioni a favore del decoro urbano, imbastendo un discorso nel quale prevalgono schemi ideologici (dalle panchine si arriva a teorizzare la lotta di classe tra poveri: vedi Roma Città Ostile di Federica Borlizzi –  Dinamopress del 30 dicembre 2017  –  “Utopie necessarie” per contrastare una società classista e decorosa….) ci sembra un’operazione sbagliata, per giunta con i problemi romani acuitisi dopo le Feste, vedi irrisolta questione rifiuti che sta esplodendo di nuovo.

Un’iniziativa di un gruppo di cittadini impegnati nella bonifica di un giardino pubblico ha fatto scattare un’analisi che si è spinta ad affermare di tutto e di più, ad esempio sostenendo come questo impegno, così come quello di molti altri cittadini sui temi della sicurezza e del decoro, rappresenti … un negativo processo di privatizzazione con impropria attribuzione di competenze ai privati che “sembrano guardare prima di tutto al loro interesse”.  Incredibile !

Di fronte al muro  alzato dalla Borlizzi, molto più alto di quelle barriere certo criticabili poste su alcune panchine,  “mirabilmente” sintetizzato dall’affermazione di “una città disumana e ostile in balia di assetti pericolosi”, è veramente difficile argomentare sulla base del buon senso e delle esigenze concrete dei cittadini e dei residenti che chiedono risposte al crescente degrado dei nostri quartieri, chiedono sicurezza di fronte a reati di ogni tipo che ufficialmente diminuiscono ma solo perché non vengono neanche più denunciati.

Risposte che non arrivano da chi dovrebbe darle e sulle cui responsabilità la Borlizzi si guarda bene dall’approfondire, meglio prendersela su chi cerca di impegnarsi sul campo a difesa della propria vivibilità e sicurezza.

Invece di soffermarsi e analizzare la situazione precaria dei servizi pubblici romani quanto mai inefficienti a fronte delle tasse più alte d’Italia, invece di mettere alle corde le Istituzioni pubbliche incapaci di dare risposte alla domanda di assistenza di emarginati e poveri che trovano le uniche risposte concrete oggi a Roma dalle Parrocchie e comunità ecclesiali nella più totale assenza di Comune, Asl, ecc., invece di valorizzare l’azione di supplenza che molti privati a loro spese – che dovrebbero detrarre .. e pure questo si critica ( si vada a leggere il “baratto amministrativo”) – stanno dando all’opera di gestione di beni pubblici, pulizia delle strade, potatura di alberi, ecc. invece di tutto questo la Borlizzi punta il dito  contro chi si impegna contro il degrado…. con una serie di teoremi che mettono insieme problematiche diverse come l’impegno per il decoro e quello per la sicurezza.

Insomma un’operazione che vuole colpevolizzare chi esprime esigenze fondamentali : difendere la qualità della vita nei nostri quartieri.

Provare a uscire dalle paludi confusionarie in cui si è impantanata la Borlizzi è quindi difficile, perfino inutile di fronte al lavoro che ci aspetta sotto qualsiasi gestione politica della città (per i residenti privi di rappresentanza, se non quella di Comitati autorganizzati sul territorio, si tratta di un’opposizione permanente, sempre fuori dal palazzo come diceva don Milani in una sua lettera .. posso citare anch’io ? )  sì, veramente inutile !

Resta il nostro impegno a difesa della vivibilità dei nostri quartieri partendo dalle cose concrete: pulizia e decoro, sicurezza e trasporti, parcheggi e viabilità, opere pubbliche e trasparenza, lotta a burocrazia e corruzione, per Amministrazioni efficienti e realmente competenti con risorse reali, basta con questi Municipi inutili !

Ma basta anche ideologie e demagogie, occorrono invece risposte concrete legate alla qualità della nostra vita. 

Se queste risposte non arrivano i cittadini hanno tutto il dovere e il diritto di trovarle da soli, magari sbagliando come sulle panchine di via Giovanni da Procida, ma senza colpevolizzarli, demonizzare le loro iniziative in nome di un solidarismo di facciata.

Cosa propone la Borlizzi per dare risposte a quei soggetti emarginati che popolano le nostre città: nulla. Li esibisce quasi come “trofei” per usarli strumentalmente in modo da rendere più efficace il suo lanciare strali su chi chiede invece decoro, dignità, vivibilità, qualità della vita, difesa del patrimonio edilizio dei nostri quartieri, sicurezza, in particolare nei confronti di donne, anziani, bambini.

Le Istituzioni romane poi osservano tutto, stanno lì, ferme, autoreferenziali, senza soluzioni, mentre i teorici alla Borlizzi se la prendono con chi vuole risposte concrete. sembra un teatrino a cui Carteinregola, che ci ha abituati ad altre analisi, assai migliori, ha prestato il suo palcoscenico. ci delude !

Alleghiamo un’ iniziativa concreta della Regione Veneto sulla casa ai senza fissa dimora*: perché la Borlizzi non ci fa qualche esempio di solidarietà anzichè scagliarsi contro chi lotta per il decoro ?“Noi siamo per il decoro urbano!”.

Massimo Santucci, Paolo Rossi e altri residenti del quartiere Pinciano

NOTA di Anna Maria Bianchi Missaglia (La lettera è stata inoltrata anche a Federica Borlizzi per una sua eventuale risposta)

E’ senz’altro utile aprire un dibattito sul tema “decoro” e argomenti sociali correlati, di cui le panchine con le sbarre sono un significativo emblema.  Significativo dello spostamento dell’attenzione dalle cause dei problemi – povertà, emergenza abitativa, esclusione sociale etc –  alle conseguenze – presenza dei senza fissa dimora negli spazi pubblici – e  del ricorso a  soluzioni empiriche “fai da te” dei cittadini: non posso risolvere le piaghe sociali ma posso impedirne lo spettacolo sotto casa.

Io comprendo l’aspirazione – l’esigenza indiscutibile – di molti cittadini a vivere circondati da spazi decorosi, e ammiro coloro che investono tempo ed energie  per ripulire giardinetti, ripristinare aiuole, curare luoghi da restituire al quartiere. Ma, senza demonizzare nessuno, penso che quando il “decoro” porta a mettere le sbarre alle panchine per impedire a delle persone stanche e sole di sdraiarsi, bisognerebbe fermarsi a riflettere sui nostri valori.

Nella lettera si gira intorno alla questione posta dall’articolo criticato, senza rispondere a questa semplice domanda: è giusto mettere (o far mettere)  le sbarre alle panchine per allontnare  i senza fissa  dimora?

E’ vero, toccherebbe alle istituzioni occuparsi delle persone disagiate, ma anche della manutenzione del verde e della pulizia dei giardinetti;  i cittadini che generosamente si sono attivati per rendere più decoroso il proprio quartiere, potrebbero forse adoperarsi presso le istituzioni  perchè la collettività si faccia carico del problema. Magari l’hanno già fatto, e  in questo caso siamo disponibili per supportare e rilanciare qualunque iniziativa virtuosa che possa aiutare i più deboli e costruire una catena di solidarietà.

Io credo che il benessere  di una città non si misuri solo dal suo aspetto esteriore – aiuole rigogliose  e strade ben tenute – ma anche dalla comunità che la abita, che quando “sta bene” è accogliente e solidale. Anzi, credo che l’uno sia lo specchio fisico dell’altra. Che le buche nei marciapiedi e l’immondizia per terra siano la pelle di un organismo malato.

E spero che i cittadini e le cittadine di buona volontà che generosamente si impegnano per il loro territorio, riescano a costruire anche  una strada per farlo senza cancellare i problemi sociali, anzi  rendendoli parte integrante del percorso.

Non è facile, ma forse insieme è possibile trovare una soluzione diversa alle panchine con le sbarre

Anna Maria Bianchi Missaglia

 

* (AGI) – Venezia, 3 gen.  – La Regione Veneto, insieme ai comuni  di Venezia, Padova, Verona, Vicenza, Treviso e Rovigo, ha  lanciato il progetto “DOM. Veneto” – Modello di Housing first,  approvato dal Ministero con un fondo di 3,3 milioni di euro,  per guidare un processo di innovazione nel contesto specifico  delle persone senza dimora.

“Anche in Veneto il problema della  perdita di diritti fondamentali, e fra questi la casa, si fa  piu’ cogente e diventa un vero allarme sociale nei mesi in cui  le temperature si fanno estreme.

Il territorio risponde a  questa esigenza in modo articolato e diffuso con la presenza di  dormitori, mense dei poveri, centri di ascolto; pero’, fino ad  oggi, non esisteva una politica unitaria, e senza questa si  rischia di far perdere efficienza al sistema di aiuti.

In  questo contesto nasce il coordinamento “DOM. Veneto”, ha  spiegato l’assessore regionale al sociale Manuela Lanzarin,  precisando che si tratta di politiche orientate a mettere a  sistema un metodo di presa in carico multidisciplinare e  multidimensionale delle persone e delle famiglie a rischio di  marginalita’ e senza fissa dimora.

“La casa – fa rilevare l’assessore  Lanzarin – non puo’ rappresentare un punto incerto di arrivo  per le persone senza dimora. L’accesso a una abitazione stabile  e un adeguato intervento dei servizi sociali possono produrre  impatti oggettivi sul benessere della persona e sul percorso di  reinserimento nella societa’, con ricadute positive anche in  termini di una maggiore efficienza nella spesa sociale e  sanitaria. Va tenuto presente che quasi i due terzi delle  persone senza dimora prima vivevano nella propria casa e fra  questi prevalgono gli uomini (86,9%); con riferimento all’eta’,  la maggioranza ha meno di 45 anni (57,9%), molti di questi  hanno lasciato l’abitazione per ragioni economiche, per la  perdita di lavoro, per separazione dal partner”.

Gli obiettivi  generali che la Regione si propone di raggiungere con questo  progetto sono: diffondere all’interno del territorio regionale  un modello di “presa in carico” fondato sulla valorizzazione  della rete locale dei servizi, il coinvolgimento del contesto e  della comunita’ solidale per la realizzazione dell’housing  first, al fine di offrire risposte complesse alle diverse  dimensioni che alimentano la condizione di emarginazione  (sociali, della casa, del lavoro e della formazione);  facilitare processi di re-inclusione sociale che promuovano la  non discriminazione e l’inserimento/reinserimento dei  destinatari nel tessuto relazionale, sociale ed economico  dell’area urbana; rendere piu’ esigibile da parte delle persone  senza dimora il diritto all’alloggio.

 

 

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