Paolo Maddalena: la bozza Calderoli sull’autonomia differenziata
Autore : Redazione
Pubblichiamo un approfondimento di Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito della Corte costituzionale, sulla bozza Calderoli per l’attuazione dell’art.116, che consente l'”autonomia regionale differenziata”. Un tema di cui Carteinregola si occupa da tempo, e che ha affrontato anche nel dossier di richieste avanzate alla politica predisposto in occasione del suo decennale, tra le quali quella rivolta a Governo e Parlamento “di interrompere il percorso avviato e di rimettere mano alle modifiche introdotte dalla Riforma del Titolo V della Costituzione, eliminando le previsioni di attribuzione alle Regioni a statuto ordinario delle competenze delle 20 materie a legislazione concorrente Stato/Regioni elencate al terzo comma dell’ articolo 117 delle 3 materie di esclusiva potestà statale”. (AMBM)
L’ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 116 DELLA COSTITUZIONE. Bozza Calderoli
di Paolo Maddalena Vice Presidente Emerito della Corte costituzionale
da Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it – ISSN 1974 – 9562 – Anno XXII – Fascicolo n. 4/2022
L’opera deleteria dei governi succedutisi dopo l’assassinio di Aldo Moro, i quali, con le privatizzazioni, hanno distrutto “l’unità economica” del Paese, donando agli speculatori e alle multinazionali i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia e le situazioni di monopolio, che devono essere in mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti (art. 43 Cost.), si sta completando oggi con la distruzione dell’“unità giuridica”, attraverso l’attuazione delle autonomie differenziate previste dall’art 116 Cost., a seguito della modifica del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, avvenuta con legge costituzionale n. 3 del 2001, confermata da referendum.
È da ricordare tuttavia che un forte colpo contro il “principio fondamentale” dell’“unità giuridica” era già stato dato dalla appena citata riforma del Titolo V, attraverso l’abrogazione dell’articolo 115 della Costituzione, il quale prevedeva che le leggi regionali non potessero essere “in contrasto con l’interesse nazionale e con quelle di altre regioni”. Così l’interesse nazionale ha cessato di essere l’elemento unificante del nostro Stato comunità e, al suo posto, è subentrato l’interesse regionale.
Tuttavia la giurisprudenza costituzionale, pur evitando di dichiarare incostituzionale l’intero Titolo V riformato, ha giustamente rivalutato, con numerose sentenze, l’interesse di tutti i cittadini, riferendosi soprattutto al principio fondamentale di “eguaglianza”, sancito dal secondo comma dell’art. 3 Cost.(1).
Il trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni, operato dalla riforma Calderoli, è davvero impressionante e per certi versi addirittura illogico, quando, ad esempio, si parla di: istruzione, sanità, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Tutte materie che presuppongono una competenza nazionale e, quindi, non sono logicamente attribuibili a singole regioni.
Per completare il quadro, la riforma del Titolo V conclude che “spetta alle regioni la potestà legislativa (esclusiva) in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Con questo enorme trasferimento di competenze alle regioni, come agevolmente si nota, l’“unità giuridica” della Repubblica resta appesa a un filo: il fatto che si tratta, nella stragrande maggioranza di casi, di competenze “concorrenti”, in virtù delle quali resta allo Stato il potere di stabilire almeno i principi fondamentali ai quali le regioni devono attenersi, al fine di assicurare un minimo di coerenza di questo tipo di legislazione regionale con l’intero ordinamento costituzionale.
Ma anche questo filo viene ora messo in discussione dalla riforma Calderoli sulle autonomie differenziate, in virtù della quale le regioni non sono più tenute a osservare, nelle materie di competenza “concorrente”, i principi fondamentali dettati dallo Stato e acquistano una competenza legislativa pienamente libera dall’intervento statale (competenza “esclusiva”) su tutte le materie elencate dal terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione (quelle non elencate sono già di competenza “esclusiva”), nonché su due materie già appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato: le “norme generali sull’istruzione” (art. 117, comma 2, lett. n) e “ambiente, ecosistema e beni culturali” (art. 117, comma 2, lett. s). Insomma, la competenza legislativa di ciascuna regione è pienamente sganciata dall’obbligo di non contrastare gli interessi dello Stato e delle altre regioni, e vien meno del tutto il principio dell’“unità giuridica” del nostro ordinamento, mentre la stessa “unità politica” dell’Italia corre seri pericoli di frantumazione.
Al riguardo i profili di incostituzionalità sono molteplici. Si pensi soltanto alla violazione dei seguenti “principi fondamentali”:
a)“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1 Cost.). È dunque giuridicamente impossibile che certe leggi (le quali, come è universalmente noto, sono espressione di poteri sovrani) siano emanate da singole regioni che legiferano, con efficacia limitata al proprio territorio, in modo “esclusivo”, e nell’interesse dei propri cittadini, disinteressandosi completamente degli interessi dell’intero Popolo sovrano;
b)”La Repubblica … richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.). L’attuazione delle autonomie differenziate “differenzia” le regioni tra loro e le pone in una situazione di concorrenza, che impedisce l’adempimento dei predetti “doveri inderogabili”;
c) “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2, Cost.). La situazione di concorrenza nella quale vengono a trovarsi le regioni con autonomia differenziata rende impossibile rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, esistenti tra le varie regioni, poiché ogni regione legifera ognuna nell’ambito delle proprie competenze “esclusive”, senza alcun riferimento agli interessi dello Stato e delle altre regioni;
d) “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto” (art. 4, comma 1, Cost.). Rendere effettivo il diritto al lavoro per tutti i cittadini italiani diventa impossibile con le autonomie differenziate, poiché ogni regione, agendo nel proprio “esclusivo” interesse politico, economico e sociale, diventa di ostacolo all’attuazione di una politica nazionale per lo sviluppo uniforme dell’economia e per l’aumento egualitario dei conseguenti posti di lavoro;
e) “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. L’attuazione delle autonomie differenziate, rendendo “esclusive” le competenze regionali, rompe l’equilibrio costituzionale tra la proclamata “unità e indivisibilità” della Repubblica e le esigenze delle autonomie e del decentramento amministrativo, di modo che da un lato si infrange, indebolendola, l’“unità e l’indivisibilità” della Repubblica e dall’altro si aumentano e si estendono le autonomie. Salta del tutto il bilanciamento dei poteri che è l’architrave sul quale poggia l’intera Costituzione.
La elencazione delle violazioni costituzionali potrebbe ancora continuare, ma quanto si è detto appare sufficiente per dimostrare la assurdità dell’art. 116 della Costituzione (che dovrebbe essere dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale) e della bozza di Calderoli relativa alla sua attuazione, sulla quale, invero, conviene procedere a un ulteriore e approfondito esame.
Il primo dato che colpisce è che questa bozza non tiene minimamente in conto il contesto generale in cui viviamo, un contesto drammatico, che richiede una forte unità di indirizzo e di guida. Basterebbe pensare allo stato di emergenza nel quale ci siamo trovati nel caso della pandemia da Covid e nel caso della guerra in Ucraina, per capire quanto importante sia l’unità giuridica e economica della Nazione. E invece si vuol spezzettare, sia l’una che l’altra, per realizzare, in concreto, l’assurda idea dello Stato federale, per la cui realizzazione occorrerebbe che il Paese si trovasse in un contesto generale di benessere economico e pacifico, che purtroppo non esiste.
Ed è da tener presente che il prossimo futuro è denso di nebbie e di situazioni irreversibili, come l’acuirsi della crisi climatica e delle crisi internazionali, mentre è noto a tutti che il bene di un Popolo si realizza con la sua unità e non ricorrendo, come avviene nello Stato federale, a una specie di concorrenza egoistica tra gli Stati membri. Abbiamo sotto gli occhi l’esperienza deludente dell’Europa, che non riesce a coordinarsi, ed è inverosimile che si possa ritenere fruttuoso il passaggio da uno Stato unitario a uno Stato federale.
Ma non è tutto. Altra incredibile incongruenza è che la bozza Calderoli pretende di realizzare le autonomie differenziate, attraverso una negoziazione e una conseguente intesa raggiunte dal Governo, e più precisamente dal Ministro per gli affari regionali, e dalle regioni, escludendo, in pratica l’intervento del Parlamento, cioè del massimo organo di rappresentanza di tutti i cittadini. Infatti detta bozza di disegno di legge prevede, a tutela dell’interesse generale, soltanto la possibilità di esprimere un “parere” da parte della “Commissione parlamentare” per le questioni regionali, parere che peraltro deve essere dato entro trenta giorni, altrimenti lo si considera espresso in senso positivo (il cosiddetto “silenzio-assenso”). Inoltre si prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per gli affari regionali predisponga lo “schema di intesa” definitivo, semplicemente “tenuto conto” del suddetto “parere” (dunque, un parere assolutamente non vincolante) e che tale schema venga “approvato” dalla regione interessata secondo le modalità stabilite dal proprio “Statuto” e “deliberato” dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delegato per gli affari regionali. Si stabilisce infine che il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, approva, contestualmente, un “disegno di legge” di “mera approvazione” dell’intesa da presentare alle Camere “ai fini della mera approvazione a maggioranza assoluta” dei componenti del Parlamento.
Insomma tutto si svolge tra Governo e Regioni e al Parlamento si concede soltanto la ”mera approvazione a maggioranza assoluta” di quanto già concordato a livello governativo e regionale, senza possibilità di discutere il merito. Uno schiaffo ai rappresentanti del Popolo italiano!
E c’è ancora di più. La proposta di legge Calderoli è essenzialmente una legge di carattere finanziario. Essa dispone infatti sui livelli essenziali delle prestazioni, e soprattutto delle “risorse finanziarie” che lo Stato deve assicurare alle regioni a seguito del conferimento delle funzioni inerenti alla maggiore autonomia.
In proposito è utile ricordare che, tra le regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata, il Veneto ha chiesto di trattenere il 90 % del gettito fiscale relativo ai cittadini e alle imprese italiane che sono residenti o hanno sede in quella regione, sottraendo così alle casse dello Stato circa 41 miliardi l’anno.
Per quel che riguarda la Lombardia invece la perdita per l’erario sarebbe oltre 100 miliardi di euro.
L’Emilia Romagna infine tratterrebbe 43 miliardi di euro. Considerando quindi soltanto le tre citate regioni, si registrerebbe una perdita totale di 190 su 750 miliardi annui di gettito fiscale.
Figuriamoci quale perdita subirebbe lo Stato se altre regioni, come certamente accadrà, chiederanno le maggiori autonomie.
E si consideri che questa legge proposta da Calderoli, a causa del suo contenuto essenzialmente finanziario, potrebbe essere approvata con la legge di bilancio, e in tal modo sottratta alla possibilità di essere sottoposta a referendum, considerato che, secondo l’art. 75, comma 2, della Costituzione, il referendum non può riguardare tale tipo di legge. Dunque: in cauda venenum. Ed è da sottolineare, a questo proposito, che la bozza Calderoli, la quale sottrae all’Erario, come si è accennato, ingentissime somme di danaro, si conclude con l’affermazione (art. 7) che “dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non derivano maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Insomma anche nelle leggi, come è già molte volte accaduto, si insinua il metodo ingannevole della menzogna, che è proprio del pensiero unico dominante del neoliberismo.
Pertanto non abbiamo altro mezzo di difesa, se non quello di proporre un disegno di legge costituzionale, che disponga, come acutamente ha proposto Massimo Villone, che le leggi riguardanti le autonomie regionali devono essere sottoposte a referendum costituzionale (art. 138 Cost.) e a referendum abrogativo (art. 75 Cost.). È l’unica arma che abbiamo per salvare il Popolo dagli innumerevoli danni, derivanti da menzognere decisioni adottate a sua insaputa e senza un reale e incisivo intervento del Parlamento.
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
3 dicembre 2022
NOTE
(1) A proposito dell’opera di “correzione” da parte della Corte costituzionale degli eccessi del Titolo V, sono da segnalare, tra le molte, le seguenti sentenze: Sentenze n. 106 e n. 306 del 2002, sull’impossibilità di sostituire l’espressione “Consiglio regionale” con l’espressione “Parlamento regionale”; sentenza n. 365 del 2007, con la quale si dichiara che l’aggettivo “sovranità”, va riferito soltanto allo Stato; sentenza n. 274 del 2003, con la quale si è ribadito che la Repubblica è una e indivisibile (art. 5 Cost.) e che permangono in Costituzione le istanze comunitarie manifestate dal richiamo al rispetto della Costituzione e dei vincoli comunitari (art. 117, comma 1, Cost.) e all’unità giuridica e economica dell’ordinamento (art. 120 Cost.) sentenza n. 378 del 2007, con la quale si precisa che la determinazione delle “zone speciali di conservazione” non può essere decisa con rapporti unilaterali tra Commissione Europea e Regioni, e deve essere eseguita secondo le disposizione poste dalla legge dello Stato; sentenza n. 367 del 2007, con la quale si è stabilito che la tutela ambientale e paesaggistica, di competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnata alla competenza concorrente della Regione in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali: sentenza n. 282 del 2003, con la quale si sancisce che la legislazione regionale concorrente deve svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale in vigore; sentenza n. 370 del 2003, con la quale si è sancito che non è possibile ritenere che si tratti di un oggetto sottoposto alla legislazione residuale delle Regioni, qualora non sia immediatamente riferibile a una materia concorrente.