canlı casino siteleri online casino rottbet giriş rott bet güncel giriş

Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Perchè NO, Gaetano Benedetto L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA FA MALE AL PAESE

Perchè NO, vocabolario dell’Autonomia differenziata: GAETANO BENEDETTO, Presidente Centro Studi WWF L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA FA MALE AL PAESE (19 febbraio 2024)

______________________________________________________________________________

Gaetano Benedetto  Nel febbraio del 2022, cioè soltanto 2 anni fa,  è stata approvata una riforma costituzionale che ha introdotto in maniera esplicita “la tutela dell’ambiente, degli ecosistemi  e della biodiversità, anche nell’interesse delle generazioni future” integrando l’Articolo 9 della Costituzione.  Questa riforma è stata accompagnata da un’altra riforma costituzionale contestuale che integrando questa volta l’art. 41 ha introdotto il limite della tutela ambientale all’attività economica. In concreto questo significa che l’attività economica, la libera impresa e non solo, non può operare in contrasto con la tutela dell’ambiente e con la tutela della salute.

La prima domanda che mi sento di porre, forse in maniera provocatoria ma non tanto, è se questa riforma costituzionale del 2022  rende ancora possibile una previsione di autonomia regionale  differenziata che, certo  previa intesa con tra Regioni e Stato ratificata per legge, possa ancora riguardare anche la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Aver  cioè introdotto la tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e della biodiversità tra i principi fondamentali della Repubblica,  mantiene ancora integra la scelta del legislatore fatta con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 secondo cui anche queste materie possono essere oggetto di autonomia differenziata?  

Il WWF, nell’ambito di un grande lavoro di analisi rimasto in buona parte inascoltato,  ha posto questa domanda al Senato dove l’autonomia differenziata è stata discussa prima in Commissione Affari Costituzionali e poi approvata in Aula.  Ha inoltre posto un quesito da considerarsi a monte  rispetto a questo che riguarda il tema  generale delle procedure che devono seguire le intese Stato – Regioni relativamente alle materie cosiddette “di legislazione concorrente tra Stato e Regioni” rispetto a quelle di legislazione esclusiva dello Stato, tra cui rientra la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Rispetto a queste possibili intese il legislatore sta oggi scegliendo di trattare in modo uguale queste due tipologie di materie,  dunque il legislatore non distingue proceduralmente i termini per cui arrivare all’intesa sulle materie concorrenti rispetto a quelle esclusive dello Stato, e nel non distinguerle non tiene in alcun conto la riforma costituzionale  del 2022 che ha introdotto la tutela ambientale tra i principi fondamentali della Costituzione.

Detto questo, la nostra preoccupazione è tutt’altro che astratta, non è cioè solo di carattere formale o meramente giuridico.

Già oggi le Regioni nell’applicazione della normativa quadro in materia ambientale hanno sviluppato legislazioni significativamente diverse, seppur tutte all’interno della cornice della normativa quadro relativa ai vari temi di questa materia. Pensiamo ad esempio all’applicazione regionale della normativa nazionale in tema di aree protette, dove le forme istitutive dei parchi regionali o delle riserve regionali sono appunto significativamente diverse da Regione a Regione. Pensiamo ad esempio anche alla gestione dei rifiuti,  dove la traslazione regionale della normativa nazionale ha prodotto performances profondamente difformi. Abbiamo ancora l’esempio, analogamente, all’attività di  bonifica dei siti inquinati, dove, come sappiamo,  abbiamo siti di bonifica di interesse nazionale e siti di bonifica di interesse regionale.

Le norme di riferimento nazionale sono le stesse,  mentre i termini applicativi regionali  sono  spesso molto diversi. Questo significa che  non è detto che, a fronte di un sistema formale di garanzie uguali per tutti, quale quello che viene dichiarato e previsto all’interno della proposta di legge sull’autonomia differenziata attraverso la previsione dei cosiddetti  Livelli Essenziali di Prestazioni, si possa sufficientemente garantire una tutela dell’ambiente omogenea su tutto il territorio nazionale. E ricordiamoci che  dietro la tutela dell’ambiente ci sono anche diritti della persona  come il diritto all’ambiente salubre,  diritti che devono essere garantiti in modo uguale per tutti, indipendentemente dalle Regioni in cui le persone abitano e si vivono.

Provo a spiegarmi un po’ meglio. Se noi pensiamo a un sistema naturale,  ad esempio ad una foresta o ad  un fiume, evidentemente  non immaginiamo un sistema naturale necessariamente  tutto all’interno di un confine amministrativo qual è quello di una Regione.  Pensiamo ad esempio al Po che fa da confine addirittura tra Regioni e scorre in un territorio amplissimo che va dalle Alpi del Piemonte sino al mare Adriatico tra Emilia Romagna e Veneto. Sempre come esempio pensiamo a tutto il sistema forestale degli Appennini, che è continuo e sta a cavallo di Regioni come l’Umbria, la Toscana, le Marche e poi ancora più a Sud con l’Abruzzo ed oltre. Come possiamo pensare di avere una competenza sulla tutela che gestendo in modo difforme questi elementi, che hanno carattere naturale inscindibilmente unitario, di fatto fraziona la tutela in competenze amministrative differenziate che si fermano sul confine di una Regione anziché di un’altra? Questi ambienti naturali devono avere una tutela che deve essere innanzitutto omogenea, e quindi deve essere coerente da una parte e dall’altra del confine amministrativo di ciascuna Regione territorialmente interessata dalla loro presenza.

 Se rispetto a questi contesti naturali omogenei una Regione chiede un’autonomia gestionale sulla propria parte di competenza,  seppur all’interno di un sistema definito da comuni livelli essenziali di prestazione (ma poi vedremo qual è il problema sui livelli essenziali di prestazione riguardanti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema),  questa autonomia gestionale deve essere coerente e a incastro, come un puzzle delle Regioni che sono territorialmente competenti per altre parti di questi ambienti naturali ovvero habitat o ecosistemi.  Questo, ben al di là di ogni dichiarazione formale posta anche per legge,  nell’attuale sistema non è assolutamente detto.

La definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione in materia di tutela ambientale, e in particolare in materia di tutela degli ecosistemi, è  molto, molto, molto complicata. Proviamo ad approfondire  questo argomento che è  spinoso  cercando alcune semplificazioni.

L’oggetto del trasferimento potenziale  di competenze (potenziale perché una Regione che  proponga allo Stato una proposta d’intesa potrebbe non chiederla su tutte le materie richiamate dall’art. 116 della Costituzione)  in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Questa è la definizione esatta: “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”. L’oggetto dell’intesa è la tutela, ma occorre ben comprendere dove e come si applica. La Corte Costituzionale ha provato a distinguere tra la tutela dell’ambiente e la tutela dell’ecosistema. La tutela dell’ambiente secondo la Corte Costituzionale  è quella più relativa alla sfera umana, la tutela dell’ecosistema si riferisce ad una sfera dove la natura viene considerata in quanto tale, cioè in sé. Se pensiamo che l’ecosistema  è quell’insieme di biodiversità che caratterizza un territorio anche in relazione ad un serie di servizi che garantisce, come ad esempio lo scambio dell’ossigeno,  il trattenimento delle acque operato dal suolo e purificate sino alla falda, la fertilità del suolo stesso, servizi  che per questo si chiamano appunto “ecosistemici” che appunto devono essere garantiti, e quindi tutelati, nel nome di un interesse collettivo,  indipendentemente dalla loro collocazione geografica. Un sistema forestale che ad esempio garantisce una determinata qualità dell’aria e che sta in una  determinata Regione,  magari  lontano da un’area urbanizzata che sta in un’altra,  può essere comunque funzionale a quell’area urbanizzata. L’aria buona, esattamente come quella inquinata, è mobile e per cui è evidente che ci sono delle connessioni fisiche e spaziali che prescindono  dai confini amministrativi che abbiamo posto sul nostro territorio.

Ma se per la tutela dell’ambiente, quella che la Corte Costituzionale definisce più inerte  della sfera antropica, abbiamo dei riferimenti e parametri che sono stati molto elaborati, e sono quelli dei controlli ambientali che il sistema delle Agenzie Regionali per l’Ambiente pongono in essere per controllare ad esempio le varie forme di inquinamento dell’aria, dell’acqua e via dicendo,  e se questi parametri usati appunto per le prestazioni di controllo possono essere elaborati in maniera relativamente semplice per individuare i Livelli Essenziali di Prestazione uguali per tutte le Regioni e quindi per tutti  per questo specifico ambito, cioè quello della tutela dell’ambiente, altrettanto non possiamo dire per la tutela dell’ecosistema, cioè per la tutela della biodiversità (e non solo)  che è funzionale al mantenimento dell’ecosistema. Le analisi per la determinazione di parametri attendibili in tale settore è in corso e sta impegnando il mondo scientifico, dunque si tratta di analisi che non possono essere rimesse a competenze giuridiche quali quelle della commissione nominata dal Governo per i Livelli Essenziali di Prestazione. Devo dire che su questo argomento questa commissione presieduta dal professor Cassese è stata intellettualmente onesta, perché pur avendo definito come titolo i Livelli Essenziali di Prestazione anche per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema,  ha ammesso i propri limiti di analisi non avendo al proprio interno competenze diverse da quelle giuridiche.

Nel momento in cui stabilisce che servono i Livelli Essenziali di Prestazione per procedere alle intese tra Stato e Regioni, il Governo e il Parlamento devono prendere atto che per  quanto riguarda le materie ambientali e in particolare le materie legate alla tutela dell’ecosistema questi livelli non sono ancora definiti in modo puntuale. Sono elencati come titoli, ma non definiti come sistema secondo parametri che li rendano misurabili, quindi riscontrabili, quindi “prezzabili”, cioè  quantificabili anche sotto un profilo economico al fine di poter prevedere le risorse possono garantire queste prestazioni. Pertanto, anche da un punto di vista meramente logico,  dovremmo dire che non essendo stato definito ancora il termine  del Livello Essenziale di Prestazione per questi ambiti non si dovrebbe procedere alle intese per quanto riguarda il complesso della materia ambientale. In realtà però non è così,  tant’è vero che l’ambiente è stato già oggetto di richiesta d’intesa da parte delle tre Regioni che allo Stato hanno presentato nella scorsa legislatura proposte d’intesa, cioè la Lombardia, l’Emilia Romagna ed il Veneto.  Sebbene in maniera diversa, in tutte e tre le proposte d’intesa ci sono argomenti che riguardano la tutela ambientale. Tutte e tre le proposte trattano di bonifiche, tutte e tre trattano di rifiuti,  tutte e tre chiedono maggiore autonomia sugli ambiti demaniali, e poi ci sono varie “follie”. La Regione Veneto ad esempio chiede autonomia per quanto riguarda la gestione della laguna di Venezia, tranne  il MOSE…  siccome si tratta di un costo è evidente che non intende assumerselo. Altro esempio:  la Regione Lombardia chiede autonomia per quanto riguarda l’attività venatoria, addirittura chiede di prescindere dai pareri  dell’Istituto Nazionale di fauna selvatica, quasi che la fauna e l’avifauna non si muovessero  da una Regione all’altra, quasi non ci fossero ripercussioni nel momento in cui in  una Regione dovesse essere abbattuta una specie senza considerare quanto questa è presente in altre Regioni.

I temi  della tutela dell’ambiente  e degli ecosistemi non è per nulla da escludere  che, indipendentemente dalla corretta definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione, possano essere tra quelli che saranno oggetti di intese, sempre che la normativa proposta dovesse concludere il proprio iter parlamentare alla Camera in termini analoghi a quelli del Senato.

Noi oggi però stiamo ponendo il problema di cogliere l’occasione per riuscire a definire i L.E.P. su queste materie anche indipendentemente da quello che è l’ipotesi dell’autonomia differenziata. Definire il livello essenziale di una prestazione di tutela  che, indipendentemente dall’’autonomia differenziata, lo Stato dovrebbe garantire, è  infatti comunque fondamentale per riuscire a capire, ad esempio in un piano economico pluriennale,  quali sono i costi che noi dobbiamo  prevedere per garantire questa tutela; per riuscire a comprendere quanto costerebbe preservare davvero i nostri ecosistemi, per riuscire ad avere una quantificazione economica di come garantire la qualità dell’aria, dell’acqua e quindi la qualità della vita, che dev’essere uguale per tutti, indipendentemente dalla Regione di appartenenza. E questa quantificazione sarebbe appunto comunque fondamentale, perché darebbe la possibilità di una programmazione pluriennale con obiettivi puntuali, magari progressivi.

Il tema della definizione dei L.E.P. in campo ambientale ha altri due elementi di problematicità. Sono elementi che potremmo definire “dinamici”.

Noi abbiamo ancora da capire come la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e della biodiversità, esattamente ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione, possa essere garantita effettivamente anche nell’interesse delle generazioni future. Noi dobbiamo garantire una tutela che non è  per oggi, intendendo con oggi sia  questo momento,  cioè il presente, la nostra vita intesa come prossimi anni; dovremmo infatti garantire la vita in termini  prospettici,  quindi le generazioni future. La tutela che la Costituzione ora ci chiede deve essere una tutela che guarda in avanti, oltre il presente. Questo non vuol dire che si tratti di una tutela statica, prettamente conservativa, anzi dev’essere attiva e in quanto tale deve venire tarata progressivamente.  E’ questo un secondo elemento di riflessione, quello della taratura progressiva del livello di tutela,  perché non siamo di fronte ad una situazione “stagna”, fissa, siamo di fronte a impatti crescenti.  E’ dunque logico pensare che impatti crescenti  necessiterebbero di tutele crescenti. E’ dunque necessario immaginare una tutela capace di adeguare i propri  livelli di prestazione anche in funzione degli aumenti di pressione che i beni da tutelare registrano; basti pensare ad esempio  gli inquinamenti, il consumo del suolo, la fertilità, le acque e via dicendo.

Come abbiamo detto riuscire quindi a definire i Livelli Essenziali di Prestazione è già un problema in sé, riuscire a definirli in maniera prospettica nell’interesse delle  generazioni future costituisce un problema aggiuntivo;  riuscire  poi a definirli in maniera proporzionale rispetto agli impatti crescenti è un terzo problema ancora. Ci sono dunque elementi di difficoltà intrinseca che non si riesce al momento a capire come debbano essere gestiti. Nonostante ciò si dice che in realtà non  c’è da preoccuparsi perché, non ci sono soltanto i Livelli Essenziali di Prestazione a costituire riferimento obbligatoria per quanto riguarda le prestazioni anche della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ma  anche l’obbligo di adeguamento alle normative nazionali ed alle disposizioni comunitarie di riferimento.

Su questo si apre purtroppo un’altra questione che nasce dalla differenza enorme tra l’aspetto formale delle norme e quello sostanziale della loro applicazione reale. Sull’aspetto formale, è innegabile che abbiamo disposizioni chiare, sia rispetto alla normativa comunitaria che alla normativa nazionale ambientale, chiarissime soprattutto per quanto riguarda le normative cosiddette  “quadro”. Sull’aspetto applicativo, dobbiamo invece prendere atto di due cose: il contenzioso costituzionale incredibile che le Regioni hanno posto in essere su qualunque materia di carattere ambientale, il pesante contezioso comunitario che tra alti e bassi da sempre abbiamo sull’applicazione non coerente delle direttive ambientali.

Dalle norme di tutela  paesaggistica e delle aree protette, a quelle sui rifiuti , dalla gestione dei fiumi all’attività venatoria,  moltissime sono le materie contestate nella loro applicazione dalle Regioni in Corte Costituzionale  che ha dovuto più volte ribadire come lo Stato abbia competenza di legiferare su dette materia fissando parametri, che sono poi i paletti essenziali della tutela che veniva posta, criteri che non possono essere solo definiti come minimi nel momento in cui vengono applicati, ma criteri che devono essere adeguati e non riducibili al momento della loro applicazione. Dunque il concetto di “adeguato” è molto diverso rispetto a quello di “minimo” a cui molto si avvicina quello di “essenziale” di cui i L.E.P. .

L’altro aspetto che dobbiamo considerare è quello del contenzioso comunitario, cioè le procedure di infrazione aperte per anni,   alcune delle quali continuano su una serie di materie ambientali quali appunto quella della gestione delle acque, quella dei rifiuti, quella sulla tutela della fauna e non solo. Rispetto al dibattito in essere, il paradosso sta nel fatto che queste materie su cui sono aperte le vertenze comunitarie sono materie di applicazione regionale, per cui  si tratta di una situazione dove già oggi in assenza di regionalismo differenziato,  in assenza di intese che trasferiscono competenze, registriamo difformità molto evidenti nell’applicazione della normativa ambientale pur essendo la normativa comunitaria e la normativa statale,  quella delle leggi quadro, uguali per tutte le Regioni e quindi teoricamente omogenee nell’applicazione regionale. Possiamo dunque immaginare  le  mille scappatoie che  ancor più possono crearsi in una situazione quale quella che si apre attraverso il sistema della del regionalismo differenziato.

Avanziamo altre due osservazioni per concludere questa riflessione. Una prima che riguarda quella dell’applicazione effettiva della prestazione indicata dai L.E.P, la seconda che riguarda la possibilità di creare delle scappatoie rispetto a questi che portano ad applicazioni difformi.

Per quanto riguarda l’applicazione, va ricordato che al sistema dei Livelli Essenziali di Prestazione corrisponde un sistema di diritti che sono dei cittadini e che devono essere comunque garantiti anche nelle Regioni che non dovessero avanzare richieste di maggiore autonomia allo Stato. Ripetiamo che su questi aspetti la norma da un punto di vista formale è chiara, indipendentemente dalle Regioni che la chiedono rispetto a quelle che non la chiedono, i diritti devono essere comunque garantiti a tutti.  Una prestazione fissata dai L.E.P.  in qualunque ambito tematico e su qualunque materia ha però un costo, e come viene corrisposto? Avviene attraverso un’autorizzazione a un trattenimento fiscale che viene riconosciuto alle Regioni che raggiungono con lo Stato l’intesa per una maggiore autonomia previa approvazione del Parlamento;  il trattenimento fiscale diretto da parte delle Regioni sarebbe proporzionale alle prestazioni che vengono riconosciute, quindi trasferite,   fa parte delle intese stesse ed è quindi autorizzato per legge tramite l’approvazione per legge delle intese.  Dunque nel momento in cui un’intesa viene approvata, questo trattenimento fiscale a favore della Regione che l’ha sottoscritta è immediatamente esecutivo. Come si fa però a garantire i Livelli Essenziali di Prestazioni anche alle altre Regioni che non sono interessate o sottoscrivere intese con lo Stato per avere maggiori forme di autonomia? La  norma in discussione afferma che questi debbano essere comunque garantiti, pertanto si deve comunque garantire il  costo di queste prestazioni ed  è solo la  norma finanziaria a poterlo fare. La spesa sarà  in crescita, perché detraendo dall’ammontare complessivo il trattenimento fiscale operato dalle Regioni che avranno riconosciute le intese – che al momento sono anche le Regioni col maggiore gettito fiscale –  ovviamente diminuisce il dividendo per le altre Regioni, e  lo Stato dovrebbe quindi compensare tramite la legge finanziaria. Ma mentre per alcune Regioni avremmo un sistema  automaticamente operativo perché  il trattenimento fiscale è previsto nelle intese approvate per legge, la legge finanziaria, a cui sono rimesse le prestazioni per le altre Regioni, diventa una cabala, una scommessa che ogni anno verrebbe giocata sulla base delle disponibilità economiche dello Stato, dei disavanzi ecc. E questo vale per tutte le materie oggetto dei L.E.P, non vale solo per la tutela dell’ambiente.

Ultima questione relativa alla possibilità di applicazioni difformi. Come abbiamo più volte detto, le intese sono approvate per legge. Si tratta di leggi successive a questa di cui ora stiamo discutendo che approva i criteri del regionalismo differenziato.  Questa norma in discussione non è legge costituzionale, bensì ordinaria, e questo produce una conseguenza potenziale. L’intesa Stato – Regione per il riconoscimento di particolare forme di autonomia, come abbiamo detto dev’essere approvata per legge con  una procedura da considerarsi “aggravata”. Anche per questo motivo, e non solo per quello di ordine temporale per cui una norma successiva può sempre modificare una norma precedente, la legge che approva l’intesa Stato – Regione  può prevedere deroghe alla legge ordinaria che stabilisce i termini generali del regionalismo differenziato di cui stiamo discutendo. Per cui possiamo ben dire che  abbiamo una situazione dove non è per niente detto che quello che stiamo oggi fissando, o cercando di fissare per legge,  non troverà forme di deroga all’interno della ratifica per legge delle varie intese. E questa osservazione specifica è stata fatta presente non certo da me e non tanto dal WWF,  ma da vari Professori di Diritto Costituzionale nelle audizioni al Senato, osservazione  rimasta inascoltata.

Pietro Spirito  io volevo affrontare un altro tema , il combinato  disposto delle materie, quelle che vengono devolute alle Regioni peggiora ulteriormente il quadro istituzionale. Perché oltre all’ambiente ci sono le grandi infrastrutture. Le grandi infrastrutture sono soggette alla Valutazione di Impatto Ambientale, strategica o ordinaria. Nel momento in cui queste due materie passano  alle Regioni cosa accadrà? Che si fa  la VIA nelle Regioni che non assumono in titolarità esclusiva la materia dell’ambiente e invece si fa la VIA  regionale per le Regioni che hanno l’ambiente come materia propria? Mi pare che l’Arlecchino diventa a questo punto Pulcinella.

Gaetano  Benedetto Non v’è dubbio che si crea anche una difformità potenziale sui criteri valutativi. Dopodiché alcuni sostengono che le materie andranno non soltanto per competenza territoriale ma anche per competenza di finanziamento. Un po’ come le grandi opere del PNRR che hanno una via particolare dedicata. Prendiamo sempre come cartina di tornasole le bozze  d’Intesa che son state depositate dalle Regioni Veneto, Emilia Romagna e Lombadia,  prima al Governo Gentiloni e poi al Governo Conte, intese che son state anche oggetto di una prima trattativa: troveremo esattamente questo problema potenziale, visto che la richiesta di maggiore autonomia sulla valutazione  ambientale è stata inserita.  Ricordo che il Professor Bertolissi, costituzionalista dell’Università di Padova che è stato anche  il capo delegazione della Regione Veneto nella trattiva avuta sulla richiesta di intesa da questa avanzata (ricordo che il Professor Bertolissi è membro della Commissione nominata dal Ministro Calderoli per dirimere la questione dei Lep), ha affermato che sulle intese bisognerà ripartire da quel lavoro che è stato fatto. Quindi nell’ambito delle nuove  intese, questo tema delle valutazioni ambientali e delle competenze delle valutazioni ambientali verrà molto probabilmente ripreso richiamato. E’ chiaro che le Regioni chiederanno maggiore  autonomia per le valutazioni ambientali. Non a caso prima in materia di caccia ho citato la Regione Lombardia che ritiene che le valutazioni per gli abbattimenti non devono riguardare l’Istituto Nazionale Fauna Selvatica ma devono riguardare l’analogo Istituto Regionale.  Ma c’è ben di più. Basti considerare il comparto opere pubbliche, su cui  ad esempio le Regioni Lombardia e Veneto hanno già  chiesto autonomia anche in relazione ad un trasferimento di  competenza sostanzialmente di tutte le infrastrutture demaniali, ferrovie, autostrade, portualità e via dicendo: ci possiamo rendere conto di come la differenziazione dell’approccio rischia di portare delle disuguaglianze enormi non solo  gestionali, ma anche nella tutela degli interessi pubblici a cui le valutazioni ambientali preventive sottendono e con esse anche alla tutela dei diritti dei cittadini potendo così produrre diseguaglianze  sul territorio nazionale.

__________________________________________________________________________

registrato il 12 febbraio 2024

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com (ultima modifica 18 maggio 2024)

Torna a L’Italia non si taglia 2024