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Piano Paesaggistico della Regione Lazio perchè il Ministero dei Beni culturali l’ha impugnato

frontespizio ricorso MIBACT PTPR gazzetta ufficialeIl conflitto di attribuzione  non  si  esaurisce  nella  sola invasione della sfera di competenza normativa e amministrativa  dello Stato, ma si traduce in una lesione diretta  dei  beni  paesaggistici tutelati, determinando una immediata e grave diminuzione del  livello di tutela.

(in costruzione: sintesi dei principali punti del ricorso)

16 maggio 2020

dalla Gazzetta Ufficiale https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-05-06&atto.codiceRedazionale=20C00109

NOTA: caratteri in grassetto e sottolineature sono state aggiunte da Carteinregola

 Ricorso per conflitto di attribuzione ex art. 134 Cost. e art. 39 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  con  istanza  di  sospensiva  del Presidente  del   Consiglio   dei   ministri   (codice   fiscale   n. 80188230587), in persona del Presidente pro tempore, rappresentato  edifeso  dall’Avvocatura  generale  dello  Stato  (codice  fiscale  n.80224030587), presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12  e’domiciliato (per il ricevimento degli atti: fax: 06.96.51.40.00; Pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it),   giusta   deliberazione    delConsiglio dei ministri in data  6  aprile  2020,  contro  la  RegioneLazio, in persona del Presidente in carica  della  giunta  regionale,nonche’ – per quanto occorrer possa – del  Presidente  del  consiglio regionale, avverso la deliberazione del consiglio regionale del Lazio n. 5 del  2   agosto  2019,  recante  «Piano  territoriale  paesistico regionale (PTPR)», pubblicato nel Bollettino Ufficiale della  Regione Lazio (BURL) n. 13 del 13 febbraio 2020, per  la  declaratoria  della non spettanza alla Regione Lazio dei poteri ivi esercitati, e per  il conseguente   annullamento,   previa    sospensiva,    della    detta deliberazione del consiglio regionale del Lazio n.  5  del  2  agosto 2019, nonche’ di ogni altro atto  comunque  connesso,  presupposto  e attuativo, ivi compresa la  nota  in  data  20  febbraio  2020  della Regione Lazio – Direzione regionale per le politiche abitative  e  la pianificazione territoriale, paesistica e urbanistica.

Con la deliberazione del consiglio regionale del Lazio n. 5 del 2 agosto  2019,  recante  «Piano  territoriale   paesistico   regionale (PTPR)»,  sono  stati   approvati   gli   elaborati   descrittivi   eprescrittivi che compongono il predetto piano, tra i quali  le  norme del PTPR.

La  deliberazione,  pubblicata  nel  Bollettino  Ufficiale  della Regione Lazio (BURL) n. 13 del 13 febbraio  2020,  e’  stata  assunta unilateralmente dalla regione, in violazione  degli  impegni  assunti nei confronti del Ministero dei beni e  le  attivita’  culturali,  ai sensi degli articoli 133, 135, comma 1, 143, comma 2, e 156, comma 3, del Codice dei beni culturali e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

Oltretutto, il piano deliberato dalla regione risulta  improntato a un generale  abbassamento  del  livello  della  tutela  dei  valori paesaggistici, e la sua approvazione determina, altresi’, il concreto rischio della lesione di interessi costituzionali primari,  ai  sensi dell’art. 9 della Costituzione.

La Presidenza del Consiglio solleva, pertanto,  il  conflitto  di attribuzione  nei  confronti  della   deliberazione   del   consiglio regionale suddetta, ai sensi degli articoli 134 Cost. e 39 ss.  Della legge  11  marzo  1953,  n.  87,  con  istanza  di  sospensione   del provvedimento contestato.

Esposizione in punto di fatto

(Ricostruzione della vicenda fino all’agosto del 2019)

1. Va premesso che, ai sensi dell’art. 19 della legge  regionale del Lazio 6 luglio 1998, n. 24, recante «Pianificazione paesistica  e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico»,  erano stati a suo tempo  approvati,  mediante  deliberazioni  della  giunta regionale, i Piani territoriali paesistici (PTP) della Regione Lazio.

In data 9 febbraio 1999 il Ministero, la regione e  l’universita’ di Roma Tre – DIPSA avevano sottoscritto un accordo di collaborazione per la  redazione  del  PTPR,  in  attuazione  del  quale  era  stato istituito un Comitato tecnico scientifico per la redazione del piano.

Nel 2004 e’ entrato in vigore il Codice dei beni culturali e  del paesaggio, che  ha  innovato  la  precedente  disciplina  statale  in materia di pianificazione paesaggistica, introducendo,  tra  l’altro, il principio della pianificazione congiunta  dei  beni  paesaggistici tra ciascuna  regione  e  lo  Stato,  rappresentato  dal  Mibact.  Il predetto principio e’ espresso, in particolare, nei  gia’  richiamati

articoli 135, comma  1,  143,  comma  2,  e  156,  comma  3,  le  cui previsioni  sono  state  meglio  definite  e  affinate  dal   decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 e dal decreto legislativo 26  marzo 2008, n. 63.

Dopo l’entrata  in  vigore  del  Codice  (ma  anteriormente  alle novelle apportate dal decreto legislativo n. 63  del  2008),  con  la deliberazione della giunta regionale n.  556  del  2007,  la  Regione Lazio ha adottato il proprio PTPR, poco dopo modificato, integrato  e rettificato con la deliberazione della giunta regionale n.  1025  del 2007. L’elaborazione del  Piano  da  parte  della  regione  e’  stata finalizzata anche alla verifica e all’adeguamento  dei  PTP  vigenti, destinati a  essere  sostituiti  dal  PTPR  una  volta  approvato,  a esclusione del PTP di Roma ambito 15/12 «Caffarella, Appia  antica  e Acquedotti».

Le delibere di adozione del PTPR e gli elaborati  di  Piano  sono stati  pubblicati  con  le  modalita’   previste   dalla   disciplina regionale, ossia nel BURL 14 febbraio 2008, n. 6, nonche’ negli  albi pretori dei comuni e delle province.

Il PTPR  adottato  ha  assunto  quindi  efficacia  in  regime  di salvaguardia dal giorno successivo alla sua pubblicazione nel BURL.

Dopo di allora, e’ stata avviata l’attivita’ di co-pianificazione con il Ministero, al fine di pervenire ad  attribuire  al  Piano,  in sede  di  approvazione,  la  valenza  di   strumento   pianificatorio elaborato d’intesa tra Stato e regione, ai sensi  delle  disposizioni sopra richiamate del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

In questa prospettiva, l’11 dicembre 2013 e’  stato  sottoscritto un protocollo d’intesa per la tutela e valorizzazione  del  paesaggio laziale tra la Regione Lazio e il Ministero.

L’attivita’ di elaborazione congiunta dei contenuti del Piano  ha infine condotto, il 16 dicembre 2015, alla redazione di  un  apposito verbale di condivisione dei contenuti del piano  paesaggistico  della Regione Lazio, con il quale sono state stabilite, in accordo  tra  la regione e il Ministero, le modifiche e le integrazioni  da  apportare in sede di approvazione allo strumento pianificatorio adottato e sono state definite, in particolare, le norme  di  piano,  incluse  in  un apposito allegato al predetto verbale. L’allegato normativo al verbale di condivisione del  16  dicembre 2015 e’ stato fatto oggetto, da parte della giunta, della proposta di delibera consiliare n. 60 del 10 marzo 2016, tuttavia  mai  approvata dal consiglio regionale.

(Ricostruzione della vicenda dall’agosto del 2019 NDR)

2. E’ invece avvenuto che, a distanza di anni dalla  definizione dei contenuti del PTPR congiuntamente con  il  MIBACT,  il  consiglio regionale ha assunto la deliberazione n. 5 del 2019, con la quale  ha approvato unilateralmente un «proprio» PTPR, diverso  sia  dal  piano adottato nel 2007 sia dai contenuti concordati nel verbale del  2015, oltre che notevolmente peggiorativo dei livelli della tutela rispetto a  entrambe  tali  versioni,  rinviando  a  un   momento   successivo l’adeguamento del piano d’intesa con lo Stato.

La scelta cosi’ assunta dalla regione sconfessa  il  percorso  di condivisione  gia’  svolto  con  il  MIBACT e   risulta,   inoltre, manifestamente in contrasto con la  disciplina  della  pianificazione paesaggistica contenuta nel Codice di settore, la quale richiede  che la fase di co-decisione con lo Stato si collochi a  monte,  e  non  a valle, del piano paesaggistico.

Dopo l’approvazione della suddetta  deliberazione  del  consiglio regionale, per l’intanto non pubblicata nel BUR,  e’  stata  comunque riavviata la collaborazione  tra  il  Ministero  e  la  regione,  perpervenire al definitivo adeguamento del PTPR regionale.

Il percorso cosi’  riaperto  ha  consentito  di  addivenire  alla redazione di un nuovo testo delle  Norme  di  Piano,  emendato  delle novelle aggiunte in via unilaterale  dalla  regione,  che  in  alcuni limitati casi sono state rielaborate anche al fine di raggiungere una soluzione condivisa che fosse compatibile  con  la  salvaguardia  del paesaggio.

Tale nuovo testo e’ stato oggetto della proposta di deliberazione consiliare  n.  42  del  17  febbraio  2020,  adottata  dalla  giunta regionale con deliberazione n. 50 del 13 febbraio 2020.

Tuttavia, nelle more della finalizzazione del  suddetto  percorso condiviso, il PTPR approvato ad agosto del 2019 e’  stato  pubblicatonel Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 13  del  13  febbraio

Col presente ricorso si solleva innanzi alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzioni tra lo Stato e la Regione Lazio, al fine di accertare che non spettava alla regione l’approvazione unilaterale del PTPR, in assenza della necessaria previa intesa con il  Ministero per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo, e  di  ottenere per l’effetto l’annullamento, previa sospensiva, della  deliberazione del consiglio  regionale  n.  5  del  2019  e  degli  atti  connessi, presupposti e attuativi, ivi compresa la nota  20  febbraio  2020  inepigrafe menzionata.

Esposizione in punto di diritto

Violazione degli articoli 9, 117, secondo comma, lettera  s),  e  118 della Costituzione.

Violazione ed erronea applicazione degli articoli 133; 135, comma  1; 143, comma 2; 145, comma 3; 145, comma 5; 156, comma 3,  del  decreto legislativo n. 42/2004 [Codice dei Beni culturali], quali norme interposte.

1. La deliberazione consiliare n. 5 del  2019,  qui  contestata, invade un ambito di competenza amministrativa riservato  allo  Stato, in contrasto grave ed evidente  con  gli  articoli  9,  117,  secondo comma, lettera s), e 118 della Costituzione.

La deliberazione viola, altresi’, le norme  interposte  di  fonte ordinaria direttamente attuative dei  principi  costituzionali  sopra richiamati, contenute nel Codice dei beni culturali e  del  paesaggio e, in particolare:

art.  133  (principio  di  intesa   e   cooperazione   per   la conservazione e la valorizzazione del paesaggio);

art. 135,  comma  1 (principio della pianificazione paesaggistica congiunta tra regione eMinistero e preclusione per la regione di disciplinare  autonomamente le aree  sottoposte  a  tutela  paesaggistica);

art.  143,  comma  2 (rispetto  dell’intesa  stipulata  per  l’elaborazione  del  piano  e obbligo di accordo);

art. 145, comma 3  (principio  della  prevalenza del piano paesaggistico su  tutti  gli  strumenti  di  pianificazione territoriale urbanistica e di settore); art. 145, comma 5  (principio della partecipazione necessaria  del  Ministero  al  procedimento  di adeguamento del piano paesaggistico); art. 156, comma 3  (verifica  e adeguamento dei piani paesaggistici).

Ed invero al riguardo si osserva che la regione:

ha approvato il PTPR e i relativi  allegati,  elaborati  al  di fuori  dell’accordo  con  l’Amministrazione  statale  competente,  in violazione del principio di co-pianificazione obbligatoria  dei  beni paesaggistici e delle prerogative statali assicurate  dall’art.  117, secondo comma, lettera s), e  118  della  Costituzione,  disposizioni rispetto alle quali costituiscono norme interposte le previsioni  del Codice dei beni culturali e del  paesaggio  e,  in  particolare,  gli articoli 133, 135, 143, 145 e 156;

ha  disatteso,   in   violazione   del   principio   di   leale collaborazione, i contenuti gia’ da tempo condivisi con il MIBACT nel lungo percorso di co-pianificazione dianzi illustrato e trasfusi  nel verbale di condivisione del 16 dicembre 2015.

Al riguardo si illustrano, qui di seguito, le  ragioni  in  forza delle  quali   non   spettava   alla   regione   l’assunzione   della deliberazione del consiglio regionale n. 5 del 2019.

2.Come e’ noto, il Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio disciplina il procedimento di redazione e di approvazione  del  piano paesaggistico, quando esso abbia a oggetto o comunque interessi  aree vincolate come beni paesaggistici, ai sensi degli articoli 136 e  142 del medesimo Codice.

In tal caso, alla elaborazione di quella parte del piano concorre in via obbligatoria, in uno con la regione interessata, il  Ministero (cfr. art. 135, comma 1), secondo un canone di  leale  collaborazione fra  Stato  e  regioni  che  trova  la  sua  compiuta   realizzazione esclusivamente nella forma della condivisione necessaria delle scelte di pianificazione paesaggistica territoriale. Lo stesso principio  di leale collaborazione puo’ spingere peraltro le regioni a  coinvolgere il Ministero nell’elaborazione complessiva del piano, in riferimento, quindi, a tutto il territorio considerato, ivi inclusi gli ambiti non vincolati.

Il punto di equilibrio  dei  poteri  statali  e  regionali  nella materia della tutela e valorizzazione del  paesaggio  risponde  a  un fondamentale principio, che sorregge l’intero  sistema  della  tutela del  paesaggio,  che  si  compendia  nella   co-decisione   e   nella compartecipazione necessarie tra Stato e regione in tutte  e  tre  le fasi  in   cui   si   articola   la   tutela   paesaggistica,   ossia individuazione, pianificazione e  gestione,  quest’ultima  esercitata mediante il rilascio delle autorizzazioni degli  interventi  relativi ai beni tutelati.

3. La necessita’ del raggiungimento del punto  di  equilibrio  – rispondente peraltro al fondamentale principio della  co-decisione  e della compartecipazione necessarie tra Stato e regione in tutte e tre le fasi in cui si articola la tutela  paesaggistica  (individuazione, pianificazione e gestione-controllo autorizzatorio dei vincoli),  che sorregge l’intero sistema della tutela del paesaggio – e’ stato  piu’ volte ribadito nella  giurisprudenza  di  codesta  Corte  Ecc.ma,  in riferimento alle regioni a statuto speciale (v. Corte costituzionale, 24 maggio 2009, n. 164; 17 marzo 2010, n. 101;  24  luglio  2013,  n. 238) ed a quelle ordinarie  (si  veda  la  giurisprudenza  che  sara’ citata in prosieguo nel par. 7).

La delibera che si impugna  viola  pertanto  direttamente  questi fondamentali parametri costituzionali, poiche’ la  giunta  regionale, attraverso la deliberazione del  consiglio  regionale  n.  5/2019  ha adottato il Piano senza il previo accordo  con  i  competenti  organi statali e, anzi, in contrasto con le bozze  elaborate  congiuntamente con l’amministrazione statale e in avanzata fase di completamento.

4. La   ragione   fondante   la   previsione   dell’obbligatoria copianificazione tra Stato e regione per i beni  paesaggistici  –  a suo tempo esplicitata dal secondo decreto  correttivo  n.  63/2008  – risiede invero nella necessita’ di evitare che il Piano  territoriale regionale, atto fondamentale  che  rappresenta  la  Costituzione  del territorio,  possa  essere  esposto  a  continue,   anche   radicali, rivisitazioni con il succedersi degli organi regionali.

Il Piano regionale, invece, ha un senso in quanto piano  generale sovraordinato  a  tutti  gli  altri   strumenti   di   pianificazione territoriale, sia urbanistica sia settoriale  (art.  145  del  Codice cit.), ponendosi  necessariamente  in  una  dimensione  temporale  di stabilita’ e di  lungo  periodo,  incompatibile  con  le  unilaterali scelte dei soli organi regionali, poiche’ esprime le scelte di  fondo della pianificazione futura del territorio.

E’ conseguentemente ragionevole che  esso  richieda,  per  essere definito e modificato, procedure non  ordinarie,  ma  «rinforzate»  e aggravate, che consentano da un lato una piu’ approfondita e meditata valutazione, dall’altro lato una piu’ ampia condivisione  che  superi anche i limitati  confini  regionali,  attraverso  la  partecipazione determinante di una pluralita’ di attori istituzionali e trascenda la singola   amministrazione   che,   in    un    determinato    momento politico-istituzionale, si trovi ad essere titolare della funzione.

E’ esattamente questa la ragione  per  la  quale  il  Legislatore nazionale, introducendo una norma che  costituisce  l’architrave  del sistema di tutela, ha voluto la necessaria condivisione tra lo  Stato e la regione dell’eventuale revisione del Piano paesaggistico.

5. Sotto un diverso,  ma  fondamentale  e  convergente  profilo, occorre inoltre rilevare che i beni paesaggistici propri di  ciascuna regione  italiana,  nella  logica  degli  articoli  9  e  117   della Costituzione, trascendono, sia come valore culturale e  sociale,  sia come bene-interesse giuridicamente rilevante,  l’ambito  territoriale regionale, riferibile alla collettivita’ ivi stanziata, per assurgerea una dimensione sicuramente nazionale.

Gli  stessi  sono  infatti  beni  comuni  riferibili   all’intera collettivita’ nazionale,  di  tal  che  e’  la  Repubblica  ad  avere competenza  a  tutelare  il  paesaggio  e  rientra  nella  competenza esclusiva dello Stato il compito di tutelare l’ambiente. Anche in  un’ottica  che  tenga  presente  il  ruolo  degli  enti territoriali alla luce del fondamentale principio di bilanciamento  e di  leale  collaborazione  in  presenza   di   eventuali   competenze concorrenti, cio’ non puo’ che significare che, anche da questo punto di vista, il potere degli organi regionali di ridisegnare i connotati dei relativi paesaggi incontra un preciso limite  costituito  (quanto meno) dal potere di necessaria co-decisione statale opponibile  ancheall’autonomia regionale.

6. La ricostruzione del sistema normativo fin  qui  prospettata,invero, appare perfettamente coerente con i parametri  costituzionali e non svilisce in  alcun  modo  la  centralita’  del  ruolo  e  delle competenze regionali, riconosciute sia dal Codice del 2004, sia dalla Convenzione europea del paesaggio di Firenze del 2000. Resta  infatti fermo e non contestato il ruolo centrale,  strategico  e  propositivo dell’autonomia regionale.

La stessa deve pero’ necessariamente confrontarsi,  su  un  piano paritario e codecisionale, con il ruolo, parimenti essenziale,  degli uffici periferici dello Stato.

Dall’esame della deliberazione regionale n. 5 del 2019  che  oggi si impugna emerge, invece, in modo netto il fraintendimento di  fondo da cui la stessa e’ afflitta, laddove ha ritenuto di poter declassare il ruolo dello  Stato  da  una  posizione  paritaria  ad  un  livello meramente consultivo, collaborativo (e facoltativo).

7. La descritta scelta del legislatore costituisce un  principio la cui validita’ e importanza e’  gia’  stata  affermata  piu’  volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione  di  leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio  decisionale  autonomo  agli strumenti di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno  strumento  di pianificazione sovracomunale, definito d’intesa tra  lo  Stato  e  laregione.

La Corte ha, infatti,  qualificato  come  principio  inderogabile quello della pianificazione congiunta della regione con il  Ministero  competente, secondo quanto previsto dal Codice dei beni  culturali  e del paesaggio (sentenza n. 210 del 2016).

In questa prospettiva, la Corte ha precisato che l’art.  135  del Codice pone un obbligo inderogabile  di  elaborazione  congiunta  del piano paesaggistico e che la ricognizione dei beni  da  sottoporre  a vincoli paesaggistici debba essere realizzata congiuntamente  con  lo Stato e, per esso, con il Ministero (sentenza n. 66 del 2018). In particolare, la Corte ha rimarcato che «La disciplina  statale volta a  proteggere  l’ambiente  e  il  paesaggio  viene  quindi  «”a funzionare come un  limite  alla  disciplina  che  le  regioni  e  le province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facolta’ di queste ultime di adottare norme di  tutela  ambientale piu’   elevata   nell’esercizio   di   competenze,   previste   dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente»  (sentenza  n. 199 del 2014; nello stesso senso, sentenze n. 246 e n. 145 del  2013, 167 del 2010, n. 104 del 2008, n. 378 del 2007). Essa richiede una strategia istituzionale  ad  ampio  raggio,  che  si  esplica  in  un attivita’ pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale.  In tal senso, l’attribuzione allo Stato della  competenza  esclusiva  di tale  “materiaobiettivo”  non  implica   una   preclusione   assoluta all’intervento    regionale,     purche’     questo     sia     volto all’implementazione del valore ambientale e all’innalzamento dei suoi livelli di tutela» (cfr. ancora la sentenza n. 66 del 2018).

Da cio’ deriva l’evidente contrasto della deliberazione impugnata con la normativa statale, che – in linea con le prerogative riservate allo Stato dall’art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  come anche riconosciute dalla costante  giurisprudenza  di  codesta  Corte (tra le molte, sentenza n. 197 del 2014) – specificamente impone  che la regione adotti la  propria  disciplina  di  conformazione  «assicurando la partecipazione degli  organi  ministeriali  al  procedimento medesimo» (sentenze n. 211 del 2013 e n. 235 del 2011).  Costituisce, infatti, affermazione costante – su cui si fonda il  principio  della gerarchia degli  strumenti  di  pianificazione  dei  diversi  livelli territoriali, dettato dall’evocato art. 145,  comma  5,  del  decreto legislativo n. 42 del 2004 (sentenze n. 193 del 2010  e  n.  272  del 2009) – quella secondo cui l’impronta unitaria  della  pianificazione paesaggistica «e’ assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della  legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici  sull’intero  territorio nazionale» (sentenza n. 182 del 2006); al contrario, nella specie, la  generale esclusione della partecipazione  degli  organi  ministeriali nei procedimenti di adozione delle varianti, nella sostanza, veniva a degradare la tutela paesaggistica da valore unitario prevalente  e  a concertazione rigorosamente necessaria, in mera esigenza  urbanistica (sentenza n. 437 del 2008).

Anche di recente la Corte costituzionale ha ribadito  l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un  principio  inderogabile della legislazione  statale,  di  elaborazione  congiunta  del  piano paesaggistico,   con   riferimento   ai   beni    vincolati    (Corte costituzionale n. 86 del  2019)  e  ha  sottolineato  che  l’impronta unitaria della pianificazione  paesaggistica  «e’  assunta  a  valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale  in  quanto espressione  di  un  intervento  teso  a  stabilire  una  metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e   paesaggistici   sull’intero    territorio    nazionale»    (Corte costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza  n.  272  del 2009).

Cio’ comporta, pertanto, da parte  della  regione,  l’obbligo  di garantire  adeguatamente  il  coinvolgimento  del   Ministero   nella pianificazione  paesaggistica,  anche   nelle   eventuali   fasi   di revisione, pur se limitate, del Piano, secondo  quanto  previsto  dal Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di  elaborazione congiunta del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, comma 1, 143, comma 2, 145, comma 5, e 156, comma 3  (Corte  costituzionale 64 del 2015).

La    ragione    sostanziale    fondante     della     previsione dell’obbligatoria co-pianificazione tra Stato e regione  per  i  beni paesaggistici, ribadita ed esplicitata dal secondo decreto correttivo del 2008 (decreto legislativo n. 63 del 2008), risiede anche, d’altra parte, nella necessita’ di evitare che il  piano  paesaggistico,  che rappresenta, per cosi’ dire, la «Costituzione del territorio»,  possa essere esposto, nel  breve  periodo,  come  gia’  detto,  a  radicali rivisitazioni con il susseguirsi degli organi regionali.

Il piano paesaggistico, in quanto piano  di  direzione  generale, sovraordinato  a  tutti  gli  altri   strumenti   di   pianificazione territoriale, sia urbanistica  sia  settoriale  (cfr.  art.  145  del Codice), deve porsi evidentemente e necessariamente in una dimensione temporale di stabilita’ e di  lungo  periodo,  incompatibile  con  le unilaterali scelte dei soli  organi  regionali,  poiche’  esprime  le scelte di fondo della pianificazione futura del territorio. Conseguentemente,  analogamente   a   quanto   avviene   per   la Costituzione nel sistema delle fonti normative, esso deve richiedere, per essere modificato, procedure non  ordinarie,  ma  «rinforzate»  e aggravate, che consentano da un lato una piu’ approfondita e meditata valutazione, dall’altro lato una piu’ ampia  condivisione,  acquisita con la  partecipazione  determinante  di  una  pluralita’  di  attori istituzionali, che trascenda  la  singola  amministrazione  regionale che, in un determinato momento  politico-istituzionale,  si  trova  a essere titolare della funzione.

E’  anche  per  questa  ragione che  il  legislatore   nazionale, introducendo una norma indubbiamente  fondamentale,  che  costituisce l’architrave  del  sistema  di  tutela  e  rappresenta  un  parametro costituzionale interposto, ha voluto la necessaria  condivisione  tra lo Stato e la regione per la elaborazione e  la  eventuale  revisione del piano paesaggistico.

8. Il conflitto di attribuzione  non  si  esaurisce  nella  sola invasione della sfera di competenza normativa e amministrativa  dello Stato, ma si traduce in una lesione diretta  dei  beni  paesaggistici tutelati, determinando una immediata e grave diminuzione del  livello di tutela

Invero,  sotto  un  diverso  ma  convergente   profilo,   occorre sottolineare il fatto che i paesaggi di  ciascuna  regione  italiana, nella logica degli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, trascendono, sia come valore culturale, sociale  e,  in senso  ampio,  politico  sia   come   bene-interesse   giuridicamente rilevante,   l’ambito   territoriale   regionale,   riferibile   alla collettivita’  ivi  stanziata,  per  assurgere   a   una   dimensione sicuramente  nazionale,  in   quanto   beni   comuni   di   interesse oggettivamente   generale   riferibili    all’intera    collettivita’nazionale.

Anche da questo punto di vista riveste  rango  costituzionale  il principio del limite al potere  libero  e  unilaterale  degli  organi regionali di  mutare  e  di  ridisegnare  i  connotati  dei  paesaggi regionali, limite e bilanciamento costituito dal potere di necessaria co-decisione statale.

Le  considerazioni  ora  svolte  dimostrano  altresi’   come   il principio  di  co-decisione   paritetica   necessaria   Stato-regione rifletta e attui a un tempo i principi di adeguatezza e (soprattutto) differenziazione  posti  dall’art.  118  Cost.  come  contrappeso  di riequilibrio del principio di sussidiarieta’ verticale. La violazione regionale qui denunciata si traduce dunque in una violazione  diretta di  tale  essenziale  parametro  costituzionale  nella  distribuzione equilibrata delle competenze amministrative.

Il riflesso applicativo,  sul  piano  della  «allocazione»  delle funzioni  e  delle  competenze,  ai   sensi   dell’art.   118   della Costituzione, si compendia nel rilievo, peraltro gia’  sopra  svolto, per cui il livello  adeguato  e  differenziato  di  competenza  nella pianificazione  paesaggistica  dei  beni  vincolati  e’  collocato  – chiaramente e inderogabilmente – dal legislatore nazionale al livello di co-decisione paritaria tra Stato e regione (pur  con  gli  apporti partecipativi  e  collaborativi  essenziali  delle  altre   autonomie territoriali).

 II

Violazione del principio di leale  collaborazione  (articoli  9,  117 secondo comma, lettera s), 118 Cost.)

9. Se quanto sopra gia’ rende evidente la. violazione, da  parte della Regione Lazio, delle attribuzioni statali di cui agli  articoli 9, 117, secondo comma, lettera s), e  118  della  Costituzione,  deve ancora rimarcarsi che la regione ha  agito  pure  in  violazione  del principio di leale collaborazione.

Va ricordato al riguardo che, secondo l’insegnamento  di  codesta Corte costituzionale, il  principio  di  leale  collaborazione  «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e  regioni», atteso che «la sua elasticita’ e  la  sua  adattabilita’  lo  rendono particolarmente idoneo a regolare in  modo  dinamico  i  rapporti  in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi in particolare, tra le tante, la sentenza n. 31 del 2006). Piu’ in dettaglio, la Corte ha  chiarito  che  «Il  principio  di leale collaborazione, anche in una accezione  minimale,  impone  alle parti  che  sottoscrivono  un   accordo   ufficiale   in   una   sede istituzionale di  tener  fede  ad  un  impegno  assunto»  (ancora  la sentenza richiamata).

La scelta della Regione Lazio di assumere iniziative unilaterali, al di fuori degli accordi raggiunti con lo Stato, si pone,  pertanto,  in contrasto anche con il predetto principio.

(Dettaglio delle disposizioni introdotte uniteralmente dalla Regione nel PTPR approvato ad agosto – e pubblicato. Febbraio 2020 NDR)

10. Il conflitto di attribuzione che si solleva non si esaurisce,peraltro, nella sola invasione e lesione della  sfera  di  competenza normativa e amministrativa dello Stato e nella lesione del  principio di leale collaborazione, come  sopra  ampiamente  dimostrato,  ma  si traduce  anche  in  una  lesione  diretta  dei  valori  paesaggistici tutelati,  determinando  immediatamente  una  grave  diminuzione  del livello di tutela, sia rispetto al  piano  adottato  nel  2007  dalla regione e vigente sin dal 2008 in regime di salvaguardia sia rispetto ai  contenuti  convenuti  con  il  MIBACT  nel  Verbale  del  2015  e nell’accordo del 2020.

Qui di seguito si illustrano le piu’  significative  disposizioni introdotte unilateralmente dalla regione nel testo  delle  Norme  del PTPR riferite ai beni paesaggistici. Per opportuno  confronto  e  per evidenziare l’abbassamento del livello di  tutela  che  deriva  dalle disposizioni regionali  censurate,  le  diversita’  della  disciplina vengono qui di seguito evidenziate rispetto al testo  concordato  nel 2015, rappresentando che il nuovo accordo del 2020 e’  stato  diretto sostanzialmente a espungere  le  novelle  introdotte  unilateralmente dalla regione, con alcuni limitati adattamenti.

Art.  14.  Interventi  sul  patrimonio  edilizio  esistente  e  sulle infrastrutture. Eliminazione delle barriere architettoniche.

L’art. 14 prevede, oltre all’ipotesi degli interventi finalizzati alla  rimozione  delle  barriere  architettoniche  (comma  3),  altri interventi, di varia  tipologia,  sul  patrimonio  edilizio  o  sulle infrastrutture che si considerano consentiti  anche  in  deroga  alle norme di Piano.

La  normativa  approvata  dalla  regione  introduce  ipotesi   di interventi in deroga che  non  erano  presenti  nel  testo  del  2015 concordato con il Ministero. In particolare, il comma 4 stabilisce  – innovando radicalmente rispetto agli accordi  raggiunti  –  che  sono sempre  consentiti  una   serie   di   interventi   di   recupero   e riqualificazione del patrimonio edilizio, tra i quali gli  interventi di rigenerazione urbana di cui alla legge regionale  n.  7  del  2017 (Disposizioni per la rigenerazione urbana ed il  recupero  edilizio); legge che, pur non impugnata avanti alla  Corte  costituzionale,  era gia’ stata oggetto di rilievi da parte del Ministero.

Il comma 6 fa inoltre salve tutte le ulteriori  deroghe  previste dalla legge regionale n. 24 del  1998  (Pianificazione  paesistica  e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico),  ossia gli  interventi   sul   patrimonio   edilizio   esistente   e   sulle infrastrutture previsti  dagli  articoli  18-ter  e  18-quater  della medesima legge. Deve evidenziarsi in proposito che negli ultimi  anni la regione è  in più  occasioni intervenuta sulla legge regionale  n. 24 del 1998, apportando unilateralmente  modifiche  con  implicazioni anche sulla tutela del paesaggio, oggetto di  osservazioni  da  parte del  Ministero,  delle  quali  non  si  e’   proposta   l’impugnativa costituzionale a fronte di specifici impegni da parte della regione a intervenire  in  modifica,  impegni  peraltro  il  piu’  delle  volte disattesi.

Art. 16. Errata perimetrazione dei vincoli.

L’art.  16  disciplina  le   procedure   di   adeguamento   delle perimetrazioni del PTPR con la declaratoria delle  aree  di  notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 del Codice,  contenuta  nei relativi provvedimenti di apposizione del vincolo, o con  l’effettiva esistenza dei beni sottoposti a vincolo ai sensi  dell’art.  142  del Codice,  come  risultano  definiti  e  accertati  dalle  disposizioni contenute nelle norme del PTPR, oppure con l’effettiva esistenza  dei beni sottoposti a vincolo ai sensi dell’art. 134,  comma  1,  lettera c), del Codice, come risultano definiti e accertati dal PTPR.

Nel  testo  approvato  dalla  regione  viene  eliminato   l’esame congiunto   previsto   nella    procedura    definita    dall’accordo Ministero-regione  per  l’adeguamento   delle   perimetrazioni,   che diventano quindi di esclusiva competenza della giunta  regionale,  in  violazione manifesta del Codice di settore.

In proposito deve evidenziarsi che l’attività  di  ricognizione, perimetrazione  rappresentazione   dei   beni   paesaggistici   negli elaborati  del  PTPR  e’  stata  svolta  in   co-pianificazione,   in attuazione dei protocolli di intesa sottoscritti con  la  regione  e, successivamente, formalmente validati mediante la  sottoscrizioni  di specifici verbali da parte  dei  rappresentanti  istituzionali  della regione  e  del  Ministero.  La  regione  pretende  quindi  di  poter ridefinire  unilateralmente  la  perimetrazione   dei   vincoli,   in violazione degli accordi raggiunti.

Art. 34. Protezione delle fasce costiere marittime.

La norma riguarda le fasce costiere  marine  tutelate  ope  legis (art. 142, comma 1, lettera a), del Codice). In particolare, il comma 5  prevede  la  possibilità   di  realizzare  strutture  balneari   e strutture  recettive  all’aria   aperta   in   ambiti   circoscritti, attrezzati a finalità turistiche  in  tutti  i  tipi  di  paesaggio, disattendendo  la  precedente  previsione  oggetto  di  accordo   che escludeva i paesaggi particolarmente vulnerabili o di pregio, come  i paesaggi  «naturali»,  «naturali  agrari»  e  «agrari  di   rilevante valore». Inoltre il testo del 2015 si riferiva alle sole attrezzature balneari e ai campeggi e non alle strutture.

Art. 35. Protezione delle coste dei laghi.

La norma riguarda le fasce costiere lacuali  tutelate  ope  legis (art. 142, comma 1, lettera b), del Codice). Il comma  6  (come  già aveva fatto il comma 5 dell’art. 34 per  le  fasce  costiere  marine) prevede la possibilità  di realizzazione di strutture  connesse  alle attività di stabilimenti balneari, spiagge libere con servizi, punti di ormeggio, ristorazione e  somministrazioni  di  bevande,  noleggio imbarcazioni  e  natanti  in  genere,  sportive,  nonchè   strutture ricettive all’aria aperta, in ambiti circoscritti adibiti a finalità turistiche; ciò  senza riproporre la clausola  di  esclusione  per  i paesaggi vulnerabili, quali i paesaggi naturali,  naturali  agrari  e agrari di rilevante valore, contenuta nella norma corrispondente  del 2015, peraltro circoscritta alle  sole  attrezzature  balneari  e  ai campeggi.

Art. 37. Protezione delle montagne sopra quota 1200 m slm.

La norma riguarda i beni tutelati ope legis  ai  sensi  dell’art. 142, comma 1, lettera d), del Codice. Il comma 3 individua tassativamente le  categorie  di  interventi consentiti  che  nel  testo  regionale  sono  ampliati  rispetto   al corrispondente testo frutto  di  accordo,  con  un  abbassamento  del livello  di  tutela.  In  particolare,  la  regione  ha   riformulato unilateralmente  la  lettera  d),  che  prevede  la  possibilità  di modernizzare gli impianti sportivi esistenti  mediante  realizzazione «di piste, tracciati, rifugi,  impianti  di  risalita,  impianti  per innevamento artificiale e strutture ricettive di modesta  entità»  e ha riconfermato quanto previsto alla lettera f) del testo delle Norme di piano adottato nel 2007 (eliminato nel testo oggetto  dell’accordo del 2015), che consente la realizzazione di percorsi e rifugi.

Art. 38. Protezione dei parchi e delle riserve naturali.

La norma riguarda i beni tutelati ope legis dall’art. 142,  comma 1, lettera f), del Codice.La regione introduce (rispetto al testo oggetto  di  accordo)  un nuovo comma 8 che, in contrasto con quanto  stabilito  dall’art.  145 del  Codice,  prevede  l’applicazione  della  disciplina  dei   piani d’assetto   approvati   dalla   regione   in   luogo   delle    norme paesaggistiche,  in  assenza  del  necessario  adeguamento  al  Piano paesaggistico.

Al riguardo, deve tenersi presente  che  analoga  previsione  era stata introdotta dalla regione con l’art. 1 della legge regionale  n. 2 del 2018, sia pure in via transitoria, in attesa  dell’approvazione del PTPR, ed era stata poi modificata a  seguito  delle  osservazioni del Ministero. In particolare, la disposizione legislativa da  ultimo richiamata aveva modificato  il  comma  4  dell’art.  9  della  legge regionale n. 24 del 1998, prevedendo, che «Fino all’approvazione  delPTPR la disciplina  di  tutela  dei  beni  paesaggistici  di  cui  al presente articolo si attua mediante le previsioni contenute nei piani delle aree naturali protette qualora  definitivamente  approvati  dalconsiglio  regionale»;  la  disposizione  era  stata   poi   corretta(dall’art. 22, comma 2, della legge regionale 22 ottobre 2018, n.  7) aggiungendo, in fine, la seguente precisazione: «purche’ non siano in contrasto con la disciplina d’uso dei paesaggi prevista  dal  PTPR  e con la normativa relativa alle classificazioni per  zone  delle  aree prevista dai PTP».

Con  l’approvazione  del  PTPR,  la  regione  reintroduce  quindi l’affermazione della prevalenza degli strumenti  pianificatori  delle aree protette rispetto al Piano paesaggistico, violando la  gerarchia degli strumenti di pianificazione  territoriale  stabilita  dall’art. 143, comma 3, del Codice  [ove  si  stabilisce  espressamente  –  tra l’altro – che «Per quanto  attiene  alla  tutela  del  paesaggio,  le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque  prevalenti  sulle disposizioni contenute negli  atti  di  pianificazione  ad  incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette»].

Art. 44. Insediamenti urbani storici e relativa fascia di rispetto.

La norma sottopone a vincolo paesistico gli  insediamenti  urbani storici che includono gli organismi urbani di antica formazione  e  i centri che hanno dato origine alle città   contemporanee  nonché  le città di fondazione e i centri realizzati nel XX secolo (comma 1).

La regione riduce unilateralmente la fascia di rispetto  prevista per i suddetti insediamenti (comma 4), nella quale ogni modificazione dello stato dei luoghi è  sottoposta ad autorizzazione paesaggistica, portandola da centocinquanta a cento metri.

Inoltre, per il centro storico di Roma, al quale non  si  applica l’art. 44, la regione – al comma  19  –  modifica  il  corrispondente testo del 2015, secondo il quale, in  relazione  alla  particolarità del sito, era prevista l’applicazione di specifiche  prescrizioni  di tutela da definirsi congiuntamente tra regione e Ministero. Nel testo approvato, tali previe prescrizioni non sono più  contemplate  e  si rimette ogni valutazione dei singoli interventi alla  Soprintendenza, facendo riferimento a un protocollo d’intesa con il  Comune  di  Roma risalente al 2009 e  non  pertinente.

Il  PTPR  rinuncia  così,  in sostanza,  a   esercitare   il   ruolo   doveroso   di   disciplinare complessivamente e sulla base di una visione d’insieme gli interventi nel sito UNESCO del centro storico di Roma.

Art. 52. Aziende agricole in aree vincolate.

La norma disciplina gli  interventi  ammissibili  nell’ambito  di aziende agricole situate in aree vincolate. La  norma  regionale  conferma  la  possibilità   di   realizzare manufatti  connessi  alle  attività  agricoleampliando   tuttavia sensibilmente le relative categorie rispetto al testo concordato  nel 2015, mediante il riferimento «alle attività agricole  tradizionali, connesse e compatibili di cui alla legge regionale 22 dicembre  1999, 38 e successive modifiche». Vengono così   richiamate  tutte  le attività  cui si riferisce la predetta legge, le quali potenzialmente comportano – a seguito delle recenti modifiche – anche interventi  di rilevante impatto.

Art. 55. Piani urbanistici attuativi in zona vincolata.

La regione sopprime la prevista procedura di concerto (introdotta dal comma 4 dell’art. 54 del testo del 2015) tra Ministero e  regione per l’espressione del  parere  paesaggistico  sui  Piani  urbanistici attuativi. I predetti piani vengono  approvati  infatti  direttamente dai comuni, in palese violazione anche dell’art. 145,  comma  3,  del Codice [in base al quale «La regione disciplina  il  procedimento  di conformazione  ed  adeguamento  degli  strumenti   urbanistici   alle previsioni  della  pianificazione   paesaggistica,   assicurando   la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo»].

Art. 62. Rapporto tra PTPR e gli altri  strumenti  di  pianificazione territoriale, settoriale e urbanistica.

Il testo della regione  elimina  –  in  contrasto  con  il  testo concordato nel 2015 e in violazione dell’art. 145  del  Codice  –  il riferimento alla funzione di indirizzo del Piano  per  la  parte  del territorio  non  interessata  da  vincoli,  per   la   pianificazione territoriale e di settore.

Art. 63. Norme  di  salvaguardia  in  attesa  dell’adeguamento  degli strumenti urbanistici ai sensi del comma 3 dell’art. 145 del Codice.

Il testo approvato dalla regione fa  salve  tutte  le  previsioni degli strumenti urbanistici generali e  attuativi  approvati  tra  il 1987 e il 2007, in quanto ritenuti «conformi» prima ai PTP  approvati (1998) e poi al PTPR adottato (2007), senza che sia  compiuta  alcuna verifica dei relativi contenuti (come previsto nel testo del 2015)  e senza prevedere la  necessità  di  adeguamento  al  PTPR  approvato.

Vengono con ciò  disattesi non solo gli impegni del 2015, ma anche le previsioni dell’art. 143, comma 9, del Codice [in forza del quale  le disposizioni del piano paesaggistico «A far data  dalla  approvazione del piano  (…)  sono  immediatamente  cogenti  e  prevalenti  sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici»], nonche’ dell’art. 145, comma 4, del Codice, in  tema  di  adeguamento  degli  strumenti urbanistici al piano paesaggistico ad essi sovraordinato.  Vengono fatte salve,  inoltre,  tutte  le  previsioni  dei  piani attuativi che abbiano acquisito il parere  paesaggistico  (rilasciato dalla sola regione) nel periodo compreso tra la data  di  adozione  e quella di approvazione del PTPR (ossia tra il 2007 e il  2020);  cio’ ai sensi dell’art. 63, comma 7, del PTRP approvato dalla regione.

Negli altri casi, il comma 3 del medesimo art. 63 prevede che per gli  strumenti  urbanistici   attuativi   adottati   alla   data   di pubblicazione dell’approvazione del PTPR debba  essere  acquisito  il parere paesaggistico  per  la  verifica  della  conformità  al  PTPR approvato, senza contemplare il coinvolgimento del Ministero.

Art. 64. Norma transitoria per le aree di  scarso  pregio  paesistico  classificate dai PTP al livello minimo di tutela.

L’articolo introduce, al comma 2 – non concordato con il MIBACT – una disciplina transitoria  anche  per  i  procedimenti  di  varianti urbanistiche adottate prima della pubblicazione dell’approvazione del PTPR, stabilendo che l’iter è  concluso sulla base  della  norma  del Piano adottato, senza la  partecipazione  del  Ministero,  prevedendo Altresì che i relativi esiti siano recepiti nel PTPR.

Art. 65. Adeguamento  e  conformazione  degli  strumenti  urbanistici comunali al PTPR.

La  regione  disciplina  il   procedimento   di   adeguamento   e conformazione  degli  strumenti  urbanistici  comunali  al  PTPR   in difformità rispetto a quanto previsto  nel  testo  del  2015  e  nel Codice di settore.

In particolare, in contrasto con quanto disposto  dall’art.  145, comma 4, del Codice, la regione stabilisce  che  l’adeguamento  degli strumenti urbanistici al PTPR si realizzi entro tre anni (invece  che entro due anni) dalla data di pubblicazione nel BURL. Viene, inoltre, esclusa  la  partecipazione  del   Ministero   al   procedimento   di adeguamento che viene demandato  alla  sola  regione,  in  violazionemanifesta di quanto stabilito dall’art.145, comma 5, del Codice.

Si prefigura cosi’, fin da subito, un  sostanziale  «adeguamento» del Piano paesaggistico alle previsioni degli  strumenti  urbanistici vigenti, sulla base di quanto stabilito dagli articoli 63 e 64  delle Norme del PTPR approvato dalla regione,  contravvenendo  ad  uno  dei principi fondamentali sanciti dal  Codice  in  materia  di  gerarchia degli strumenti di pianificazione.

Art. 66. Adeguamento e  conformazione  al  PTPR  degli  strumenti  di pianificazione territoriale di settore.

Come già  previsto nell’art.  65,  anche  in  questo  caso  viene esclusa  la  partecipazione  del   Ministero   al   procedimento   di adeguamento  degli  strumenti  di  pianificazione   territoriale   di settore, in violazione a quanto previsto dall’art. 145, comma 5,  del Codice. Si introducono, inoltre, semplificazioni procedurali ai  fini del recepimento delle previsioni degli  strumenti  di  pianificazione territoriale di settore nel PTPR,  invertendo  ancora  una  volta  la gerarchia tra i piani.

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11. Messi a fuoco, nei termini sopra illustrati,  i  principali profili di illegittimità   del  PTPR  approvato  dalla  regione,  per manifesta  violazione  dell’accordo  con   il   Ministero   e   delle disposizioni del Codice di settore, si  ritiene  tuttavia  necessario segnalare, sia pure più sinteticamente,  gli  ulteriori  profili  di criticità delle  Norme  di  Piano  ormai  entrate  in  vigore.   In particolare, si evidenzia quanto segue:

Art.  1.  Finalitàviene  eliminato  il   riferimento   alla redazione del Piano in  regime  di  copianificazione  col  Ministero, sulla base del protocollo d’intesa sottoscritto  l’11  dicembre  2013 tra Regione Lazio e Ministero per la tutela e la  valorizzazione  del paesaggio laziale;

Art. 2. Contenuti del PTPR: sono introdotte ulteriori forme  di semplificazione non previste dal Codice, prevedendo, in  particolare, che il Piano individui le aree nelle quali la realizzazione di  opere ed interventi di conservazione e  trasformazione  del  territorio  è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni, delle misure e dei criteri di gestione stabiliti  nel  Piano  stesso, nonché  le aree per le quali  il  Piano  definisce  anche  specifiche previsioni vincolanti da introdurre negli  strumenti  urbanistici  in sede di conformazione e di adeguamento;

Art.  3.  Elaborati:  sono   soppressi   tutti   gli   apparati conoscitivi, quali gli  allegati  alle  Norme  e  tutti  i  repertori allegati alle tavole B e C e quelli relativi ai beni  del  patrimonio naturale e culturale,  di  cui  il  Piano  si  avvaleva  per  guidare l’attuazione  delle  sue  previsioni,  oltre  che  sotto  il  profilo

prescrittivo anche con riguardo ai profili ricognitivo e d’indirizzo;

Art. 4. Quadro  conoscitivo:  con  una  nuova  disposizione  è attribuita  esclusivamente  agli  enti  locali  la   competenza   per  l’integrazione dei beni  indicati  nelle  tavole  C  o  di  ulteriori categorie di beni;

Art. 10. Beni paesaggistici, art. 134, comma 1, lettera c)  del Codice dei beni culturali e del paesaggio: si ampliano  le  forme  di semplificazione  procedurale,   prevedendo   ipotesi   in   cui   gli interventi. sono realizzati in mancanza del titolo  paesaggistico  di cui all’art. 146 del Codice di settore;

Art. 15. Disposizioni  speciali  per  i  territori  colpiti  da eventi calamitosi: si tratta di una  disposizione  inserita  ex  novo dalla regione, in forza  della  quale  in  determinate  porzioni  del territorio, individuate dalla giunta regionale su proposta del comune interessato, sono autorizzati gli interventi di  ricostruzione  anche con variazione di sagoma in deroga alle norme del PTPR, previo parere del Ministero.

Come sopra detto, si dà  atto che nel  sito  istituzionale  della Regione Lazio è  stata  pubblicata  la  proposta  di  deliberazione consiliare  n.  42  del  17  febbraio  2020,  adottata  dalla  giunta regionale con la deliberazione n. 50 del 13 febbraio 2020.

La proposta di deliberazione fa proprio, ai fini dell’accordo  di cui agli articoli 156, comma 3, e 143, comma 2, del Codice di cui  al decreto legislativo n. 42 del 2004, il documento denominato «02.01  – Norme PTPR – Testo  proposto  per  l’accordo  regione/  MiBACT»,  che dovrebbe sostituire integralmente le Norme del PTPR  approvate  dalla deliberazione n. 5 del 2019.

Tuttavia,  solo  l’approvazione  della  delibera  proposta  dalla Giunta da parte del consiglio regionale del  Lazio  e  la  sua  piena efficacia  a  seguito  della   pubblicazione   potranno   determinare l’effettiva sostituzione delle Norme del PTPR approvato  e  ormai  in vigore, e  quindi  risolvere  le  criticità   rilevate.  Allo  stato, l’avvenuta pubblicazione nel BURL della predetta delibera  n.  5  del 2019 impone pertanto la proposizione del  conflitto  di  attribuzione innanzi alla Corte costituzionale.

In  conclusione,  la  delibera  in  esame  invade  la  sfera   di competenza assegnata dalla  Costituzione  allo  Stato,  causando  una immediata lesione dell’interesse costituzionale primario  e  assoluto alla tutela del paesaggio (Corte costituzionale  n.  367  del  2007).

L’interesse al ricorso è dunque concreto e attuale e mira, oltre che alla  difesa  dell’ambito  delle  competenze  statali,  indebitamente invase dall’atto regionale, a impedire effetti lesivi  nei  confronti dei beni  paesaggistici  protetti,  immediatamente  scaturenti  dalla delibera regionale impugnata.

 Le  prescrizioni  previste  dal  Piano  approvato,  costituiscono infatti, come sopra specificato, misure molto diverse  e  assai  meno efficaci nel livello di tutela  dei  beni  paesaggistici  rispetto  a quelle  del  Piano  adottato  nel  2007,   vigente   in   regime   di salvaguardia, e di quelle successivamente concordate con il MIBACT.

 III

Istanza cautelare

Infine, si propone istanza di tutela cautelare per le ragioni che seguono, atteso che la Regione Lazio ha inteso già  dare  esecuzione alla deliberazione  impugnata  emanando  una  direttiva  (nota  prot. 0153503 del 20 febbraio 2020) con la quale si  regola  l’applicazione delle disposizioni contenute nel nuovo Piano alle domande pendenti ed a quelle presentate dopo la sua pubblicazione.

Si legge nella citata nota [dopo  una  generica  quanto  astratta premessa «Attese le modalità  compartecipative  della  procedura  di autorizzazione paesaggistica, sia nella forma ordinaria ex art.  146, decreto legislativo n. 42/2004 che in quella semplificata  ex  d.p.r. 31/2017,  è  evidente  che  la  regolamentazione  dei   procedimenti pendenti proposta  nella  presente  nota  deve  trovare  riscontro  e condivisione in codesto Ministero per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo»] che, in mancanza di norme transitorie, «Per  tutte le istanze presentate e protocollate entro il 13 febbraio  2020  [per le quali non si  sia  ancora  svolta  o  conclusa  l’istruttoria]  le disposizioni applicabili  ai  fini  della  definizione  dei  relativi procedimenti  di  autorizzazione  paesaggistica   …   sono   quelle contenute nei PTP e nel PTPR  come  adottato,  mentre  la  disciplina applicabile alle istanze presentate dal  14  febbraio  in  poi  sarà  costituita unicamente dalle previsioni del PTPR approvato».

E’ evidente il gravissimo e irreparabile danno  che  l’esecuzione della deliberazione del  consiglio  regionale  n.  5  del  2019  oggi impugnata può  arrecare allo Stato italiano e alla collettività, non

solo creando aspettative  tutelabili  nei  soggetti  interessati  ma, anche, consentendo la piena attuazione delle disposizioni  censurate, difformi da quelle concordate con il Ministero e  parametrate  ad  un più basso livello di tutela ambientale e paesaggistica.

Considerato il fumus boni iuris che sorregge i motivi di  ricorso sopra enunziati, si chiede a codesta Ecc.ma Corte  costituzionale  di valutare la opportunità  di sospendere la suddetta delibera alla luce dell’estremo pregiudizio  e  della  irreparabilità   del  danno  alla collettività  derivante dal  fatto  che  la  porzione  di  territorio interessata ne verrebbe irreversibilmente  compromessa  ed  alterata.

L’abbassamento del livello  della  tutela  dei  valori  paesaggistici conseguente    alla    esecutività    della    delibera    impugnata determinerebbe, come già  detto, il concreto  rischio  della  lesione irreparabile dello stato dei luoghi che, in  quanto  beni  comuni  di interesse  oggettivamente  generale,   sono   riferibili   all’intera collettività nazionale.

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