Piano Paesaggistico della Regione Lazio perchè il Ministero dei Beni culturali l’ha impugnato
Autore : Redazione
Il conflitto di attribuzione non si esaurisce nella sola invasione della sfera di competenza normativa e amministrativa dello Stato, ma si traduce in una lesione diretta dei beni paesaggistici tutelati, determinando una immediata e grave diminuzione del livello di tutela.
(in costruzione: sintesi dei principali punti del ricorso)
16 maggio 2020
dalla Gazzetta Ufficiale https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-05-06&atto.codiceRedazionale=20C00109
NOTA: caratteri in grassetto e sottolineature sono state aggiunte da Carteinregola
Ricorso per conflitto di attribuzione ex art. 134 Cost. e art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, con istanza di sospensiva del Presidente del Consiglio dei ministri (codice fiscale n. 80188230587), in persona del Presidente pro tempore, rappresentato edifeso dall’Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale n.80224030587), presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12 e’domiciliato (per il ricevimento degli atti: fax: 06.96.51.40.00; Pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it), giusta deliberazione delConsiglio dei ministri in data 6 aprile 2020, contro la RegioneLazio, in persona del Presidente in carica della giunta regionale,nonche’ – per quanto occorrer possa – del Presidente del consiglio regionale, avverso la deliberazione del consiglio regionale del Lazio n. 5 del 2 agosto 2019, recante «Piano territoriale paesistico regionale (PTPR)», pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Lazio (BURL) n. 13 del 13 febbraio 2020, per la declaratoria della non spettanza alla Regione Lazio dei poteri ivi esercitati, e per il conseguente annullamento, previa sospensiva, della detta deliberazione del consiglio regionale del Lazio n. 5 del 2 agosto 2019, nonche’ di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e attuativo, ivi compresa la nota in data 20 febbraio 2020 della Regione Lazio – Direzione regionale per le politiche abitative e la pianificazione territoriale, paesistica e urbanistica.
Con la deliberazione del consiglio regionale del Lazio n. 5 del 2 agosto 2019, recante «Piano territoriale paesistico regionale (PTPR)», sono stati approvati gli elaborati descrittivi eprescrittivi che compongono il predetto piano, tra i quali le norme del PTPR.
La deliberazione, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Lazio (BURL) n. 13 del 13 febbraio 2020, e’ stata assunta unilateralmente dalla regione, in violazione degli impegni assunti nei confronti del Ministero dei beni e le attivita’ culturali, ai sensi degli articoli 133, 135, comma 1, 143, comma 2, e 156, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Oltretutto, il piano deliberato dalla regione risulta improntato a un generale abbassamento del livello della tutela dei valori paesaggistici, e la sua approvazione determina, altresi’, il concreto rischio della lesione di interessi costituzionali primari, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione.
La Presidenza del Consiglio solleva, pertanto, il conflitto di attribuzione nei confronti della deliberazione del consiglio regionale suddetta, ai sensi degli articoli 134 Cost. e 39 ss. Della legge 11 marzo 1953, n. 87, con istanza di sospensione del provvedimento contestato.
Esposizione in punto di fatto
(Ricostruzione della vicenda fino all’agosto del 2019)
1. Va premesso che, ai sensi dell’art. 19 della legge regionale del Lazio 6 luglio 1998, n. 24, recante «Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico», erano stati a suo tempo approvati, mediante deliberazioni della giunta regionale, i Piani territoriali paesistici (PTP) della Regione Lazio.
In data 9 febbraio 1999 il Ministero, la regione e l’universita’ di Roma Tre – DIPSA avevano sottoscritto un accordo di collaborazione per la redazione del PTPR, in attuazione del quale era stato istituito un Comitato tecnico scientifico per la redazione del piano.
Nel 2004 e’ entrato in vigore il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che ha innovato la precedente disciplina statale in materia di pianificazione paesaggistica, introducendo, tra l’altro, il principio della pianificazione congiunta dei beni paesaggistici tra ciascuna regione e lo Stato, rappresentato dal Mibact. Il predetto principio e’ espresso, in particolare, nei gia’ richiamati
articoli 135, comma 1, 143, comma 2, e 156, comma 3, le cui previsioni sono state meglio definite e affinate dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 e dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63.
Dopo l’entrata in vigore del Codice (ma anteriormente alle novelle apportate dal decreto legislativo n. 63 del 2008), con la deliberazione della giunta regionale n. 556 del 2007, la Regione Lazio ha adottato il proprio PTPR, poco dopo modificato, integrato e rettificato con la deliberazione della giunta regionale n. 1025 del 2007. L’elaborazione del Piano da parte della regione e’ stata finalizzata anche alla verifica e all’adeguamento dei PTP vigenti, destinati a essere sostituiti dal PTPR una volta approvato, a esclusione del PTP di Roma ambito 15/12 «Caffarella, Appia antica e Acquedotti».
Le delibere di adozione del PTPR e gli elaborati di Piano sono stati pubblicati con le modalita’ previste dalla disciplina regionale, ossia nel BURL 14 febbraio 2008, n. 6, nonche’ negli albi pretori dei comuni e delle province.
Il PTPR adottato ha assunto quindi efficacia in regime di salvaguardia dal giorno successivo alla sua pubblicazione nel BURL.
Dopo di allora, e’ stata avviata l’attivita’ di co-pianificazione con il Ministero, al fine di pervenire ad attribuire al Piano, in sede di approvazione, la valenza di strumento pianificatorio elaborato d’intesa tra Stato e regione, ai sensi delle disposizioni sopra richiamate del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In questa prospettiva, l’11 dicembre 2013 e’ stato sottoscritto un protocollo d’intesa per la tutela e valorizzazione del paesaggio laziale tra la Regione Lazio e il Ministero.
L’attivita’ di elaborazione congiunta dei contenuti del Piano ha infine condotto, il 16 dicembre 2015, alla redazione di un apposito verbale di condivisione dei contenuti del piano paesaggistico della Regione Lazio, con il quale sono state stabilite, in accordo tra la regione e il Ministero, le modifiche e le integrazioni da apportare in sede di approvazione allo strumento pianificatorio adottato e sono state definite, in particolare, le norme di piano, incluse in un apposito allegato al predetto verbale. L’allegato normativo al verbale di condivisione del 16 dicembre 2015 e’ stato fatto oggetto, da parte della giunta, della proposta di delibera consiliare n. 60 del 10 marzo 2016, tuttavia mai approvata dal consiglio regionale.
(Ricostruzione della vicenda dall’agosto del 2019 NDR)
2. E’ invece avvenuto che, a distanza di anni dalla definizione dei contenuti del PTPR congiuntamente con il MIBACT, il consiglio regionale ha assunto la deliberazione n. 5 del 2019, con la quale ha approvato unilateralmente un «proprio» PTPR, diverso sia dal piano adottato nel 2007 sia dai contenuti concordati nel verbale del 2015, oltre che notevolmente peggiorativo dei livelli della tutela rispetto a entrambe tali versioni, rinviando a un momento successivo l’adeguamento del piano d’intesa con lo Stato.
La scelta cosi’ assunta dalla regione sconfessa il percorso di condivisione gia’ svolto con il MIBACT e risulta, inoltre, manifestamente in contrasto con la disciplina della pianificazione paesaggistica contenuta nel Codice di settore, la quale richiede che la fase di co-decisione con lo Stato si collochi a monte, e non a valle, del piano paesaggistico.
Dopo l’approvazione della suddetta deliberazione del consiglio regionale, per l’intanto non pubblicata nel BUR, e’ stata comunque riavviata la collaborazione tra il Ministero e la regione, perpervenire al definitivo adeguamento del PTPR regionale.
Il percorso cosi’ riaperto ha consentito di addivenire alla redazione di un nuovo testo delle Norme di Piano, emendato delle novelle aggiunte in via unilaterale dalla regione, che in alcuni limitati casi sono state rielaborate anche al fine di raggiungere una soluzione condivisa che fosse compatibile con la salvaguardia del paesaggio.
Tale nuovo testo e’ stato oggetto della proposta di deliberazione consiliare n. 42 del 17 febbraio 2020, adottata dalla giunta regionale con deliberazione n. 50 del 13 febbraio 2020.
Tuttavia, nelle more della finalizzazione del suddetto percorso condiviso, il PTPR approvato ad agosto del 2019 e’ stato pubblicatonel Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 13 del 13 febbraio
Col presente ricorso si solleva innanzi alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzioni tra lo Stato e la Regione Lazio, al fine di accertare che non spettava alla regione l’approvazione unilaterale del PTPR, in assenza della necessaria previa intesa con il Ministero per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo, e di ottenere per l’effetto l’annullamento, previa sospensiva, della deliberazione del consiglio regionale n. 5 del 2019 e degli atti connessi, presupposti e attuativi, ivi compresa la nota 20 febbraio 2020 inepigrafe menzionata.
Esposizione in punto di diritto
I
Violazione degli articoli 9, 117, secondo comma, lettera s), e 118 della Costituzione.
Violazione ed erronea applicazione degli articoli 133; 135, comma 1; 143, comma 2; 145, comma 3; 145, comma 5; 156, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004 [Codice dei Beni culturali], quali norme interposte.
1. La deliberazione consiliare n. 5 del 2019, qui contestata, invade un ambito di competenza amministrativa riservato allo Stato, in contrasto grave ed evidente con gli articoli 9, 117, secondo comma, lettera s), e 118 della Costituzione.
La deliberazione viola, altresi’, le norme interposte di fonte ordinaria direttamente attuative dei principi costituzionali sopra richiamati, contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio e, in particolare:
art. 133 (principio di intesa e cooperazione per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio);
art. 135, comma 1 (principio della pianificazione paesaggistica congiunta tra regione eMinistero e preclusione per la regione di disciplinare autonomamente le aree sottoposte a tutela paesaggistica);
art. 143, comma 2 (rispetto dell’intesa stipulata per l’elaborazione del piano e obbligo di accordo);
art. 145, comma 3 (principio della prevalenza del piano paesaggistico su tutti gli strumenti di pianificazione territoriale urbanistica e di settore); art. 145, comma 5 (principio della partecipazione necessaria del Ministero al procedimento di adeguamento del piano paesaggistico); art. 156, comma 3 (verifica e adeguamento dei piani paesaggistici).
Ed invero al riguardo si osserva che la regione:
ha approvato il PTPR e i relativi allegati, elaborati al di fuori dell’accordo con l’Amministrazione statale competente, in violazione del principio di co-pianificazione obbligatoria dei beni paesaggistici e delle prerogative statali assicurate dall’art. 117, secondo comma, lettera s), e 118 della Costituzione, disposizioni rispetto alle quali costituiscono norme interposte le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio e, in particolare, gli articoli 133, 135, 143, 145 e 156;
ha disatteso, in violazione del principio di leale collaborazione, i contenuti gia’ da tempo condivisi con il MIBACT nel lungo percorso di co-pianificazione dianzi illustrato e trasfusi nel verbale di condivisione del 16 dicembre 2015.
Al riguardo si illustrano, qui di seguito, le ragioni in forza delle quali non spettava alla regione l’assunzione della deliberazione del consiglio regionale n. 5 del 2019.
2.Come e’ noto, il Codice dei beni culturali e del paesaggio disciplina il procedimento di redazione e di approvazione del piano paesaggistico, quando esso abbia a oggetto o comunque interessi aree vincolate come beni paesaggistici, ai sensi degli articoli 136 e 142 del medesimo Codice.
In tal caso, alla elaborazione di quella parte del piano concorre in via obbligatoria, in uno con la regione interessata, il Ministero (cfr. art. 135, comma 1), secondo un canone di leale collaborazione fra Stato e regioni che trova la sua compiuta realizzazione esclusivamente nella forma della condivisione necessaria delle scelte di pianificazione paesaggistica territoriale. Lo stesso principio di leale collaborazione puo’ spingere peraltro le regioni a coinvolgere il Ministero nell’elaborazione complessiva del piano, in riferimento, quindi, a tutto il territorio considerato, ivi inclusi gli ambiti non vincolati.
Il punto di equilibrio dei poteri statali e regionali nella materia della tutela e valorizzazione del paesaggio risponde a un fondamentale principio, che sorregge l’intero sistema della tutela del paesaggio, che si compendia nella co-decisione e nella compartecipazione necessarie tra Stato e regione in tutte e tre le fasi in cui si articola la tutela paesaggistica, ossia individuazione, pianificazione e gestione, quest’ultima esercitata mediante il rilascio delle autorizzazioni degli interventi relativi ai beni tutelati.
3. La necessita’ del raggiungimento del punto di equilibrio – rispondente peraltro al fondamentale principio della co-decisione e della compartecipazione necessarie tra Stato e regione in tutte e tre le fasi in cui si articola la tutela paesaggistica (individuazione, pianificazione e gestione-controllo autorizzatorio dei vincoli), che sorregge l’intero sistema della tutela del paesaggio – e’ stato piu’ volte ribadito nella giurisprudenza di codesta Corte Ecc.ma, in riferimento alle regioni a statuto speciale (v. Corte costituzionale, 24 maggio 2009, n. 164; 17 marzo 2010, n. 101; 24 luglio 2013, n. 238) ed a quelle ordinarie (si veda la giurisprudenza che sara’ citata in prosieguo nel par. 7).
La delibera che si impugna viola pertanto direttamente questi fondamentali parametri costituzionali, poiche’ la giunta regionale, attraverso la deliberazione del consiglio regionale n. 5/2019 ha adottato il Piano senza il previo accordo con i competenti organi statali e, anzi, in contrasto con le bozze elaborate congiuntamente con l’amministrazione statale e in avanzata fase di completamento.
4. La ragione fondante la previsione dell’obbligatoria copianificazione tra Stato e regione per i beni paesaggistici – a suo tempo esplicitata dal secondo decreto correttivo n. 63/2008 – risiede invero nella necessita’ di evitare che il Piano territoriale regionale, atto fondamentale che rappresenta la Costituzione del territorio, possa essere esposto a continue, anche radicali, rivisitazioni con il succedersi degli organi regionali.
Il Piano regionale, invece, ha un senso in quanto piano generale sovraordinato a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica sia settoriale (art. 145 del Codice cit.), ponendosi necessariamente in una dimensione temporale di stabilita’ e di lungo periodo, incompatibile con le unilaterali scelte dei soli organi regionali, poiche’ esprime le scelte di fondo della pianificazione futura del territorio.
E’ conseguentemente ragionevole che esso richieda, per essere definito e modificato, procedure non ordinarie, ma «rinforzate» e aggravate, che consentano da un lato una piu’ approfondita e meditata valutazione, dall’altro lato una piu’ ampia condivisione che superi anche i limitati confini regionali, attraverso la partecipazione determinante di una pluralita’ di attori istituzionali e trascenda la singola amministrazione che, in un determinato momento politico-istituzionale, si trovi ad essere titolare della funzione.
E’ esattamente questa la ragione per la quale il Legislatore nazionale, introducendo una norma che costituisce l’architrave del sistema di tutela, ha voluto la necessaria condivisione tra lo Stato e la regione dell’eventuale revisione del Piano paesaggistico.
5. Sotto un diverso, ma fondamentale e convergente profilo, occorre inoltre rilevare che i beni paesaggistici propri di ciascuna regione italiana, nella logica degli articoli 9 e 117 della Costituzione, trascendono, sia come valore culturale e sociale, sia come bene-interesse giuridicamente rilevante, l’ambito territoriale regionale, riferibile alla collettivita’ ivi stanziata, per assurgerea una dimensione sicuramente nazionale.
Gli stessi sono infatti beni comuni riferibili all’intera collettivita’ nazionale, di tal che e’ la Repubblica ad avere competenza a tutelare il paesaggio e rientra nella competenza esclusiva dello Stato il compito di tutelare l’ambiente. Anche in un’ottica che tenga presente il ruolo degli enti territoriali alla luce del fondamentale principio di bilanciamento e di leale collaborazione in presenza di eventuali competenze concorrenti, cio’ non puo’ che significare che, anche da questo punto di vista, il potere degli organi regionali di ridisegnare i connotati dei relativi paesaggi incontra un preciso limite costituito (quanto meno) dal potere di necessaria co-decisione statale opponibile ancheall’autonomia regionale.
6. La ricostruzione del sistema normativo fin qui prospettata,invero, appare perfettamente coerente con i parametri costituzionali e non svilisce in alcun modo la centralita’ del ruolo e delle competenze regionali, riconosciute sia dal Codice del 2004, sia dalla Convenzione europea del paesaggio di Firenze del 2000. Resta infatti fermo e non contestato il ruolo centrale, strategico e propositivo dell’autonomia regionale.
La stessa deve pero’ necessariamente confrontarsi, su un piano paritario e codecisionale, con il ruolo, parimenti essenziale, degli uffici periferici dello Stato.
Dall’esame della deliberazione regionale n. 5 del 2019 che oggi si impugna emerge, invece, in modo netto il fraintendimento di fondo da cui la stessa e’ afflitta, laddove ha ritenuto di poter declassare il ruolo dello Stato da una posizione paritaria ad un livello meramente consultivo, collaborativo (e facoltativo).
7. La descritta scelta del legislatore costituisce un principio la cui validita’ e importanza e’ gia’ stata affermata piu’ volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d’intesa tra lo Stato e laregione.
La Corte ha, infatti, qualificato come principio inderogabile quello della pianificazione congiunta della regione con il Ministero competente, secondo quanto previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (sentenza n. 210 del 2016).
In questa prospettiva, la Corte ha precisato che l’art. 135 del Codice pone un obbligo inderogabile di elaborazione congiunta del piano paesaggistico e che la ricognizione dei beni da sottoporre a vincoli paesaggistici debba essere realizzata congiuntamente con lo Stato e, per esso, con il Ministero (sentenza n. 66 del 2018). In particolare, la Corte ha rimarcato che «La disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e il paesaggio viene quindi «”a funzionare come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facolta’ di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale piu’ elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente» (sentenza n. 199 del 2014; nello stesso senso, sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, 167 del 2010, n. 104 del 2008, n. 378 del 2007). Essa richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un attivita’ pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale. In tal senso, l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva di tale “materiaobiettivo” non implica una preclusione assoluta all’intervento regionale, purche’ questo sia volto all’implementazione del valore ambientale e all’innalzamento dei suoi livelli di tutela» (cfr. ancora la sentenza n. 66 del 2018).
Da cio’ deriva l’evidente contrasto della deliberazione impugnata con la normativa statale, che – in linea con le prerogative riservate allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., come anche riconosciute dalla costante giurisprudenza di codesta Corte (tra le molte, sentenza n. 197 del 2014) – specificamente impone che la regione adotti la propria disciplina di conformazione «assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (sentenze n. 211 del 2013 e n. 235 del 2011). Costituisce, infatti, affermazione costante – su cui si fonda il principio della gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, dettato dall’evocato art. 145, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (sentenze n. 193 del 2010 e n. 272 del 2009) – quella secondo cui l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e’ assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 182 del 2006); al contrario, nella specie, la generale esclusione della partecipazione degli organi ministeriali nei procedimenti di adozione delle varianti, nella sostanza, veniva a degradare la tutela paesaggistica da valore unitario prevalente e a concertazione rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica (sentenza n. 437 del 2008).
Anche di recente la Corte costituzionale ha ribadito l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte costituzionale n. 86 del 2019) e ha sottolineato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e’ assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale» (Corte costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
Cio’ comporta, pertanto, da parte della regione, l’obbligo di garantire adeguatamente il coinvolgimento del Ministero nella pianificazione paesaggistica, anche nelle eventuali fasi di revisione, pur se limitate, del Piano, secondo quanto previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, comma 1, 143, comma 2, 145, comma 5, e 156, comma 3 (Corte costituzionale 64 del 2015).
La ragione sostanziale fondante della previsione dell’obbligatoria co-pianificazione tra Stato e regione per i beni paesaggistici, ribadita ed esplicitata dal secondo decreto correttivo del 2008 (decreto legislativo n. 63 del 2008), risiede anche, d’altra parte, nella necessita’ di evitare che il piano paesaggistico, che rappresenta, per cosi’ dire, la «Costituzione del territorio», possa essere esposto, nel breve periodo, come gia’ detto, a radicali rivisitazioni con il susseguirsi degli organi regionali.
Il piano paesaggistico, in quanto piano di direzione generale, sovraordinato a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica sia settoriale (cfr. art. 145 del Codice), deve porsi evidentemente e necessariamente in una dimensione temporale di stabilita’ e di lungo periodo, incompatibile con le unilaterali scelte dei soli organi regionali, poiche’ esprime le scelte di fondo della pianificazione futura del territorio. Conseguentemente, analogamente a quanto avviene per la Costituzione nel sistema delle fonti normative, esso deve richiedere, per essere modificato, procedure non ordinarie, ma «rinforzate» e aggravate, che consentano da un lato una piu’ approfondita e meditata valutazione, dall’altro lato una piu’ ampia condivisione, acquisita con la partecipazione determinante di una pluralita’ di attori istituzionali, che trascenda la singola amministrazione regionale che, in un determinato momento politico-istituzionale, si trova a essere titolare della funzione.
E’ anche per questa ragione che il legislatore nazionale, introducendo una norma indubbiamente fondamentale, che costituisce l’architrave del sistema di tutela e rappresenta un parametro costituzionale interposto, ha voluto la necessaria condivisione tra lo Stato e la regione per la elaborazione e la eventuale revisione del piano paesaggistico.
8. Il conflitto di attribuzione non si esaurisce nella sola invasione della sfera di competenza normativa e amministrativa dello Stato, ma si traduce in una lesione diretta dei beni paesaggistici tutelati, determinando una immediata e grave diminuzione del livello di tutela
Invero, sotto un diverso ma convergente profilo, occorre sottolineare il fatto che i paesaggi di ciascuna regione italiana, nella logica degli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, trascendono, sia come valore culturale, sociale e, in senso ampio, politico sia come bene-interesse giuridicamente rilevante, l’ambito territoriale regionale, riferibile alla collettivita’ ivi stanziata, per assurgere a una dimensione sicuramente nazionale, in quanto beni comuni di interesse oggettivamente generale riferibili all’intera collettivita’nazionale.
Anche da questo punto di vista riveste rango costituzionale il principio del limite al potere libero e unilaterale degli organi regionali di mutare e di ridisegnare i connotati dei paesaggi regionali, limite e bilanciamento costituito dal potere di necessaria co-decisione statale.
Le considerazioni ora svolte dimostrano altresi’ come il principio di co-decisione paritetica necessaria Stato-regione rifletta e attui a un tempo i principi di adeguatezza e (soprattutto) differenziazione posti dall’art. 118 Cost. come contrappeso di riequilibrio del principio di sussidiarieta’ verticale. La violazione regionale qui denunciata si traduce dunque in una violazione diretta di tale essenziale parametro costituzionale nella distribuzione equilibrata delle competenze amministrative.
Il riflesso applicativo, sul piano della «allocazione» delle funzioni e delle competenze, ai sensi dell’art. 118 della Costituzione, si compendia nel rilievo, peraltro gia’ sopra svolto, per cui il livello adeguato e differenziato di competenza nella pianificazione paesaggistica dei beni vincolati e’ collocato – chiaramente e inderogabilmente – dal legislatore nazionale al livello di co-decisione paritaria tra Stato e regione (pur con gli apporti partecipativi e collaborativi essenziali delle altre autonomie territoriali).
II
Violazione del principio di leale collaborazione (articoli 9, 117 secondo comma, lettera s), 118 Cost.)
9. Se quanto sopra gia’ rende evidente la. violazione, da parte della Regione Lazio, delle attribuzioni statali di cui agli articoli 9, 117, secondo comma, lettera s), e 118 della Costituzione, deve ancora rimarcarsi che la regione ha agito pure in violazione del principio di leale collaborazione.
Va ricordato al riguardo che, secondo l’insegnamento di codesta Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e regioni», atteso che «la sua elasticita’ e la sua adattabilita’ lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi in particolare, tra le tante, la sentenza n. 31 del 2006). Piu’ in dettaglio, la Corte ha chiarito che «Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (ancora la sentenza richiamata).
La scelta della Regione Lazio di assumere iniziative unilaterali, al di fuori degli accordi raggiunti con lo Stato, si pone, pertanto, in contrasto anche con il predetto principio.
(Dettaglio delle disposizioni introdotte uniteralmente dalla Regione nel PTPR approvato ad agosto – e pubblicato. Febbraio 2020 NDR)
10. Il conflitto di attribuzione che si solleva non si esaurisce,peraltro, nella sola invasione e lesione della sfera di competenza normativa e amministrativa dello Stato e nella lesione del principio di leale collaborazione, come sopra ampiamente dimostrato, ma si traduce anche in una lesione diretta dei valori paesaggistici tutelati, determinando immediatamente una grave diminuzione del livello di tutela, sia rispetto al piano adottato nel 2007 dalla regione e vigente sin dal 2008 in regime di salvaguardia sia rispetto ai contenuti convenuti con il MIBACT nel Verbale del 2015 e nell’accordo del 2020.
Qui di seguito si illustrano le piu’ significative disposizioni introdotte unilateralmente dalla regione nel testo delle Norme del PTPR riferite ai beni paesaggistici. Per opportuno confronto e per evidenziare l’abbassamento del livello di tutela che deriva dalle disposizioni regionali censurate, le diversita’ della disciplina vengono qui di seguito evidenziate rispetto al testo concordato nel 2015, rappresentando che il nuovo accordo del 2020 e’ stato diretto sostanzialmente a espungere le novelle introdotte unilateralmente dalla regione, con alcuni limitati adattamenti.
Art. 14. Interventi sul patrimonio edilizio esistente e sulle infrastrutture. Eliminazione delle barriere architettoniche.
L’art. 14 prevede, oltre all’ipotesi degli interventi finalizzati alla rimozione delle barriere architettoniche (comma 3), altri interventi, di varia tipologia, sul patrimonio edilizio o sulle infrastrutture che si considerano consentiti anche in deroga alle norme di Piano.
La normativa approvata dalla regione introduce ipotesi di interventi in deroga che non erano presenti nel testo del 2015 concordato con il Ministero. In particolare, il comma 4 stabilisce – innovando radicalmente rispetto agli accordi raggiunti – che sono sempre consentiti una serie di interventi di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio, tra i quali gli interventi di rigenerazione urbana di cui alla legge regionale n. 7 del 2017 (Disposizioni per la rigenerazione urbana ed il recupero edilizio); legge che, pur non impugnata avanti alla Corte costituzionale, era gia’ stata oggetto di rilievi da parte del Ministero.
Il comma 6 fa inoltre salve tutte le ulteriori deroghe previste dalla legge regionale n. 24 del 1998 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico), ossia gli interventi sul patrimonio edilizio esistente e sulle infrastrutture previsti dagli articoli 18-ter e 18-quater della medesima legge. Deve evidenziarsi in proposito che negli ultimi anni la regione è in più occasioni intervenuta sulla legge regionale n. 24 del 1998, apportando unilateralmente modifiche con implicazioni anche sulla tutela del paesaggio, oggetto di osservazioni da parte del Ministero, delle quali non si e’ proposta l’impugnativa costituzionale a fronte di specifici impegni da parte della regione a intervenire in modifica, impegni peraltro il piu’ delle volte disattesi.
Art. 16. Errata perimetrazione dei vincoli.
L’art. 16 disciplina le procedure di adeguamento delle perimetrazioni del PTPR con la declaratoria delle aree di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 del Codice, contenuta nei relativi provvedimenti di apposizione del vincolo, o con l’effettiva esistenza dei beni sottoposti a vincolo ai sensi dell’art. 142 del Codice, come risultano definiti e accertati dalle disposizioni contenute nelle norme del PTPR, oppure con l’effettiva esistenza dei beni sottoposti a vincolo ai sensi dell’art. 134, comma 1, lettera c), del Codice, come risultano definiti e accertati dal PTPR.
Nel testo approvato dalla regione viene eliminato l’esame congiunto previsto nella procedura definita dall’accordo Ministero-regione per l’adeguamento delle perimetrazioni, che diventano quindi di esclusiva competenza della giunta regionale, in violazione manifesta del Codice di settore.
In proposito deve evidenziarsi che l’attività di ricognizione, perimetrazione rappresentazione dei beni paesaggistici negli elaborati del PTPR e’ stata svolta in co-pianificazione, in attuazione dei protocolli di intesa sottoscritti con la regione e, successivamente, formalmente validati mediante la sottoscrizioni di specifici verbali da parte dei rappresentanti istituzionali della regione e del Ministero. La regione pretende quindi di poter ridefinire unilateralmente la perimetrazione dei vincoli, in violazione degli accordi raggiunti.
Art. 34. Protezione delle fasce costiere marittime.
La norma riguarda le fasce costiere marine tutelate ope legis (art. 142, comma 1, lettera a), del Codice). In particolare, il comma 5 prevede la possibilità di realizzare strutture balneari e strutture recettive all’aria aperta in ambiti circoscritti, attrezzati a finalità turistiche in tutti i tipi di paesaggio, disattendendo la precedente previsione oggetto di accordo che escludeva i paesaggi particolarmente vulnerabili o di pregio, come i paesaggi «naturali», «naturali agrari» e «agrari di rilevante valore». Inoltre il testo del 2015 si riferiva alle sole attrezzature balneari e ai campeggi e non alle strutture.
Art. 35. Protezione delle coste dei laghi.
La norma riguarda le fasce costiere lacuali tutelate ope legis (art. 142, comma 1, lettera b), del Codice). Il comma 6 (come già aveva fatto il comma 5 dell’art. 34 per le fasce costiere marine) prevede la possibilità di realizzazione di strutture connesse alle attività di stabilimenti balneari, spiagge libere con servizi, punti di ormeggio, ristorazione e somministrazioni di bevande, noleggio imbarcazioni e natanti in genere, sportive, nonchè strutture ricettive all’aria aperta, in ambiti circoscritti adibiti a finalità turistiche; ciò senza riproporre la clausola di esclusione per i paesaggi vulnerabili, quali i paesaggi naturali, naturali agrari e agrari di rilevante valore, contenuta nella norma corrispondente del 2015, peraltro circoscritta alle sole attrezzature balneari e ai campeggi.
Art. 37. Protezione delle montagne sopra quota 1200 m slm.
La norma riguarda i beni tutelati ope legis ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera d), del Codice. Il comma 3 individua tassativamente le categorie di interventi consentiti che nel testo regionale sono ampliati rispetto al corrispondente testo frutto di accordo, con un abbassamento del livello di tutela. In particolare, la regione ha riformulato unilateralmente la lettera d), che prevede la possibilità di modernizzare gli impianti sportivi esistenti mediante realizzazione «di piste, tracciati, rifugi, impianti di risalita, impianti per innevamento artificiale e strutture ricettive di modesta entità» e ha riconfermato quanto previsto alla lettera f) del testo delle Norme di piano adottato nel 2007 (eliminato nel testo oggetto dell’accordo del 2015), che consente la realizzazione di percorsi e rifugi.
Art. 38. Protezione dei parchi e delle riserve naturali.
La norma riguarda i beni tutelati ope legis dall’art. 142, comma 1, lettera f), del Codice.La regione introduce (rispetto al testo oggetto di accordo) un nuovo comma 8 che, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 145 del Codice, prevede l’applicazione della disciplina dei piani d’assetto approvati dalla regione in luogo delle norme paesaggistiche, in assenza del necessario adeguamento al Piano paesaggistico.
Al riguardo, deve tenersi presente che analoga previsione era stata introdotta dalla regione con l’art. 1 della legge regionale n. 2 del 2018, sia pure in via transitoria, in attesa dell’approvazione del PTPR, ed era stata poi modificata a seguito delle osservazioni del Ministero. In particolare, la disposizione legislativa da ultimo richiamata aveva modificato il comma 4 dell’art. 9 della legge regionale n. 24 del 1998, prevedendo, che «Fino all’approvazione delPTPR la disciplina di tutela dei beni paesaggistici di cui al presente articolo si attua mediante le previsioni contenute nei piani delle aree naturali protette qualora definitivamente approvati dalconsiglio regionale»; la disposizione era stata poi corretta(dall’art. 22, comma 2, della legge regionale 22 ottobre 2018, n. 7) aggiungendo, in fine, la seguente precisazione: «purche’ non siano in contrasto con la disciplina d’uso dei paesaggi prevista dal PTPR e con la normativa relativa alle classificazioni per zone delle aree prevista dai PTP».
Con l’approvazione del PTPR, la regione reintroduce quindi l’affermazione della prevalenza degli strumenti pianificatori delle aree protette rispetto al Piano paesaggistico, violando la gerarchia degli strumenti di pianificazione territoriale stabilita dall’art. 143, comma 3, del Codice [ove si stabilisce espressamente – tra l’altro – che «Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette»].
Art. 44. Insediamenti urbani storici e relativa fascia di rispetto.
La norma sottopone a vincolo paesistico gli insediamenti urbani storici che includono gli organismi urbani di antica formazione e i centri che hanno dato origine alle città contemporanee nonché le città di fondazione e i centri realizzati nel XX secolo (comma 1).
La regione riduce unilateralmente la fascia di rispetto prevista per i suddetti insediamenti (comma 4), nella quale ogni modificazione dello stato dei luoghi è sottoposta ad autorizzazione paesaggistica, portandola da centocinquanta a cento metri.
Inoltre, per il centro storico di Roma, al quale non si applica l’art. 44, la regione – al comma 19 – modifica il corrispondente testo del 2015, secondo il quale, in relazione alla particolarità del sito, era prevista l’applicazione di specifiche prescrizioni di tutela da definirsi congiuntamente tra regione e Ministero. Nel testo approvato, tali previe prescrizioni non sono più contemplate e si rimette ogni valutazione dei singoli interventi alla Soprintendenza, facendo riferimento a un protocollo d’intesa con il Comune di Roma risalente al 2009 e non pertinente.
Il PTPR rinuncia così, in sostanza, a esercitare il ruolo doveroso di disciplinare complessivamente e sulla base di una visione d’insieme gli interventi nel sito UNESCO del centro storico di Roma.
Art. 52. Aziende agricole in aree vincolate.
La norma disciplina gli interventi ammissibili nell’ambito di aziende agricole situate in aree vincolate. La norma regionale conferma la possibilità di realizzare manufatti connessi alle attività agricole, ampliando tuttavia sensibilmente le relative categorie rispetto al testo concordato nel 2015, mediante il riferimento «alle attività agricole tradizionali, connesse e compatibili di cui alla legge regionale 22 dicembre 1999, 38 e successive modifiche». Vengono così richiamate tutte le attività cui si riferisce la predetta legge, le quali potenzialmente comportano – a seguito delle recenti modifiche – anche interventi di rilevante impatto.
Art. 55. Piani urbanistici attuativi in zona vincolata.
La regione sopprime la prevista procedura di concerto (introdotta dal comma 4 dell’art. 54 del testo del 2015) tra Ministero e regione per l’espressione del parere paesaggistico sui Piani urbanistici attuativi. I predetti piani vengono approvati infatti direttamente dai comuni, in palese violazione anche dell’art. 145, comma 3, del Codice [in base al quale «La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo»].
Art. 62. Rapporto tra PTPR e gli altri strumenti di pianificazione territoriale, settoriale e urbanistica.
Il testo della regione elimina – in contrasto con il testo concordato nel 2015 e in violazione dell’art. 145 del Codice – il riferimento alla funzione di indirizzo del Piano per la parte del territorio non interessata da vincoli, per la pianificazione territoriale e di settore.
Art. 63. Norme di salvaguardia in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici ai sensi del comma 3 dell’art. 145 del Codice.
Il testo approvato dalla regione fa salve tutte le previsioni degli strumenti urbanistici generali e attuativi approvati tra il 1987 e il 2007, in quanto ritenuti «conformi» prima ai PTP approvati (1998) e poi al PTPR adottato (2007), senza che sia compiuta alcuna verifica dei relativi contenuti (come previsto nel testo del 2015) e senza prevedere la necessità di adeguamento al PTPR approvato.
Vengono con ciò disattesi non solo gli impegni del 2015, ma anche le previsioni dell’art. 143, comma 9, del Codice [in forza del quale le disposizioni del piano paesaggistico «A far data dalla approvazione del piano (…) sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici»], nonche’ dell’art. 145, comma 4, del Codice, in tema di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico ad essi sovraordinato. Vengono fatte salve, inoltre, tutte le previsioni dei piani attuativi che abbiano acquisito il parere paesaggistico (rilasciato dalla sola regione) nel periodo compreso tra la data di adozione e quella di approvazione del PTPR (ossia tra il 2007 e il 2020); cio’ ai sensi dell’art. 63, comma 7, del PTRP approvato dalla regione.
Negli altri casi, il comma 3 del medesimo art. 63 prevede che per gli strumenti urbanistici attuativi adottati alla data di pubblicazione dell’approvazione del PTPR debba essere acquisito il parere paesaggistico per la verifica della conformità al PTPR approvato, senza contemplare il coinvolgimento del Ministero.
Art. 64. Norma transitoria per le aree di scarso pregio paesistico classificate dai PTP al livello minimo di tutela.
L’articolo introduce, al comma 2 – non concordato con il MIBACT – una disciplina transitoria anche per i procedimenti di varianti urbanistiche adottate prima della pubblicazione dell’approvazione del PTPR, stabilendo che l’iter è concluso sulla base della norma del Piano adottato, senza la partecipazione del Ministero, prevedendo Altresì che i relativi esiti siano recepiti nel PTPR.
Art. 65. Adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici comunali al PTPR.
La regione disciplina il procedimento di adeguamento e conformazione degli strumenti urbanistici comunali al PTPR in difformità rispetto a quanto previsto nel testo del 2015 e nel Codice di settore.
In particolare, in contrasto con quanto disposto dall’art. 145, comma 4, del Codice, la regione stabilisce che l’adeguamento degli strumenti urbanistici al PTPR si realizzi entro tre anni (invece che entro due anni) dalla data di pubblicazione nel BURL. Viene, inoltre, esclusa la partecipazione del Ministero al procedimento di adeguamento che viene demandato alla sola regione, in violazionemanifesta di quanto stabilito dall’art.145, comma 5, del Codice.
Si prefigura cosi’, fin da subito, un sostanziale «adeguamento» del Piano paesaggistico alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, sulla base di quanto stabilito dagli articoli 63 e 64 delle Norme del PTPR approvato dalla regione, contravvenendo ad uno dei principi fondamentali sanciti dal Codice in materia di gerarchia degli strumenti di pianificazione.
Art. 66. Adeguamento e conformazione al PTPR degli strumenti di pianificazione territoriale di settore.
Come già previsto nell’art. 65, anche in questo caso viene esclusa la partecipazione del Ministero al procedimento di adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale di settore, in violazione a quanto previsto dall’art. 145, comma 5, del Codice. Si introducono, inoltre, semplificazioni procedurali ai fini del recepimento delle previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale di settore nel PTPR, invertendo ancora una volta la gerarchia tra i piani.
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11. Messi a fuoco, nei termini sopra illustrati, i principali profili di illegittimità del PTPR approvato dalla regione, per manifesta violazione dell’accordo con il Ministero e delle disposizioni del Codice di settore, si ritiene tuttavia necessario segnalare, sia pure più sinteticamente, gli ulteriori profili di criticità delle Norme di Piano ormai entrate in vigore. In particolare, si evidenzia quanto segue:
Art. 1. Finalità: viene eliminato il riferimento alla redazione del Piano in regime di copianificazione col Ministero, sulla base del protocollo d’intesa sottoscritto l’11 dicembre 2013 tra Regione Lazio e Ministero per la tutela e la valorizzazione del paesaggio laziale;
Art. 2. Contenuti del PTPR: sono introdotte ulteriori forme di semplificazione non previste dal Codice, prevedendo, in particolare, che il Piano individui le aree nelle quali la realizzazione di opere ed interventi di conservazione e trasformazione del territorio è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni, delle misure e dei criteri di gestione stabiliti nel Piano stesso, nonché le aree per le quali il Piano definisce anche specifiche previsioni vincolanti da introdurre negli strumenti urbanistici in sede di conformazione e di adeguamento;
Art. 3. Elaborati: sono soppressi tutti gli apparati conoscitivi, quali gli allegati alle Norme e tutti i repertori allegati alle tavole B e C e quelli relativi ai beni del patrimonio naturale e culturale, di cui il Piano si avvaleva per guidare l’attuazione delle sue previsioni, oltre che sotto il profilo
prescrittivo anche con riguardo ai profili ricognitivo e d’indirizzo;
Art. 4. Quadro conoscitivo: con una nuova disposizione è attribuita esclusivamente agli enti locali la competenza per l’integrazione dei beni indicati nelle tavole C o di ulteriori categorie di beni;
Art. 10. Beni paesaggistici, art. 134, comma 1, lettera c) del Codice dei beni culturali e del paesaggio: si ampliano le forme di semplificazione procedurale, prevedendo ipotesi in cui gli interventi. sono realizzati in mancanza del titolo paesaggistico di cui all’art. 146 del Codice di settore;
Art. 15. Disposizioni speciali per i territori colpiti da eventi calamitosi: si tratta di una disposizione inserita ex novo dalla regione, in forza della quale in determinate porzioni del territorio, individuate dalla giunta regionale su proposta del comune interessato, sono autorizzati gli interventi di ricostruzione anche con variazione di sagoma in deroga alle norme del PTPR, previo parere del Ministero.
Come sopra detto, si dà atto che nel sito istituzionale della Regione Lazio è stata pubblicata la proposta di deliberazione consiliare n. 42 del 17 febbraio 2020, adottata dalla giunta regionale con la deliberazione n. 50 del 13 febbraio 2020.
La proposta di deliberazione fa proprio, ai fini dell’accordo di cui agli articoli 156, comma 3, e 143, comma 2, del Codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, il documento denominato «02.01 – Norme PTPR – Testo proposto per l’accordo regione/ MiBACT», che dovrebbe sostituire integralmente le Norme del PTPR approvate dalla deliberazione n. 5 del 2019.
Tuttavia, solo l’approvazione della delibera proposta dalla Giunta da parte del consiglio regionale del Lazio e la sua piena efficacia a seguito della pubblicazione potranno determinare l’effettiva sostituzione delle Norme del PTPR approvato e ormai in vigore, e quindi risolvere le criticità rilevate. Allo stato, l’avvenuta pubblicazione nel BURL della predetta delibera n. 5 del 2019 impone pertanto la proposizione del conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale.
In conclusione, la delibera in esame invade la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato, causando una immediata lesione dell’interesse costituzionale primario e assoluto alla tutela del paesaggio (Corte costituzionale n. 367 del 2007).
L’interesse al ricorso è dunque concreto e attuale e mira, oltre che alla difesa dell’ambito delle competenze statali, indebitamente invase dall’atto regionale, a impedire effetti lesivi nei confronti dei beni paesaggistici protetti, immediatamente scaturenti dalla delibera regionale impugnata.
Le prescrizioni previste dal Piano approvato, costituiscono infatti, come sopra specificato, misure molto diverse e assai meno efficaci nel livello di tutela dei beni paesaggistici rispetto a quelle del Piano adottato nel 2007, vigente in regime di salvaguardia, e di quelle successivamente concordate con il MIBACT.
III
Istanza cautelare
Infine, si propone istanza di tutela cautelare per le ragioni che seguono, atteso che la Regione Lazio ha inteso già dare esecuzione alla deliberazione impugnata emanando una direttiva (nota prot. 0153503 del 20 febbraio 2020) con la quale si regola l’applicazione delle disposizioni contenute nel nuovo Piano alle domande pendenti ed a quelle presentate dopo la sua pubblicazione.
Si legge nella citata nota [dopo una generica quanto astratta premessa «Attese le modalità compartecipative della procedura di autorizzazione paesaggistica, sia nella forma ordinaria ex art. 146, decreto legislativo n. 42/2004 che in quella semplificata ex d.p.r. 31/2017, è evidente che la regolamentazione dei procedimenti pendenti proposta nella presente nota deve trovare riscontro e condivisione in codesto Ministero per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo»] che, in mancanza di norme transitorie, «Per tutte le istanze presentate e protocollate entro il 13 febbraio 2020 [per le quali non si sia ancora svolta o conclusa l’istruttoria] le disposizioni applicabili ai fini della definizione dei relativi procedimenti di autorizzazione paesaggistica … sono quelle contenute nei PTP e nel PTPR come adottato, mentre la disciplina applicabile alle istanze presentate dal 14 febbraio in poi sarà costituita unicamente dalle previsioni del PTPR approvato».
E’ evidente il gravissimo e irreparabile danno che l’esecuzione della deliberazione del consiglio regionale n. 5 del 2019 oggi impugnata può arrecare allo Stato italiano e alla collettività, non
solo creando aspettative tutelabili nei soggetti interessati ma, anche, consentendo la piena attuazione delle disposizioni censurate, difformi da quelle concordate con il Ministero e parametrate ad un più basso livello di tutela ambientale e paesaggistica.
Considerato il fumus boni iuris che sorregge i motivi di ricorso sopra enunziati, si chiede a codesta Ecc.ma Corte costituzionale di valutare la opportunità di sospendere la suddetta delibera alla luce dell’estremo pregiudizio e della irreparabilità del danno alla collettività derivante dal fatto che la porzione di territorio interessata ne verrebbe irreversibilmente compromessa ed alterata.
L’abbassamento del livello della tutela dei valori paesaggistici conseguente alla esecutività della delibera impugnata determinerebbe, come già detto, il concreto rischio della lesione irreparabile dello stato dei luoghi che, in quanto beni comuni di interesse oggettivamente generale, sono riferibili all’intera collettività nazionale.
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