Il testo unificato “Misure per la rigenerazione urbana” desta molte perplessità, aprendo alla deregolamentazione e alla libera iniziativa privata
L’uso insistito di alcuni termini ne produce inevitabilmente lo svuotamento di contenuti. È quanto è accaduto per la rigenerazione urbana, a cui ci si riferisce in modo talmente generico da non esprimere concetti certi e condivisi. Potrebbe dunque considerarsi positivamente l’approdo e la discussione presso la Commissione territorio, ambiente, beni ambientali delSenato di un provvedimento (“Misure per la rigenerazione urbana”), in una stesura che unifica numerosi disegni di legge proposti nel tempo dai partiti. Diversamente, la lettura del testo non mantiene le aspettative.
La rigenerazione urbana avrebbe dovuto possedere caratteri distintivi diversi da altre forme di intervento sul patrimonio esistente: “designa”, secondo la definizione dell’Enciclopedia Treccani, “i programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare alla scala urbana che puntano a garantire qualità e sicurezza dell’abitare sia dal punto di vista sociale sia ambientale, in particolare nelle periferie più degradate”. Quasi nulla, nel testo unificato, si rintraccia di quanto era lecito ipotizzare.
Nel primo articolo (“Finalità e obiettivi”) è riassunto quanto di meglio auspicabile in tema di qualità ambientale, riduzione di consumo di suolo, risparmio energetico, contrasto al degrado edilizio, partecipazione e attenzione ai bisogni dei residenti, ma di fatto, come sempre più spesso capita nell’incipit di una legge, sembrano solo richiami accattivanti a beneficio di una lettura affrettata.
Lo scopo del provvedimento diventa evidente negli articoli successivi: consentire la diffusione della rigenerazione urbana anche a discapito delle regole della pianificazione, non soltanto attraverso la semplificazione delle procedure e la concessione d’incrementi di cubatura, ma anche attribuendo compiti decisori ai privati.
Mano libera ai privati, anche in deroga
Dopo aver indicato modalità e procedure che le amministrazioni comunali devono adottare per la programmazione della rigenerazione urbana (atto peraltro di natura incerta), il successivo articolo 7 suscita forti perplessità: ai privati sono consentiti interventi diretti di rigenerazione che risulteranno quindi svincolati dalle decisioni del Comune e, ancora di più, gli interventi su singoli edifici potranno realizzarsi “anche in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici”, senza peraltro vincolare tale possibilità a parametri dimensionali o a mutamenti ammissibili nelle destinazioni d’uso. Dunque, un affidamento senza condizioni all’iniziativa degli operatori privati che risulteranno protagonisti della rigenerazione decidendo tempi e luoghi, e potendo anche presentare proposte al Comune per “ambiti territoriali” senza attendere che la programmazione comunale arrivi a conclusione.
La città storica assimilata alle altre aree urbane
La visione, tutta indirizzata a consentire la rigenerazione urbana comunque e dovunque, è confermata nelle norme riguardanti la città storica. Nessuna particolare cautela: gli interventi dovranno risultare nell’ambito della programmazione comunale ed è questa l’unica condizione imposta ai privati. Per garantire maggiore celerità all’iter approvativo delle richieste viene inoltre stabilito che per “i centri storici e gli agglomerati urbani” sia sufficiente l’intesa con la Soprintendenza ai beni culturali e del paesaggio sulla programmazione elaborata dal Comune, escludendo la necessità di acquisire l’autorizzazione paesaggistica sui singoli interventi.
L’assimilazione della città storica alle altre zone urbane, con la sola clausola richiamata, è un arretramento inaccettabile sul piano culturale prima ancora che giuridico: dagli anni sessanta il nostro paese ha elaborato strumenti, modalità d’intervento e normative (le zone “A” del decreto sugli standard) che si basano sulla specificità della città storica che, in quanto tale, deve essere salvaguardata come un bene d’insieme e non come un tessuto edilizio senza particolare valore nel quale sono presenti emergenze architettoniche da tutelare, con il concreto rischio di diffondere la pratica d’interventi di demolizione e ricostruzione anche nella parte che custodisce la memoria storica di una comunità.
Se la deregolamentazione diventa la regola
Traspare con evidenza una continuità con la legislazione regionale emanata a seguito dell’intesa in conferenza unificata Stato-Regioni (1 aprile 2009) che ha prodotto con i Piani-Casa una legislazione regionale tesa a introdurre incentivi volumetrici in deroga alle previsioni dei Piani regolatori, con la giustificazione di stimolare il settore edilizio in permanente (o presunta tale) difficoltà. La deroga, considerata nell’intesa come provvedimento eccezionale e a termine, è così entrata nel lessico edilizio e riproposta in ogni occasione. Deregolamentare sembra l’obiettivo prevalente della legislazione nazionalee regionale, e non vi è dubbio che ciò produce un depauperamento della pianificazione che perde il controllo sulle trasformazioni consentite e sempre più viene ridotta, minandone la credibilità come strumento in grado di prospettare un avvenire all’assetto delle città, ad un insieme di norme che si sovrappongono in modo confuso e d’incerta e non univoca interpretazione.
Il caso di Roma
Nella capitale si sta ragionando sulla necessità di un aggiornamento delle norme tecniche di attuazione del PRG approvato nel 2008. Non sono isolate le richieste di liberalizzare le destinazioni d’uso, componente sostanziale nella formazione di un piano, proponendo l’indifferenza funzionale che comporta di fatto la delega agli operatori immobiliari riguardo la scelta sulle destinazioni d’uso. È assai probabile che questo sia il terreno su cui si muoverà la legislazione prossima ventura, mentre l’attenzione per la difesa della residenzialità, messa in pericolo dalla crescita dei valori immobiliari dovuta ai processi di rigenerazione urbana, è questione che resta estranea all’interesse del legislatore.
L’immagine di “rigenerazione urbana” a San Lorenzo, Roma è di Alessandro Cremona Urbani, 2022
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
Ingegnere, è stato segretario generale del Comitato per l’edilizia residenziale e direttore generale delle Aree urbane e dell’edilizia residenziale del ministero delle Infrastrutture. Professore a contratto all’università La Sapienza nella materia “Tecniche di valutazione e programmazione urbanistica”, ha pubblicato di recente: La casa abbandonata. Il racconto delle politiche abitative dal piano decennale ai programmi per le periferie, Officina Edizioni, 2018, e Territorio senza governo (a cura di), Derive Approdi, 2020.