Riqualificazione di Piazza Sempione, spunto per una riflessione a due sulla partecipazione
Autore : Redazione
Il progetto di riqualificazione di Piazza Sempione (1), che intende trasformare in uno spazio pubblico il piazzale antistante il palazzo storico sede del III Municipio, ora parcheggio, ha suscitato un acceso dibattito, dopo un comunicato molto critico da parte del Comitato di quartiere Città Giardino (2), che contesta l’iniziativa con motivazioni di merito e di metodo, accusando la Giunta del Presidente Caudo di non aver informato e coinvolto la cittadinanza. Il Presidente ha risposto alle obiezioni in un’intervista (3) e poi in un incontro pubblico il 6 febbraio, nella stessa piazza, in un confronto diretto con i cittadini. Senza entrare nel merito dei motivi “pro o contro” la pedonalizzazione, prendiamo spunto, come Carteinregola, per un approfondimento sulla partecipazione civica alle trasformazioni urbane, attraverso un dialogo tra Anna Maria Bianchi, Presidente di Carteinregola, e Paolo Gelsomini, coordinatore del gruppo partecipazione.
Prima di tutto riassumiamo gli antefatti. Piazza Sempione nasce all’inizio degli anni Venti del XX Secolo, nella zona di Monte Sacro, dove si inizia a costruire un nuovo quartiere, Montesacro che diventerà Città Giardino, di cui la piazza è il cuore, con la Chiesa degli Angeli Custodi e il Palazzo pubblico, oggi sede del Municipio. La sistemazione attuale è uno slargo in parte destinato a parcheggio, in parte a scorrimento del traffico, con uno spartitraffico dove è inserita una Statua della Madonna posizionata nel 1948.
Il Presidente Caudo la motivato la scelta della sua Giunta all’interno di un programma di “riqualificazione e riappropriazione delle piazze del municipio da parte delle persone, come luogo d’incontro, di socialità e condivisione”. Il progetto di piazza Sempione era dentro il piano d’investimenti di Roma Capitale, approvato con il Bilancio il 23 dicembre 2019 dal Consiglio del Municipio. Per realizzare il progetto è stata fatta una gara pubblica l’estate scorsa, il lavoro è stato affidato in autunno, con un’accelerazione dovuta anche alla necessità di non perdere i fondi del 2020. Ma quando qualche giorno fa la notizia è apparsa un’intervista del Presidente sul quotidiano La Repubblica (4) il Comitato Città Giardino ha diffuso un comunicato in cui lamenta la mancata informazione e partecipazione dei cittadini, oltre a vari motivi di contrarietà al progetto, dallo spostamento della statua della Madonna a problemi per la viabilità, dalla riduzione dei parcheggi alle altre priorità del territorio. E, soprattutto, la preoccupazione che lo spazio possa diventare un luogo di movida, con tutte le conseguenze già patite da altri luoghi del quartiere (2). Il presidente Caudo ha risposto che prima di avviare la partecipazione era necessario avere la certezza delle possibilità realizzative, legate anche ai pareri ottenuti solo recentemente dai vari uffici – tra i quali le Soprintendenze che hanno dato varie prescrizioni, come ad esempio la messa a dimora delle sole alberature pre esistenti – assicurando che il progetto nei prossimi “tre o quattro mesi” che separano dall’inizio dei lavori, sarà “discusso in modo costruttivo con tutti” (3).
Anna Maria Bianchi : Cominciamo distinguendo il merito dal metodo, cioè la scelta di creare uno spazio pubblico nella piazza di fronte al Municipio da come è stato gestito il rapporto con i cittadini rispetto all’informazione e alla partecipazione. Lascerei a parte le considerazioni sul primo punto, a partire dalla movida, su cui hai già scritto un amaro post (4) che abbiamo pubblicato, e su cui anch’io avrei delle riflessioni, che rimanderei ad ulteriori approfondimenti.
Rispetto al coinvolgimento dei cittadini e dei comitati di quartiere, penso che dovremmo distinguere tra informazione, consultazione e partecipazione. Rispetto alla consultazione, distinguerei quella sulla scelta della trasformazione della piazza, e quella sul progetto della sua sistemazione. Io credo che i cittadini non si siano mobilitati tanto sul progetto – quello ancora ci sarebbe il tempo di riadattarlo a proposte nate dal confronto – quanto sulla scelta a monte delle modalità di pedonalizzazione…
Paolo Gelsomini: Non entro nei dettagli della trasformazione della piazza, che come architetto condivido sul piano della lettura storica di uno spazio urbano concepito nel clima culturale delle città giardino di inizio novecento. Sono però altrettanto convinto che ogni trasformazione urbana non cambi solo la scatola ma anche il contenuto fatto di relazioni sociali, mobilità, eventi. Quindi ogni trasformazione coinvolge la vita dei cittadini ed è evidente che questi debbano essere chiamati a seguire il processo partecipativo che accompagna il pre-progetto, il progetto, i lavori e il monitoraggio degli effetti della trasformazione urbana. Il più bel progetto può affogare senza il coinvolgimento dei cittadini. Io credo che i cittadini avrebbero volentieri discusso sulla scelta della trasformazione pedonale della piazza, ben prima della redazione del progetto e dei pareri della Sovrintendenza, esternando i propri legittimi dubbi sulla mobilità e sulla movida. A questi dubbi l’Amministrazione deve rispondere, spiegare l’entità dei benefici e degli eventuali costi sociali, ascoltare le proposte dei cittadini, che spesso sono fondamentali per gli architetti che debbono fare i progetti, presentare tutti i vincoli e le opportunità che accompagnano ogni progetto ed ogni proposta alternativa. Solo dopo un confronto informato, regolato, articolato e dialettico la fase della partecipazione legata all’idea progettuale può dirsi conclusa. A questo punto l’Amministrazione può e deve decidere in piena autonomia, tenendo conto del processo partecipativo, ma assumendosi la responsabilità politica della propria decisione istituzionale.
Poi viene il progetto vero e proprio. Qui ci può essere una consultazione se il progetto viene presentato dall’Amministrazione secondo le linee emerse dalla prima fase della partecipazione, oppure una vera e propria co-progettazione partecipata in grado di elaborare il progetto con i cittadini all’interno di uno spazio pubblico inclusivo che possibilmente non si fermi ai soli residenti intorno alla piazza. Anche qui, dopo il processo partecipativo regolato da un professionista della comunicazione e della gestione dei conflitti, la decisione politica spetta all’Amministrazione.
Anna Maria Bianchi “…A questo punto l’Amministrazione può e deve decidere in piena autonomia, tenendo conto del processo partecipativo ma assumendosi la responsabilità politica della propria decisione istituzionale”. Sono completamente d’accordo, anche se in molti casi le istanze sollevate dai cittadini non riguardano l’elaborazione o la modifica del progetto dell’Amministrazione, ma la sua totale abolizione.
Penso alla faticosa battaglia per la pedonalizzazione di Piazza Perin del Vaga, al Flaminio, una meravigliosa piazzetta con quinte scenografiche e un albero centenario, affogata dalle auto, che da anni il nostro comitato chiedeva – anche con assemblee pubbliche e manifestazioni sul posto – che fosse chiusa al traffico e trasformata in un luogo per la gente del quartiere. La cosa si è trascinata per varie consiliature, finchè il Municipio ha finalmente concluso l’iter del progetto e ha convocato un’assemblea per illustrarlo ai cittadini. A quel punto un gruppo di residenti ha riempito il quartiere di volantini contro il Municipio e contro la pedonalizzazione, con la motivazione della mancata informazione, dei parcheggi perduti – peraltro solo 12 regolari – e soprattutto della movida incombente. Oggi la piazzetta è un’oasi di pace e di bellezza, dove le persone anziane giocano a carte, i bambini giocano a palla e molte persone di fermano a bere qualcosa ai tavolini dell’unico bar, che chiude la sera.
Io sono convinta che l’informazione ai cittadini sulle trasformazioni piccole e grandi vada sempre fatta fin dall’inizio, anche se si rischia di scatenare le crociate dei contrari. E che ogni Municipio – e a maggior ragione il Comune – dovrebbe avere una sezione del sito istituzionale (che peraltro, soprattutto per i Municipi, è assai male organizzato in questo senso) in cui siano pubblicati man mano i progetti in corso, anche se sono ancora passibili di modifiche dopo l’esame degli uffici preposti. E dovrebbe anche esserci una casa del quartiere o “urban center” dove i cittadini possano trovare tutte le informazioni e lasciare osservazioni. E soprattutto, a un certo punto del percorso, dovrebbe essere convocata un’assemblea pubblica per illustrare il progetto e, nei casi più complessi, avviata una consultazione preliminare per individuare eventuali esigenze della cittadinanza da inserire nei bandi di progettazione.
Ma siccome non credo nella democrazia diretta, penso che le decisioni a monte, a maggior ragione quando non riguardano un ambito specifico ma una trasformazione di scala municipale o comunale, dopo l’informazione e la consultazione, debbano essere giustamente prerogativa di chi ha avuto il voto da migliaia di cittadini. E che la partecipazione si possa declinare più nella fase di progettazione. Partecipazione che, come tu mi insegni, è un processo complesso, le cui regole del gioco sono accettate, come è accettato il confronto con altri cittadini che la pensano diversamente, e anche la possibilità che l’amministrazione alla fine non tenga conto di tutte le proposte avanzate, senza per questo considerarlo un tradimento della partecipazione.
Paolo Gelsomini: E questo è un altro punto che va affermato con chiarezza: la Politica deve tener conto dell’esito dei processi di partecipazione, ma non può fare da passacarte della volontà dei cittadini. Essere popolari non vuol dire essere populisti. D’altra parte i cittadini non sempre hanno ragione, non sempre rappresentano l’interesse pubblico in quanto “cittadini”, non sempre riescono ad uscire dal proprio particolare. La partecipazione è un processo di costituzione di un “contesto pubblico” dove interagiscono i diversi soggetti territoriali interessati e dove si dovrebbero fondere i due principi di competenza e di rappresentanza.
L’ambiguità dell’idea di sovranità popolare induce spesso a fare scelte in maniera numerica, scelta che trasforma la partecipazione in un’assemblea dove il principio di maggioranza prevale senza tener conto che in un processo partecipativo sono i principi di conoscenza, competenza ed esperienza a prevalere, e senza considerare che alla fine l’esito del processo partecipativo non consiste nella conta delle mani alzate ma nella ricerca saggia e laboriosa del giusto mezzo, del comun denominatore delle idee e delle esigenze.
Un processo di partecipazione, dove tutti i saperi originari e acquisiti hanno diritto di cittadinanza, dovrebbe allora nascere e crescere in un contesto pubblico intorno a un particolare tema di cui tutti sono inizialmente informati e di cui tutti condividono forme di conoscenza comune che vengono perfezionate e approfondite nel corso del processo.
Per questo alla parola “partecipazione” occorrerebbe sempre aggiungere l’aggettivo “consapevole”.
A proposito delle conoscenze e delle competenze necessarie agli attori di processi di “partecipazione consapevole”, cito una frase estrapolata da un saggio del prof. Alessandro Giangrande con il quale ho avuto l’onore di lavorare per un periodo durante il quale producemmo delle linee guida della partecipazione da sottoporre all’attenzione delle amministrazioni comunale e municipali per la redazione di regolamenti istituzionali:
“Si tratta sempre di una razionalità di processo, che coinvolge molteplici attori e strutture entro giochi evolutivi in interazione, sperimentazione e apprendimento reciproco nei quali gli attori istituzionali e i cittadini mettono in comune le loro conoscenze/competenze, realizzando di fatto quella condizione di eguaglianza sostanziale che è il soffio ispiratore che spinge una comunità a ricercare forme più giuste e più libere del vivere insieme e relazioni più sostenibili tra gli esseri umani”.
Così si riduce la distanza tra istituzione e cittadino, si migliorano i rapporti tra governo e governati, si rendono più efficienti ed efficaci le scelte e le decisioni che, ripeto, spettano alla Politica in regime di democrazia delegata e partecipata.
Anna Maria Bianchi: Cosa pensi dei processi partecipativi organizzati dai cittadini senza le istituzioni, anche per trasformazioni rilevanti? Penso alla progettazione di cittadini e comitati per la riqualificazione dell’area della stazione Tiburtina, in contrapposizione al progetto del Comune, progetto partecipato che tra l’altro è stato coordinato da un tecnico che era anche l’autore del project financing avanzato da una ditta con forti interessi economici nell’area (6); un progetto che ignorava una serie di esigenze che andavano al di là della scala del quartiere, essendo la progettazione al servizio di uno snodo della mobilità di scala regionale e oltre. Quel progetto è stato oggetto di una delibera di iniziativa popolare con 8000 firme, che, oltre ad essere sostenuta dalle opposizioni, ha trovato sponde nel Municipio e persino in esponenti della maggioranza…
Paolo Gelsomini: Credo che mettere due progetti a conflitto più che a confronto, uno dei cittadini e l’altro del Comune, porti ad un dialogo tra sordi e trasferisca su un piano di schieramento politico quello che dovrebbe essere un processo di partecipazione civica istituito dall’Amministrazione capitolina riguardo ad una trasformazione urbanistica rilevante. I progetti partecipativi organizzati dai cittadini senza le istituzioni sono forme dimostrative e strumenti di possibile condizionamento politico dell’operato dell’istituzione. Possono essere sorretti da una presentazione di proposta di delibera di iniziativa popolare, come è accaduto, ma in questi casi questo strumento di democrazia diretta è destinato a fallire, non essendo emendabile in Assemblea Capitolina.
Ci sono poi esempi di consultazione su progetti presentati dall’Amministrazione. E’ il caso dello Schema di Assetto Generale dell’Anello Verde, deliberato dalla Giunta capitolina il 17 luglio 2020 (7), che ha raccolto on line molte osservazioni isolate di cittadini solitari senza nessun contesto pubblico di riferimento e di confronto, anche se la presentazione del progetto e l’informazione generale sono state di buon livello.
La stessa cosa vale per il progetto del Grab (Grande Raccordo Anulare delle Biciclette) (8) che ha visto il Comune istituire un webinar per ognuno dei quattro quadranti della città con particolare valenza strategica, con la possibilità di intervento data a pochi cittadini e rappresentanti di associazioni dopo la tavola rotonda di tecnici ed esperti. Seguirà una fase laboratoriale per tematiche, ma ancora una volta si chiama progettazione partecipata quella che è una consultazione individuale dei cittadini ammessi a parlare in numero limitato per oggettive esigenze temporali.
Anna Maria Bianchi: Per concludere: a Piazza Sempione, c’è, secondo te, ancora margine – anche come tempi – per un coinvolgimento della cittadinanza che non sia solo pro forma, con la possibilità che si possano fare modifiche che possano ricomporre il conflitto? Io personalmente credo che si potrebbero trovare soluzioni condivise per tante delle obiezioni sollevate, ma che i tentativi rischino di infrangersi sulla motivazione più forte, il timore, fortemente radicato, di un’ “invasione barbarica”, come l’hai chiamata tu, la “movida”, che in molti casi fa percepire lo spazio pubblico come un pericolo per i residenti.
Paolo Gelsomini: spero che la saggezza e la competenza urbanistica del presidente del terzo Municipio Giovanni Caudo, unite ad una partecipazione attiva e costruttiva dei cittadini, portino ad un progetto di sistema che sappia armonizzare e gestire altri aspetti strettamente collegati a quella sistemazione pedonale della piazza, come il traffico, i parcheggi, il verde, l’arredo urbano. Lascio per ultimo il fenomeno della movida, che, secondo i timori dei cittadini, potrebbe essere attirata dall’apertura di uno spazio che è definito pubblico e quindi di tutti, non solo di una parte di cittadini, siano essi residenti o visitatori in cerca di fruizione contemplativa della piazza o giovani in cerca di sballo. Anche le emozioni, le paure, le preoccupazioni vanno affrontate, e se ci fosse qualche possibile correlazione tra pedonalizzazione della piazza e invasione da movida questa andrebbe analizzata e risolta. Sono sicuro che su questo tema delicato il presidente Caudo saprà mostrare la sua capacità di governare i processi del cambiamento oltre che amministrarli.
Cittadini e istituzioni potranno insieme far convivere Apollo e Dioniso a piazza Sempione che potrà diventare un codice di buona pratica di gestione di uno spazio pubblico pedonalizzato in una città dove sempre più le macchine e il traffico dovranno cedere spazio a pedoni e mobilità sostenibile.
Anna Maria Bianchi: Sul tema della “movida”, che è sicuramente uno dei fenomeni più conflittuali di tanti luoghi della città, dovremo estendere e approfondire il dibattito, anche perché rischia di essere uno degli elementi più pesanti sul piatto della bilancia elettorale di Roma 2021…
10 febbraio 2021
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
Il 2 novembre 2020 la giunta ha approvato tale progetto per complessivi euro 700.000 (settecentomila) provenienti dal bilancio capitolino: la gara si è tenuta nel luglio e la ditta aggiudicataria è la BRADASCHIA s.r.l. di Trieste.
Il CDQ non è contrario ai progetti che migliorino la fruizione degli spazi per tutti, ma ne valuta l’impatto. Sono già numerosi gli interrogativi che arrivano dai cittadini e li riportiamo invitando tutti all’approfondimento:
1) Nessuna consultazione del Municipio col territorio, né con le associazioni, ha preceduto tale decisione di destinazione di una così ingente somma. Eppure il Presidente Caudo ha sempre pubblicizzato la sua politica di partecipazione e dialogo coi cittadini; in campagna elettorale le priorità evidentemente sono invece gli annunci sui giornali e i post su facebook.
2) Piazza Sempione è stata oggetto di ristrutturazione a fine 2019: area taxi, fermata autobus, segnaletica orizzontale. Perché si torna a “sfasciare” laddove si è appena ricostruito con denaro pubblico?
3) Non vi erano altre priorità sul territorio? Eppure nell’agosto 2018, ad insediamento della nuova giunta, questo Comitato ha consegnato nelle proprie mani del Presidente Caudo un elenco di dieci priorità – sarebbero state molte di più ma ci siamo limitati all’indispensabile – e di certo Piazza Sempione non era tra queste pur avendo le sue criticità.
I marciapiedi pieni di buche di via Montasio, di via Maiella, di via Nomentana Vecchia solo per citarne alcune ad es, la sicurezza stradale di viale Adriatico, lo smaltimento dei rifiuti, la ripiantumazione degli alberi abbattuti, la potatura e la manutenzione di quelli esistenti, rimozione delle ceppaie, la gestione di preziosi spazi verdi quali il parco Sicinio Belluto, la Pinetina alta del parco di Montesacro e quella bassa di via Nomentana da restituire in sicurezza alle famiglie ed ai fruitori civili del verde: queste sono solo alcune delle emergenze che riguardano realmente e quotidianamente la vita dei cittadini;
4) E’ singolare che l’altro cuore pulsante di Città giardino, Piazza Menenio Agrippa ed il suo mercato, non hanno mai visto il completamento del progetto iniziato nel 2016: si attende ancora la riconcentrazione ordinata di tutti i mercatali sulla piazza, il posizionamento adeguato dei cassonetti dedicati al mercato per lo smaltimento dei rifiuti, la segnaletica, la riapertura di viale Gottardo, i cordoli di protezione, etc.
5) Nessuna consultazione dicevamo, nè delle rappresentanze sul territorio, nè delle autorità ecclesiastiche – la chiesa è parte integrante del tessuto storico urbanistico della piazza: il progetto prevede tra l’ altro uno spostamento della statua della Madonnina, simbolo di Montesacro da un punto di vista religioso ma anche storico, affettivo, culturale.
Nemmeno il sindaco Peppone a Brescello, nella grande narrativa di Guareschi, riesce spostare la Madonnina … una decisione a dir poco inopportuna.
6) Il progetto tiene conto della funzionalità della stessa? Qual è il numero dei parcheggi che perderemo? Il ricorso alla vettura privata non è un vizio o un capriccio dei romani, ma una necessità viste le condizioni del trasporto pubblico. Le nuove occupazioni di suolo pubblico hanno già eliminato diversi parcheggi; dove finiranno queste auto? Facile prevedere che intaseranno le vie limitrofe.
7) Cosa accade alla viabilità? La piazza diventerà un budello per le migliaia di vetture che ogni giorno l’attraversano?
8) Infine, ma non è certo l’ultima osservazione in ordine di importanza, la piazza diverrà un bel salotto ad uso della malamovida, fenomeno incontrollato che ha stravolto molte delle nostre strade con disturbo notturno costante alla quiete pubblica. Prevedibile poi che i privati vedranno sulla nuova piazza una nuova opportunità di occupazione del suolo, facilitata dalle recenti delibere comunali. Così la piazza pubblica diverrà luogo di profitto per alcuni privati e il quartiere subirà la definitiva trasformazione in un altro Pigneto o San Lorenzo.
Il Rinascimento aveva elaborato un concetto ampio e raffinato di Città ideale in cui gli spazi non erano solo gradevoli esteticamente ma anche funzionali: la piazza deve accogliere al tempo stesso l’autorità civile e quella religiosa, il commercio ed il passaggio, l’incontro e lo scambio sociale il tutto all’ insegna del reciproco rispetto, che è alla base di qualsivoglia società. Un’ utopia forse ma noi vogliamo continuare a crederci.
Il nostro appello è di unirsi per trovare insieme soluzioni che migliorando realmente la vivibilità della piazza tutelino al contempo la bellezza del quartiere e la vita dei cittadini. Ci auguriamo che le istituzioni sappiano dialogare con i cittadini ed accogliere le richieste di modifica che dagli stessi proverranno.
Vedi anche la risposta di Caudo sulla sua pagina FB a un articolo de Il Messaggero (2 febbraio 2021):
Un classico esempio di come NON si fa informazione, e di come non si fa del male al Presidente del Municipio, ma alla città. Non esiste governo della cosa pubblica nell’interesse dei cittadini se non si assicura un dibattito pubblico corretto. Ma questo abbiamo imparato, in questi anni: che non ce lo possiamo aspettare. Non da Il Messaggero, almeno. La vicenda è la pedonalizzazione di Piazza Sempione in cui si dà voce solo a chi, legittimamente, la pensa diversamente, ma senza preoccuparsi di sentire la voce dell’amministrazione. Tanto meno del Presidente. Quindi, correggiamo ancora una volta, punto per punto:
1. IL METODO: I CITTADINI NON SONO STATI MINIMAMENTE CONSULTATI E NEANCHE IL PARROCO. FALSO. In realtà, come si può facilmente vedere dalle foto in basso, abbiamo inviato una prima e-mail alla Chiesa il 19 novembre dall’indirizzo della segreteria. Poi, ne abbiamo inviata un’altra dalla mia casella personale, nella speranza che avesse un maggiore risalto. Ma non c’è stato alcun riscontro. È bene sottolineare, poi, che queste missive sono state solo gli ultimi di una lunga serie di tentativi di parlare con il Parroco – persona che stimo – attraverso molte telefonate senza risposta al suo indirizzo ed anche una visita in parrocchia in cui, insieme all’assessore e vicepresidente Sampaolo, abbiamo chiesto di essere ricevuti senza peraltro essere stati accontentanti. Non è vero che abbiamo escluso i cittadini. Siamo stati noi a rendere pubblico il progetto e lo abbiamo fatto per raccogliere pareri e suggerimenti e lo abbiamo fatto quando avevamo chiari tutti i limiti e le condizioni poste dalla Sovrintendenza. Il parere è del 14 dicembre (coinvolgerli prima non avrebbe avuto senso sarebbe stata una perdita di tempo). L’opposizione che sta raccogliendo le firme per la petizione perché affermano che non sapevano del progetto dicono il falso: ne erano a conoscenza dal 2 novembre, quando è passato in giunta (tutti i nostri atti sono sottoposti a vigilanza da parte dell’opposizione). Non aveva pensato di raccogliere firme prima del momento in cui NOI abbiamo reso noto il progetto. Come mai?
2. VERIFICA DEI FLUSSI DI TRAFFICO E QUANT’ALTRO. Il progetto ha i pareri di tutti i dipartimenti che si occupano di mobilità e di traffico e gli interventi previsti migliorano l’attuale situazione. Anche lo spostamento della Madonnina, che oggi è in mezzo alla strada e fa da spartitraffico, contribuisce a fluidificare i flussi veicolari, di cui sembrano preoccuparsi alcuni che sollevano criticità. Lo spostamento, suggerito dalle sovrintendenze nel corso di un sopralluogo, è fatto per nobilitare la statua che sarebbe posta in prossimità del sagrato della chiesa dando dignità di monumento a quello che oggi è uno spartitraffico avvolto dalle auto e dalle lamiere. A me sembra incredibile che ci sia qualcuno che vorrebbe lasciarla lì, in una posizione che non ha alcuna relazione con la sistemazione architettonica della piazza, e che si oppone alla sua nuova collocazione che promette di valorizzarne, invece, il valore di monumento e di icona. Al giornalista sarebbe bastata una telefonata per accertare come stanno le cose. Ma è meglio dare voce solo a una parte, ai cittadini del comitato di Montesacro. Personalmente, li rispetto molto, li ascoltiamo, li abbiamo incontrati e ascoltati decine di volte in questi due anni e mezzo sulle questioni della movida ma non concediamo il potere di veto a nessuno, soprattutto se questo è alimentato da falsità se non da vere e proprie bugie. Per l’appunto pubblicate su quello che alcuni, a Roma, chiamano in modo non proprio lusinghiero, il “Menzognero”.