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Stadio, ricominciamo (dalla mancata partecipazione dei cittadini)

sito francese dibattito dstadio rugby 1

Il sito dedicato al dibattito pubblico sul progetto Grand Stade de Rugby di Evry

Mentre l‘informato giornalista di Il tempo Ferdinando Magliaro riporta gli ultimi rumors in attesa della  risposta unica  della Regione Lazio,  attesa la prossima settimana,   sul se e come proseguire l’iter dello Stadio della Roma, pubblichiamo un contributo dell’Osservatorio dello Stadio della Roma, che ci propone un confronto tra  la partecipazione della cittadinanza  per il progetto del lo Stadio della Roma e quella per  il progetto di uno  stadio del Rugby in Francia, ad Evry. Due modalità assai diverse,   raccontate da un colloquio di Marianella Sclavi, esperta di   democrazia partecipativa, con Ilaria Casillo, vicepresidente della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico francese (Cndp) pubblicato dalla rivsita on line Una città nel giugno scorsoL’articolo è preceduto da una sintesi  di Augusto Garzia dell’Osservatorio Stadio della Roma

STADIO: PARTECIPAZIONE, DUE DIVERSI MODELLI A CONFRONTO

(a cura di Augusto Garzia)

Tema: Dato un progetto di costruire un importante impianto sportivo che determinerà un grosso impatto sul territorio, il problema è (se e) come coinvolgere preventivamente i cittadini interessati. Due modelli a confronto in cui l’ipotesi di partenza è molto simile: nell’area di un ex ippodromo e con fondi privati, si vuol costruire uno stadio di 80.000 spettatori da destinare al rugby (in Francia) e, di contro, uno di 55/60.000 spettatori per il calcio ( a Roma).

Esaminiamo ora come in un Paese e nell’altro i cittadini potenzialmente interessati dal progetto, vi siano preventivamente coinvolti.

In Francia esiste un’ istituzione: la Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico (CNDP) che gestisce la partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano grandi progetti di infrastrutture.
E’ stata istituita con una legge del 1995 poi, con una legge del 2002 sulla democrazia di prossimità, è diventata un’autorità indipendente, formata da una pluralità di rappresentanze della società civile e degli enti pubblici.

Tutti i progetti che rientrano nel codice dell’ambiente il cui costo superi la soglia dei 300 milioni di euro debbono essere obbligatoriamente segnalati e presentati alla CNDP che decide se attivare una procedura di Dibattito Pubblico o altra forma di partecipazione, come la concertazione.

Nel caso francese, la Federazione Nazionale Rugby decide di costruire, in un’area ex ippodromo, uno stadio di 80.000 spettatori, in linea con le esigenze sportive più moderne, interamente finanziato con fondi provati, comprese gran parte delle opere di adeguamento del sistema dei trasporti, di urbanizzazione e riqualificazione dei quartieri e territori circostanti, per un investimento complessivo di 600 milioni di euro. Scatta la previsione di legge e si costituisce una Commissione particolare (locale)– sette persone: un Presidente, tre uomini e tre donne della società civile- che indice un Dibattito pubblico e organizza tutta la procedura compresi i resoconti degli incontri e gli esiti finali.
I documenti illustrativi dei vari passaggi sono redatti in linguaggio corrente supportati da foto, disegni, mappe, tabelle in modo da rendere più accessibile una tematica di per sé complessa. (vedi http://cpdp.debatpublic.fr/cpdp-grandstaderugby/)
Il dossier di presentazione del progetto è redatto dal proponente ma è la Commissione, prima quella locale e poi nazionale, che deve approvarlo e presentato in maniera chiara, accessibile, completa. La logica è che i cittadini debbono essere in grado di valutarne tutti gli aspetti e discuterne attraverso un metodo gestito da un terzo soggetto: non il proponente né tanto meno i politici.
E questi ultimi non possono decidere prima che sia conclusa la procedura.
Il principio sotteso è che più la decisione è condivisa con i cittadini e più è legittima.
Non è più il potere pubblico l’unico depositario e interprete dell’interesse generale ma lo deve negoziare di volta in volta con i cittadini e i portatori di interesse.

Per definire la localizzazione dell’impianto il proponente ha emesso un avviso pubblico con richiesta ai territori della grande cintura di Parigi, quelli interessati ad ospitare lo stadio.
I membri della Commissione particolare (locale) hanno il dovere di fissare l’attenzione sulle “zone di incertezza” del progetto, di prefigurare le alternative e la massima trasparenza, e discutere tutti i vincoli e caratteristiche, finanziarie, giuridiche, urbanistiche e ambientali.

Una procedura di dibattito pubblico locale (DP) dura in media dai quattro ai sei mesi durante i quali nessuna decisione politica o amministrativa può essere assunta.
Entro tre mesi dalla pronuncia della Commissione particolare il proponente, in un linguaggio chiaro e comprensibile, deve pubblicare la sua decisione e motivarla.

Nel caso in esame il proponente, in base a quanto emerso dal confronto in sede di Commissione, ha deciso di rinunciare al progetto. Oltre ai tempi più che ragionevoli anche i costi complessivi della procedura sono risultati contenuti: in tutto 870.000 euro per un progetto stimato di oltre 600 milioni.

E veniamo al progetto di casa nostra.
In Italia una impresa privata (l’AS Roma) con un progetto che non prevede finanziamento pubblico non può ricorrere ad un bando pubblico per manifestazione di interesse. Per cui si rivolge ad uno studio specializzato che alla fine, guarda caso, sceglie l’area di proprietà di uno dei proponenti.
I soggetti coinvolti sono il privato proponente e l’Amministrazione che decide, senza alcun dibattito pubblico preliminare. Un dibattito, che pur si manifesta, è sganciato da qualsiasi forma di regolamentazione e anche di rappresentatività dei partecipanti.
Da noi il processo decisorio è quanto di più ansiogeno si possa immaginare: spesso i decisori danno l’impressione di sentirsi in pericolo di essere colti in fallo, di aver trascurato qualche previo passaggio che bloccherebbe tutto.
La dimensione progettuale è totalmente subalterna alla logica dei regolamenti giuridici e alla molteplicità di fonti autorizzative che operano indipendenti tra di loro.
Ogni decisore ha bisogno di un proprio circuito amicale, persone e professionisti di cui fidarsi e, soprattutto, di non inimicarsi i guardiani dei “regolamenti”.
Non esiste un processo partecipativo analogo a quello francese; tutto procede in modo molto più intricato, pasticciato e oltretutto oneroso, con tempi – nel caso specifico – che superano i tre anni.
Viene prodotta una quantità impressionante di carte che, è inversamente proporzionale al loro effettivo peso politico. Gran parte di quei documenti nessuno li ha mai letti né li leggerà mai.
Nel nostro caso poi, il tutto ha risentito in peggio dal passaggio attraverso tre diverse amministrazioni, che hanno generato una incredibile quantità di ulteriori attestati, studi specialistici per ovviare a possibili obiezioni delle varie branche burocratiche, conferenza di servizi ecc. Per non parlare delle varie posizioni politiche del tutto avulse dal merito
In mancanza di una validazione partecipativa il circuito decisionale è rimasto impigliato e prigioniero non solo dal moltiplicarsi degli accertamenti burocratici ma da una distorta rappresentazione degli interessi che si è manifestata in un accavallarsi di spot più o meno pubblicitari (stadio sì, stadio no), e in un turbinio di opinioni la cui autorevolezza discende solo dal peso politico reale o presunto di chi la sostiene. A tutto ciò si aggiunga la astrusità e autoreferenzialità che contraddistingue il linguaggio con cui vengono redatti i documenti ufficiali.
Se la Giunta Marino avesse potuto adottare un approccio ( e disporre di una procedura) simile a quella francese, sarebbe stato molto più difficile per la giunta attuale pretendere di ricominciare da zero per poi arrivare ad una decisione che ricopia il progetto precedente dimezzandolo.
In ogni caso in tutto questo iter – tutt’altro che concluso – il grande assente è un serio dibattito pubblico sull’intera opera, lasciato allo scontro dei diversi interessi o orientamenti politico-ideologici. I cittadini non hanno potuto confrontarsi con una procedura non strumentalizzabile e perfino una modestissima struttura attivata al riguardo – come quella dell’Osservatorio (inizialmente cittadini e Municipi interessati) – ha potuto recitare un peso in qualche modo significativo.

Conclusione. Dal confronto, il nostro Paese, la nostra città in termini di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini sulle decisioni che li riguarda direttamente, ne esce veramente male.

 

Il sito dedicato al dibattito pubblico sul progetto Grand Stade de Rugby di Evry

Il sito dedicato al dibattito pubblico sul progetto Grand Stade de Rugby di Evry

(Il testo presente è una rielaborazione di un articolo dal titolo “Dibattito Pubblico” tratto dalla rivista Una Città n. 240 di giugno 2017; http://www.unacitta.it/newsite/index.asp )

Una città n.240 giugno 2017 : DIBATTITO PUBBLICO ( acura di Marianella Sclavi)

Il “dibattito pubblico” francese, un procedimento cui viene sottoposta ogni opera pubblica importante e che prevede il coinvolgimento di tutti gli attori interessati, a cominciare dai cittadini; il paragone impressionante fra le procedure per lo stadio di rugby di Évry e quelle per lo stadio di Roma; l’obbligo assoluto della chiarezza e il costo relativo di una procedura democratica che, anche, previene la nascita di tanti problemi dopo. Colloquio fra Ilaria Casillo e Marianella Sclavi.

Ilaria Casillo dal 2015 è vicepresidente della Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico francese (Cndp); è professore associato alla Facoltà di Urbanistica dell’Università Paris Est Marne-la-Vallée. È stata membro dell’Autorità di garanzia e promozione della partecipazione della Regione Toscana in Italia. Marianella Sclavi ha insegnato Etnografia Urbana al Politecnico di Milano dal 1993 al 2008. È una pioniera delle esperienze di democrazia partecipativa. Su questo tema ha pubblicato vari testi, fra i quali con Lawrence Susskind (Mit): Confronto creativo 2011/2016.

Ilaria. Questo colloquio nasce dallo stupore nell’apprendere dai giornali italiani della vicenda dello stadio di Roma e della maniera in cui si è proceduto. Vivendo in Francia e lavorando in un’istituzione, la Commissione nazionale del dibattito pubblico (Cndp), che gestisce la partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano grandi progetti di infrastrutture, mi è venuto naturale interrogarmi sul modo in cui (non) sono stati presi in considerazione i cittadini e i diversi portatori di interesse in un progetto così importante per una città capitale.

Il caso di Roma mi è apparso tanto più strano se si considerano le analogie che presenta con un progetto simile sul quale la Commissione ha lavorato. Infatti, negli stessi anni (2013-14) due grandi istituzioni sportive, l’Associazione sportiva Roma Spa (As Roma) in Italia e la Federazione Francese di Rugby (Ffr) in Francia, hanno deciso di perseguire la costruzione di un proprio “grande stadio” in linea con le esigenze sportive più moderne. Il primo di 60.000 posti, il secondo di 80.000, finanziati entrambi totalmente con fondi privati, comprese gran parte delle opere di adeguamento del sistema dei trasporti e di urbanizzazione e “riqualificazione” dei territori e quartieri circostanti. In entrambi i casi si è finito col scegliere come localizzazione dello stadio la zona di un ex ippodromo, una nel dipartimento di Essonne, a 33 km a sud dal centro di Parigi, e l’altra nel quartiere Tor di Valle, a sud-ovest della città, tra il Grande raccordo anulare (Gra) e l’autostrada per l’aeroporto internazionale di Fiumicino. Quindi due importantissime “grandi opere” che avendo preso il via alla fine del 2013 – inizio del 2014 con la presentazione dei rispettivi piani di fattibilità alle autorità politiche locali e nazionali, hanno poi seguito percorsi di deliberazione e di partecipazione completamente diversi.

Marianella. La prima cosa che mi sorprende favorevolmente, leggendo i documenti illustrativi dei vari passaggi del procedimento di Dibattito Pubblico (Dp) relativo allo stadio del rugby è che sono redatti in linguaggio corrente supportato da foto, disegni, mappe tridimensionali, tabelle; in breve tutto ciò che serve per rendere più accessibile una tematica decisamente complessa. Questo richiede una specifica professionalità, una capacità comunicativa non comune, ad hoc. Da dove viene? Com’è stata coltivata?

Ilaria. Nel caso dello stadio del Rugby, come in tutti i casi nei quali la Commissione indice un Dibattito pubblico, l’incarico di organizzare nel dettaglio tutta la procedura, compresi i resoconti degli incontri e gli esiti finali, è stato assegnato a una particolare commissione, chiamata Cpdp, Commissione Particolare del Dibattito pubblico. In questo caso la commissione era formata da sette persone: un presidente, tre donne e tre uomini, tutti esponenti della società civile. Nello specifico si trattava di una giornalista, un prefetto onorario, una direttrice di agenzia a sostegno della imprenditorialità, un membro del Comitato Nazionale del Dibattito Pubblico (Cndp), un vice presidente del Cndp, un esperto in agricoltura e politiche locali, un consulente nel campo della mediazione e concertazione. La Cpdp non ha il diritto di redigere nulla riguardo al progetto. La particolarità consiste nel fatto che il Dossier di presentazione del progetto (chiamato Dmo) è redatto dal proponente, ma è la Cpdp prima, e poi la Cndp in seduta plenaria, che devono approvarlo se lo ritengono sufficientemente chiaro, e se il progetto è presentato in maniera accessibile, intelligibile e completa. Questo significa che concretamente si fa un lavoro in concerto col proponente affinché rediga un buon documento. Il Dp risponde a una logica precisa: aprire ai cittadini ogni aspetto del progetto e discuterne attraverso un metodo che è stato elaborato e che è gestito da un terzo che non è parte in causa, cioè né il cittadino interessato né il proponente né il decisore politico.

Marianella. Quindi possiamo affermare che le persone che fanno parte dei comitati particolari e del comitato nazionale dovrebbero avere fra le loro competenze quella di saper comunicare situazioni complesse in un linguaggio corrente, comprensibile ai normali cittadini?

Ilaria. Hai fatto bene a dire “dovrebbero” perché in realtà non è sempre così, il dominio degli specialisti e relativi gerghi è duro a morire anche in Francia. Ma nel caso dello stadio del rugby ha funzionato direi molto bene.

Marianella. Però, stante che lo scopo è coinvolgere i normali cittadini, chi si impegna nella chiarezza espositiva non potrà essere accusato -come non di rado avviene da noi- di sminuire l’autorevolezza dei rituali, di voler fare “il maestrino o la maestrina”.

Ilaria. Infatti nel Dp chi non sa usare un linguaggio più comprensibile tende a sentirsi colpevole, piuttosto che colpevolizzare. Ma vediamo di mettere le cose in prospettiva. Istituita con la legge Barnier del 1995, la Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico è diventata, con la legge sulla democrazia di prossimità del 2002, un’autorità amministrativa indipendente formata da una pluralità di rappresentanze della società civile e degli enti pubblici, dagli ambientalisti ai sindacati ai rappresentanti delle diverse Corti (Consiglio di Stato, Cassazio- ne, dei Conti.) La sua missione è garantire la partecipazione dei cittadini affinché il loro punto di vista sia preso in considerazione nei processi decisionali riguardanti i grandi progetti infrastrutturali e le grandi opere di interesse nazionale, prima che la decisione definitiva sia presa. Questo ha tre implicazioni fondamentali dal punto di vista della governance: primo, che il potere politico si astiene dal decidere fino a completamento del percorso del dibattito pubblico; secondo, che il processo è gestito da un organismo indipendente, neutrale e sottratto al prevalere di gerghi specialistici anche grazie a una forte presenza di esponenti della società civile; e, terzo, che un’amministrazione aperta, capace di dialogo è la risposta ai conflitti e alle crisi di legittimità che accompagna la decisione politica.

Il principio che sottintende queste varie procedure partecipative è che più la decisione pubblica è condivisa con i cittadini e più essa è legittima. In questa visione, il potere pubblico non è più il solo depositario e interprete dell’interesse generale, ma lo deve negoziare di volta in volta insieme ai cittadini e portatori di interesse.

Marianella. Vediamo se capisco. Nel processo deliberativo vengono distinte due fasi, la prima focalizzata sulla partecipazione aperta, pubblica, sistematica, di tutti gli interessati. In questa fase le rappresentanze del potere economico, politico, finanziario, insomma le élites del potere, non solo possono, ma debbono intervenire, come parti in causa fianco a fianco e faccia a faccia, con i comuni cittadini interessati, associazioni, enti e tutti gli altri. Questo è importante perché nei processi partecipativi che si svolgono correntemente in Italia, i poteri forti si guardano bene dal partecipare sullo stesso piano di tutti gli altri. Terminata questa fase, e poi vedremo con quali passaggi e modalità, si apre quella più strettamente decisionale in cui i poteri forti, le élites del potere, con al centro il potere politico, prendono le relative decisioni.

Ilaria. Il Dp è -al fondo- un incontro dialogico diretto fra poteri forti e comuni cittadini promosso dal potere politico e garantito da un’autorità terza. I poteri forti, se vogliono mettere in atto un progetto di grande opera, devono proporlo non solo ai rappresentanti del potere politico, ma direttamente anche a coloro le cui vite verranno toccate dal progetto. Al termine del percorso, la commissione redige e trasmette a tutti il “Rapporto finale del dibattito pubblico” accompagnato da alcune raccomandazioni che sottolineano gli aspetti critici emersi dal dibattito stesso. A questo punto i decisori sono liberi di prendere decisioni anche diverse da quelle emerse dal Dp, purché ne motivino le ragioni.

Marianella. Nel caso del grande stadio del rugby, come si è sviluppato questo percorso?
Ilaria. La Commissione Nazionale ha nominato la sottocommissione alla quale ho accennato in precedenza, la quale ha preso contatto in prima istanza con tutti i decisori già mobilitati, la Ffr , l’imprenditore e costruttore, gli enti locali che si erano offerti di ospitare lo stadio

Marianella. In che senso “si erano offerti”?

Ilaria. Per definire la localizzazione, la Ffr ha emesso un avviso pubblico con richiesta ai territori della grande cintura di Parigi interessati ad ospitare lo stadio di farsi avanti e fra le nove proposte emerse, ha scelto la zona dell’ex ippodromo nel dipartimento di Essonne. Questa scelta ha comportato incontri con le amministrazioni locali interessate e scambio dei reciproci desiderata e vincoli di cui tener conto nella elaborazione del progetto.

Marianella. In Italia un’impresa privata (come la Roma Spa) con un progetto che non prevede il finanziamento pubblico non può ricorrere a un bando pubblico per manifestazione di interesse. In questo caso l’impresa ha dato l’incarico a uno studio specializzato per un’analisi comparativa delle possibili localizzazioni e alla fine, guarda caso, l’area prescelta è di proprietà di uno dei proponenti del progetto, il costruttore Luca Parnasi.

Ilaria. In Francia il proponente o proponenti del progetto, sapendo che questo dovrà passare per l’esame critico del Dibattito Pubblico, è costretto a una estrema trasparenza e chiarezza fin dalla fase istruttoria. Solo una volta che il documento di progetto è stato approvato dalla commissione particolare e da quella nazionale, si può avviare il dibattito. Poi -come già detto- si tratta di organizzare gli incontri tra i cittadini, il proponente e tutti gli altri attori coinvolti (in base al progetto discusso: attori economici, politici, culturali, associativi, sindacali, ecc.), di chiedere, se è il caso, degli studi di fattibilità o previsionali alternativi rispetto a quelli presentati dal proponente, ecc. I membri della commissione particolare hanno il dovere di fissare l’attenzione sulle “zone di incertezza” del progetto che emergono dal dibattito, di prefigurarne le alternative e la massima trasparenza e discussione di tutti i vincoli e le caratteristiche del progetto: finanziari, giuridici, urbanistici, ambientali. Tutto questo crea molto spesso un clima di ascolto sereno, autentico e attivo tra i cittadini, l’autorità che gestice il processo partecipativo e il proponente.
Marianella. L’espressione “ascolto sereno, autentico e attivo”, trasposta nel contesto italiano, mi fa sorridere. Da noi il processo decisorio è quanto di più ansiogeno si possa immaginare. Dalle interviste ad alcuni dei decisori implicati nella faccenda dello sta-dio della Roma, ho avuto l’impressione che si sentissero in continuo pericolo di essere colti in fallo, di aver trascurato qualche “previo” passaggio che bloccherebbe tutto. La dimensione progettuale che è dominante nel Dp francese, da noi è totalmente subalterna alla logica dei regolamenti giuridici e alla molteplicità di fonti di autorizzazione che operano in modo ampiamente indipendente fra loro. In questo clima di costante insicurezza, ogni decisore (sindaco o assessore) ha bisogno di un proprio circuito ami-cale, di persone e professionisti di cui si fida (i famosi “cerchi magici”) e di non inimicarsi i guardiani dei “regolamenti”. L’idea che la governance possa funzionare meglio se sottratta a questi “gate-keepers” è assente e c’è un vuoto di idee su procedure alternative. Nel caso dello stadio di rugby, come si è proseguito ?

Ilaria. La sottocommissione, in accordo con tutti gli interessati, ha stabilito un calendario di incontri. Le riunioni fondamentali sono state sette, ognuna in una località diversa del territorio interessato all’intervento. Ogni riunione si è aperta con una presentazione generale del progetto ed è proseguita con l’approfondimento di una tematica specifica, particolare. La maggior parte di queste riunioni si possono seguire anche in streaming su Internet e vengono trascritte sull’apposito sito internet del dibattito, dove chi è interessato può aggiungere commenti, domande, proposte.

Le tematiche hanno riguardato i rapporti fra  il grande stadio e il territorio circostante, la quantità e complementarietà degli stadi già esistenti nell’Ile de France, la varietà di attività che lo stadio potrebbe/dovrebbe offrire, il sistema dei trasporti, chi paga cosa, l’economia del grande stadio e gli impegni degli enti pubblici, il ruolo del gioco del rugby in Francia, il tessuto urbano circostante e i risvolti ambientali del progetto. A questi sette incontri se ne sono affiancati parecchi altri su iniziativa di associazioni locali e studentesche. Marianella. Un’obiezione ricorrente in Italia è che i processi partecipativi durano troppo, fanno perdere tempo ai decisori.

Ilaria. Innanzitutto si pensa troppo spesso al tempo speso per la partecipazione e non a quello perso per dover recuperare dei vuoti partecipativi che poi finiscono per bloccare i progetti a causa di opposizioni forti e radicali. La partecipazione in questo senso permette di guadagnare tempo perché alcuni conflitti vengono anticipati e gestiti. Un Dp dura in media dai quattro ai sei mesi, durante i quali “si fermano i giochi”, nel senso che nessuna decisione politica e amministrativa può essere presa sul progetto. Nel caso dello stadio del rugby, il dibattito pubblico è iniziato ufficialmente il 28 no-vembre 2013 e il “Rapporto finale del dibattito pubblico” è stato consegnato il 21 feb- braio 2014. E i decisori hanno comunicato e argomentato la loro decisione definitiva prima della fine del 2014. Quindi abbastanza celermente.

Marianella. In Italia, a Roma, dove un processo partecipativo analogo per ora non ce lo sogniamo neppure, i tempi sono stati tre volte più lunghi, da fine 2013 a marzo 2017 (ma ho seri dubbi che sarà l’ultimo step) e, specialmente, tutto è proceduto in modo molto più intricato, pasticciato, nonché oneroso. Il progetto “definitivo” è stato consegnato al commissario di Roma Capitale e alla Regione Lazio a fine maggio 2016 ed è composto di una relazione di 7041 pagine corredata da 567 allegati e 50.000 pagine di relazioni specialistiche. La quantità e peso delle carte prodotte è inversamente proporzionale al loro effettivo peso politico. Italia Nostra in una sua denuncia sostiene che le carte occupano una stanza di 25 mq.

Ilaria. Chiedo: a chi spetta l’incarico (per non dire chi ha il tempo) di leggere ed esaminare tutte queste carte?

Marianella. Come disse Flaiano, “La situazione politica in Italia è grave, ma non è se- ria”. Nessuno ha mai letto quei documenti e a parte, forse, per qualche tesi di laurea, nessuno li leggerà. Si potrebbe sostenere che l’iter deliberativo romano è stato penalizzato da tre passaggi di mano del governo della città: giunta Marino dal 2013 a ottobre 2015, poi commissario prefettizio dal 2015 al giugno 2016 e quindi l’attuale giunta Cinquestelle con Raggi sindaca. Però i quintali di carte sono la conseguenza di come la giunta Marino ha affrontato il problema, per cui, nel sancire il pubblico interesse per l’insediamento dello stadio a Tor di Valle, ha elencato una tale quantità di condi-zioni e cambiamenti al progetto iniziale che, seppure negoziate in precedenza con i proponenti, hanno richiesto ognuna una incredibile quantità di ulteriori attestati e studi specialistici per ovviare possibili ulteriori obiezioni delle varie branche burocratiche, conferenza dei servizi, ecc. Poi con la giunta Raggi la discussione è rimasta su un no, aTordiValle sì,a TordiValle no e così via, in un turbinio di opinioni la cui autorevolezza dipende unicamente dal peso politico di chi la sostiene. Alla fine gli stessi “grillini” romani, la base organizzativa dei cinquestelle, erano divisi in vari schieramenti. La sindaca ha detto: “Basta, mi avete vot to, adesso decido io”. E ha negoziato con i proponenti una serie di modifiche alle modifiche proposte dalla giunta precedente sulle quali non mi soffermo, ma che comunque devono ancora passare al vaglio della Conferenza dei Servizi della Regione Lazio, per cui niente è ancora sicuro. Si vedrà. Ilaria. Direi che questo taglia le gambe a chi sostiene che i processi partecipativi fanno perdere tempo!

Marianella. In mancanza di una validazione partecipativa, in Italia il circuito decisionale rimane impigliato e prigioniero, da un lato, della litigiosità delle parti politiche e, dall’altro, del moltiplicarsi degli accertamenti burocratici. Questo, oltre tutto, fa sì che quando si arriva al momento di prendere delle decisioni, per esempio nei Consigli comunali, queste siano espresse in un linguaggio retorico completamente avulso dal mondo attuale, che viene vissuto come strumento di elevazione al di sopra delle parti e dimostrazione di autorevolezza del potere. La domanda è: una decisione presa sulla scorta di un processo partecipativo come il Dp, comporta un cambiamento anche del linguaggio più strettamente giuridico degli organi decisori politici? Per farti capire cosa intendo ti faccio un esempio. Quelle che seguono sono le prime sette righe del documento (Deliberazione n. 48) col quale la Giunta Capitolina, in data 30/03/2017, ha dichiarato di pubblico interesse la realizzazione dell’intervento urbanistico denomina-to “progetto Nuovo Stadio della Roma”. Eccole: “Premesso che in data 1o gennaio 2014 è entrata in vigore la legge 27 dicembre 2013 n. 147 che stabilisce al comma 304, quanto segue: Al fine di consentire, per gli impianti di cui alla lettera c) del presente comma, il più efficace utilizzo, in via esclusiva, delle risorse del Fondo di cui al comma 303, come integrate dal medesimo comma, nonché di favorire comunque l’ammodernamento o la costruzione di impianti sportivi, con particolare riguardo alla sicurezza degli impianti e degli spettatori, attraverso la semplificazione delle procedure amministrative e la previsione di modalità innovative di finanziamento”, e così via per le seguenti 11 pagine, che precedono la delibera vera e propria. È la sopravvivenza di rituali comunicativi che Italo Calvino cinquant’anni fa ha chiamato “l’anti-lingua” e che come si vede non sono molto mutati nel frattempo.

Ilaria. Sono assolutamente d’accordo con te. La pratica in Francia è completamente diversa perché il proponente entro tre mesi dalla chiusura del Dp deve pubblicare una decisione motivata, ma soprattutto chiara e comprensibile che spieghi cosa si è deciso e perché.

Marianella. Un’altra obiezione tipica italia- na è relativa ai costi: quanto è costato il percorso di Dibattito Pubblico per lo stadio del rugby?

Ilaria. Le commissioni particolari per il loro impegno non ricevono uno stipendio, ma delle indennità calcolate in base al numero di riunioni organizzate, al tempo dedicato alla preparazione del dibattito e alla redazione del rapporto finale. Nel caso dello stadio di Rugby a fronte di un investimento complessivo previsto che si aggirava sui 600 milioni di euro, le spese per informazione e organizzazione della partecipazione sono state di 870.000 euro. Di questi, 383.000 euro sono stati spesi per informazioni e comunicazione e mobilizzazione, compresi i 170.000 euro per le indennità e spese della commissione. Il resto era destinato alla logistica, al funzionamento delle permanenze e dei punti di informazione, agli streaming, al sito internet, ecc. Infine, va sottolineato che sono i proponenti economici del progetto che si fanno carico della gran parte dei costi del processo partecipativo.

Marianella. Personalmente mi sembra un costo molto equo, anzi un grande affare per chi ci tiene davvero al bene pubblico. È possibile fare un bilancio delle principali esperienze di Dp praticate in Francia negli ulti 20 anni?

Ilaria. La legge del Dp stabilisce che tutti i progetti che rientrano nel codice dell’ambiente e che hanno un costo uguale o superiore a 300 milioni di euro devono essere obbligatoriamente segnalati e presentati a un’authority indipendente (la Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico, Cndp) che decide se attivare una procedura di dibatti- to pubblico (Dp) o un’altra procedura di partecipazione dei cittadini, come la concertazione. Da quando è stata creata nel 1995 la Cndp, ha disposto e organizzato 78 dibattiti pubblici su casi relativi a infrastrutture ferroviarie o stradali, centrali elettriche e nucleari e anche numerosi progetti di impianti sportivi.

Marianella. Come si è conclusa la decisione relativa allo stadio del rugby?
Ilaria. In questo caso, alla fine il proponente, alla luce di quanto emerso, ha deciso di rinunciare alla realizzazione dell’opera. Una decisione che è stata presa sulla base di informazioni e considerazioni molto articolate e approfondite rese possibili proprio dal processo di partecipazione e di coinvolgimento dei cittadini.
Marianella. Puoi farci una sintesi di queste considerazioni

Ilaria. Le indicazioni che questa esperienza di Dp ha fornito ai decisori riguardano quattro tematiche che hanno catalizzato l’interesse dei cittadini e che sono state spesso indicate come problematiche. La localizzazione: lo stadio avrebbe dovuto essere impiantato alla periferia della città di Évry; si sarebbe dovuto investire, con fondi pubblici, in modo serio sull’ampliamento del trasporto ferroviario, in particolare della linea Rer D (il che avrebbe comportato la sua interruzione per un tempo troppo lungo se si pensa alla sua altissima frequentazione). L’accessibilità e la reale disponibilità dei poteri pubblici a finanziare l’amplia- mento della rete di trasporti hanno rappre- sentato una questione cruciale. Il dibattito ha permesso di porsi la domanda: la localizzazione alla periferia della città di Évry è davvero quella giusta?

Poi c’era la questione dello sviluppo economico e turistico: lo stadio così come proposto sarebbe stato installato troppo fuori dal centro città, che dunque non avrebbe potuto beneficiare delle ricadute economiche e turistiche dei visitatori, in particolare stranieri (i due terzi del pubblico delle partite di rugby in Francia è composta dai tifosi delle squadre avversarie straniere). In Uk, ad esempio, gli stadi sono quasi tutti in centro città. In questo caso, non ci sarebbe stto quindi quasi nessun aumento dell’attrattività di Evry; nessuna riflessione era stata condotta dal proponente e dai suoi partner su come trasformare un oggetto sportivo in un oggetto turistico e in un volano di sviluppo.

In terzo luogo, c’era la soglia di rendimento dello stadio: il dibattito ha mostrato meglio come lo stadio fosse destinato soprattutto a un pubblico di fascia medio-alta. La capita- lizzazione degli investimenti inoltre era di difficile dimostrazione.

Infine c’era la questione relativa al “bisogno” di un secondo stadio: i giocatori di rugby utilizzano già lo stadio di Saint-Denis, i cittadini si sono chiesti quindi se non si potevano migliorare le condizioni di affitto e di uso dello stadio esistente piuttosto che di costruirne uno nuovo con diversi inconvenienti. Il bisogno reale di un secondo stadio è stato quindi rimesso in discussione.
Marianella. Sia che si decida a favore di un progetto che contro, un grande vantaggio di un metodo come il Dp è che fornisce solide basi alla decisione, sganciate da contrapposizioni ideologiche. Se la giunta Marino (Pd) avesse adottato un approccio del genere, sarebbe stato molto più difficile per la giunta successiva (Cinquestelle) pretendere di ricominciare da zero per poi arrivare a una decisione che ricopia il progetto precedente dimezzandolo. L’assessore all’urbanistica della giunta Marino, Caudo, aveva favorito la nascita di un Osservatorio composto dai comitati dei quartieri più direttamente interessati, i quali avevano svolto un ruolo prezioso di traduzione in linguaggio corrente dell’intero progetto e di raccolta di critiche e proposte integrative. Anche questo osservatorio è stato totalmente ignoratodalla nuova giunta, che evidentemente lo vede come la lunga mano di quella precedente
Ilaria. Queste due esperienze, quella del Debat public francese e la mancata partecipazione dei cittadini romani, invitano a due considerazioni in particolare: prima di tutto che dietro a un’infrastruttura turistica, sportiva, di trasporti, ecc., si gioca ben altro che il “semplice progetto”.

Ci sono di mezzo interazioni col territorio, concezioni dello sviluppo economico e sociale e progetti di mobilità. Si tratta di esplicitare le ricadute territoriali del progetto nel medio e lungo periodo, alle quali i cittadini possono non aderire. Un’infrastruttura in questo senso è un “atto politico” di cui i citadini, e questa è la seconda considerazione, hanno il diritto di discutere. La mancanza di un confronto serio coi cittadini sulle grandi opere rinvia quindi non solo a un vuoto di legittimità della decisione ma prima di tutto a un vuoto democratico destinato ad allargarsi e a toccare altre sfere della vita pubblica.

Marianella. In questi ultimi tempi è in discussione l’introduzione anche in Italia di qualcosa che chiamano “Dibattito pubblico”. Credo che nel valutare di che cosa si tratta sia molto utile aver presente i due casi che qui abbiamo tratteggiato. Ma per rispondere alla domanda: “Come cambierà in Italia il percorso di decisione sulla costruzione di uno stadio, con la nuova legge?” bisogna prima attendere che questa legge si precisi (cambia in continuazione ) e poi dedicarci un’altra riflessione.

(a cura di Marianella Sclavi)

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