Villa Bianca, la sentenza del TAR
Autore : Redazione
Il commento di Giancarlo Storto alla sentenza del Tar del Lazio sul ricorso avanzato da alcuni residenti contro un progetto edilizio nel cuore del quartiere Trieste. In calce il testo della sentenza e i riferimenti normativi.
di Giancarlo Storto
Attesa da tempo, la decisione (17 aprile 2024) del Tar Lazio su Villa Bianca ha il merito di chiarire, con considerazioni puntuali e argomentate, i termini di una vicenda che rappresenta un caso limite, ma non unico, dell’applicazione distorta sino all’inverosimile della normativa urbanistica.
Sull’ex Clinica Carteinregola ha raccontato il succedersi dei fatti, registrati anche cronologicamente (*), accaduti dopo la demolizione all’inizio degli Anni Duemila. In sintesi la ricostruzione: Villa Bianca, nota clinica romana nel quartiere Salario, richiede, con l’obiettivo di espandere l’attività sanitaria, un significativo incremento volumetrico ricorrendo ad una specifica norma (art. 14 del T.U. dell’edilizia del 2001) la quale prevede di poter conseguire un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici “esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico” (la deroga deve essere concessa previa deliberazione del Consiglio comunale); nel 2005, avendo l’anno prima conseguito il parere favorevole, viene rilasciato il permesso di costruire con un incremento di 20.000 mc che, sommati all’edificio preesistente, assicurano una volumetria complessiva di circa 37.500 mc; nel 2022 la nuova proprietà, nonostante la demolizione della Clinica sia avvenuta nel 2006 (salvo un residuo di 500 mc), ottiene un nuovo permesso di costruire cumulando anche i benefici del Piano casa (art. 3-ter della legge regionale 21/2009) (**) che rende possibile, in presenza di interventi di ristrutturazione edilizia, i cambi di destinazione d’uso a residenziale e la premialità di un ampliamento della costruzione fino al 30 per cento (ampliamento che nella richiesta viene computato con riferimento sia all’edificio originario demolito che all’incremento concesso e mai realizzato con la deroga del 2004, comunque assoggettata al vincolo della finalità sanitaria). Conclusione: un complesso edilizio di circa 53.000 mc “articolato” – come scrivono i ricorrenti – “su sette piani con ampie porzioni destinate ad attività commerciali e terziarie” (in altri termini: 144 appartamenti e 26 negozi).
Il Tar, dopo aver evidenziato la “natura eccezionale” della legge regionale ricordandone la durata temporalmente limitata, si sofferma con osservazioni circostanziate sul significato del termine ampliamento che risulterà decisivo per l’accoglimento del ricorso: non solo l’ampliamento deve essere parametrato alla volumetria già esistente “e non anche alla mera potenzialità edificatoria” conseguente ad un titolo edilizio peraltro scaduto (dopo due richieste di rinnovo nel 2007 e 2008 segue di fatto la decadenza), ma “non può essere esteso all’ipotesi di materiale inesistenza di un precedente edificio o parte di edificio caratterizzato da una propria volumetria”. A cui si associa un concetto non meno rilevante: tra preesistenza e completamento vi deve essere un nesso di continuità che non comporti uno “stravolgimento degli elementi essenziali della preesistenza” dovendosi configurare l’ampliamento “come parte aggiuntiva dell’originale manufatto”. Se non ricorrono queste condizioni – è questa la conclusione del tutto condivisibile del Tar – si è in presenza di una nuova costruzione, tipologia di intervento non considerata dall’art. 3-ter della legge regionale 21 tra quelle a cui è concessa la premialità del 30 per cento. Stesso concetto di recente ribadito dalla Cassazione (8 maggio 2024) che, sulla base di precedenti pronunciamenti, ha confermato che “la nozione di ristrutturazione edilizia, per definizione, non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l’oggetto”.
Le conseguenze della sentenza sono quindi l’annullamento dei permessi di costruzione 188/22 e 53/23 e gli atti connessi, vale a dire la relazione istruttoria e i pareri emessi dalla Regione Lazio nel 2020 e il verbale di chiusura della Conferenza di servizi dello stesso anno.
Ovviamente allo stato non è possibile prevedere se la vicenda è definitivamente chiusa o se vi saranno ulteriori sviluppi. In ogni caso le motivazioni riportate dal Tar suggeriscono alle istituzioni competenti (in particolare agli uffici del Comune di Roma Capitale), che nel dibattimento hanno presentato memorie per “l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame”, un deciso ripensamento e l’adozione di provvedimenti coerenti con le conclusioni del Tar. Se rimarranno inerti o, peggio, confermassero le precedenti posizioni, i residenti del quartiere (e non solo) avranno modo di valutarne i comportamenti amministrativi. E certamente le critiche saranno generalizzate e non facilmente rimarginabili.
Giancarlo Storto
(*) vedi Ex Clinica Villa Bianca Cronologia materiali (**) vedi Piano Casa e Legge rigenerazione urbana cronologia e materiali
La sentenza del TAR del LAZIO
(le note sono di Carteinregola)
N. 12361/2023 REG.RIC.
N. _____/____ REG.PROV.COLL. N. 12361/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12361 del 2023, proposto da
COMITATO VILLA BIANCA, in persona del rappresentante p.t., XXX con domicilio digitale presso gli indirizzi di posta elettronica certificata, come risultanti dai registri di giustizia, degli avvocati XX che li rappresentano e difendono nel presente giudizio
contro
– ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco p.t., con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, come risultante dai registri di giustizia, dell’avv. YY che la rappresenta e difende nel presente giudizio;
– REGIONE LAZIO, in persona del Presidente p.t., con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, come risultante dai registri di giustizia, dell’avvocata ZZ che la rappresenta e difende nel presente giudizio;
nei confronti
– WWW – SOCIETÀ DI INVESTIMENTO PER AZIONI A CAPITALE FISSO – WWW S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., con domicilio digitale presso gli indirizzi di posta elettronica certificata, come risultanti dai registri di giustizia, degli avvocati WW che la rappresentano e difendono nel presente giudizio;
– KKK S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., con domicilio digitale presso gli indirizzi di posta elettronica certificata, come risultanti dai registri di giustizia, degli avvocati KK che la rappresentano e difendono nel presente giudizio;
per l’annullamento
dei seguenti atti:
– permesso di costruire n. 188 prot. n. del 07/10/22, rilasciato in data 21/10/22 da Roma Capitale – Dipartimento della Programmazione ed Attuazione Urbanistica – Direzione Edilizia e successivo permesso di costruire n. 53 prot. n. 72036 del 20/04/23 di voltura dell’intestazione;
– atti connessi, tra cui pareri e relazioni ivi richiamate e, in particolare, relazione istruttoria e parere reso dalla Regione Lazio – Direzione Regionale per le Politiche Abitative e la Pianificazione Territoriale, Paesistica e Urbanistica con nota prot. n..U.0055665 del 21/01/2020;
– verbale di chiusura della conferenza dei servizi prot. n. 50686 del 05/05/2020 redatto da Roma Capitale – Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli enti in epigrafe indicati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2024 il dott. MF e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 30/08/23 e depositato il 20/09/23 il Comitato Villa Bianca e XXX hanno impugnato il permesso di costruire n. 188 prot. 166994 del 07/10/22, rilasciato in data 21/10/22 da Roma Capitale – Dipartimento della Programmazione ed Attuazione Urbanistica – Direzione Edilizia, il permesso di costruire n. 53 prot. 72036 del 20/04/23, con cui è stata autorizzata la successiva voltura dell’intestazione, unitamente agli atti connessi tra cui la relazione istruttoria ed il parere espresso dalla Regione Lazio con nota prot. n.U.0055665.21-01-2020 ed il verbale di chiusura della conferenza dei servizi di cui alla nota del Dipartimento PAU di Roma Capitale prot. n. 50686 del 05/05/2020.
La Regione Lazio e Roma Capitale, costituitesi in giudizio con comparse depositate rispettivamente in date 21/09/23 e 25/09/23, hanno concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame.
Anche la WWW- WWW S.P.A e la KKK s.r.l., costituitesi in giudizio con comparse depositate rispettivamente in date 20/09/23 e 29/09/23, hanno prospettato l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
Con ordinanza n. 6973/23 del 18/10/23 il Tribunale ha preso atto della rinuncia di parte ricorrente alla domanda cautelare ed ha fissato, per la definizione del giudizio, la pubblica udienza del 17/04/24.
Alla pubblica udienza del 17/04/24 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è, in parte, inammissibile e, per il resto, fondato.
Il Comitato Villa Bianca XXX impugnano il permesso di costruire n. 188 prot. 166994 del 07/10/22, rilasciato in data 21/10/22 da Roma Capitale – Dipartimento della Programmazione ed Attuazione Urbanistica – Direzione Edilizia, il permesso di costruire n. 53 prot. 72036 del 20/04/23, con cui è stata autorizzata la voltura dell’intestazione, unitamente agli atti connessi tra cui la relazione istruttoria ed il parere espresso dalla Regione Lazio con nota prot. Registro Ufficiale.U.0055665.21-01-2020 ed il verbale di chiusura della conferenza dei servizi di cui alla nota del Dipartimento PAU di Roma Capitale prot. n. 50686 del 05/05/2020.
In via pregiudiziale, il Tribunale ritiene necessario esaminare una serie di eccezioni prospettate dalle parti resistenti.
Innanzi tutto, le resistenti deducono l’inammissibilità del gravame proposto dal Comitato Villa Bianca che sarebbe sprovvisto dei requisiti di rappresentatività richiesti, a tal fine, dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 6/2020; in particolare, il Comitato non avrebbe comprovato a) la rappresentatività, b) la riferibilità delle censure proposte alle finalità statutarie di protezione dell’interesse collettivo e c) la stabilità della struttura organizzativa tale da consentire al soggetto di svolgere con continuità la propria attività a protezione dell’interesse collettivo.
L’eccezione è fondata.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire ai comitati spontanei e/o alle associazioni di cittadini nei confronti di provvedimenti amministrativi ritenuti lesivi di interessi di carattere collettivo, debbono concorrere le seguenti condizioni:
a) deve sussistere una previsione statutaria del comitato o dell’associazione che qualifichi questo obiettivo di protezione come compito istituzionale dell’ente;
b) il comitato e l’associazione devono dimostrare di avere consistenza organizzativa, adeguata rappresentatività e collegamento stabile con il territorio ove svolgono l’attività di tutela degli interessi collettivi;
c) i predetti enti hanno l’onere di comprovare di avere svolto la propria attività per le finalità statutarie per un certo arco temporale e non debbono essere stati costituiti al solo scopo di procedere alla impugnazione di singoli atti e provvedimenti (in questo senso Cons. Stato n. 3639/23, n. 1838/18, n. 4928/14, n. 1640/12).
Nella fattispecie il Comitato ricorrente non ha dimostrato di avere svolto attività statutarie per un significativo periodo di tempo.
Infatti, benché costituito con atto notarile del 20/03/98, il Comitato non ha comprovato di avere svolto alcuna significativa attività fino al giugno 2023, epoca di poco antecedente alla proposizione del gravame.
In particolare, la documentazione presentata in allegato al ricorso (istanza di accesso del 10/07/23, segnalazione al Nucleo Forestale dei Carabinieri senza data, istanza di partecipazione al procedimento inviata con pec del 27/06/23, lettera – appello del 27/06/23: allegati 24-27 all’atto introduttivo) è tutta inerente alla vicenda oggetto di causa; nella memoria conclusionale depositata il 15/03/24 il Comitato parla di “costante pregresso impegno del Comitato sul territorio, in particolare in relazione alla progettazione in largo di Villa Bianca di un parcheggio interrato – come da localizzazione del P.U.P. del Comune di Roma – e in diverse altre sedi ed eventi, tenuto conto delle peculiari qualità professionali e sensibilità del Presidente X e del dr. X ma di tale attività l’ente non ha fornito prova alcuna.
Risulta sfornita di idonea prova anche l’effettiva rappresentatività del comitato il quale, a tal fine, si è limitato a depositare un elenco di associati con l’indicazione delle quote che gli stessi avrebbero versato per l’anno 2023; tale documentazione, però, non è idonea a comprovare l’effettività di tali adesioni e, in definitiva, la reale rappresentatività del comitato ricorrente tenuto conto anche del fatto che l’art. 6 dello statuto prevede, per l’ammissione di nuovi soci, l’espletamento di formalità (richiesta controfirmata da almeno due soci, approvazione del Consiglio direttivo a maggioranza di due terzi dei votanti) suscettibili di essere documentalmente dimostrate.
Quanto fin qui evidenziato induce il Collegio a ritenere che le domande proposte dal Comitato Villa Bianca siano inammissibili per difetto di posizione legittimante con assorbimento, in tale statuizione, di tutte le altre eccezioni pregiudiziali sollevate dalle parti resistenti in ordine alla posizione processuale dell’ente.
Per quanto concerne, poi, le eccezioni pregiudiziali concernenti la posizione dei ricorrenti XXX il Tribunale rileva quanto segue.
Le resistenti prospettano la tardività del ricorso in quanto il cartello di cantiere sarebbe stato apposto “ai primi di aprile 2023” (così la KKK s.r.l. nella memoria depositata l’11/10/23: pag. 5) e, precisamente, il 03/04/23 (secondo la KKK); in tale data, pertanto, i ricorrenti avrebbero preso conoscenza del permesso di costruire del 2022 come desumibile anche dalle notizie apparse sulla stampa a partire dal 05/04/23 comprovanti che la notizia del rilascio del titolo edilizio fosse di dominio pubblico.
Sempre secondo le resistenti, in data 18/05/23 la signora x1, membro del Comitato Villa Bianca, avrebbe presentato al Comune di Roma, anche per conto di altri residenti di Largo Villa Bianca, una prima istanza di accesso agli atti dell’intervento.
Da tale data, pertanto, decorrerebbe il termine decadenziale d’impugnazione dal momento che nella fattispecie i ricorrenti contesterebbero l’an dell’edificazione mentre la proposizione tardiva della loro istanza di accesso non sarebbe idonea a procrastinare tale termine.
L’eccezione è infondata.
Secondo la giurisprudenza pronunciatasi in riferimento all’impugnazione del titolo edilizio da parte di terzi, l’inizio dei lavori segna il dies a quo della tempestiva proposizione del ricorso nell’ipotesi in cui si contesti l’an dell’edificazione (cioè laddove si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area), mentre, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), il dies a quo deve ritenersi coincidente con il completamento dei lavori ovvero con il grado di sviluppo degli stessi che renda palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, dell’erigendo manufatto, ferma restando la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (Cons. Stato n. 3654/23, Cons. Stato n. 7741/22, Cons. Stato n. 191/2020, n. 8149/2020).
Nel presente giudizio i ricorrenti non contestano l’an dell’edificazione ma solo le modalità della stessa.
Le censure, infatti, non prospettano l’assoluta inedificabilità dell’area (del resto, già precedentemente edificata) né la possibilità di ricostruire la volumetria preesistente ma lamentano l’illegittima utilizzazione dello strumento di cui all’art. 3 ter l.r. n. 21/09[1] e, in particolare, il cumulo delle premialità previste, da una parte, dall’art. 14 d.p.r n. 380/01[2] e, dall’altra, dall’art. 3 ter citato contestando, altresì, il procedimento edilizio seguito ai fini dell’adozione dei gravati titoli abilitativi.
Il cartello, che le resistenti prospettano apposto il 03/04/23, si limita ad indicare gli estremi del permesso e la dicitura “realizzazione di lavori di demolizione e ricostruzione per realizzazione di un edificio misto” (come emerge dalla documentazione fotografica depositata dalla WWW il 13/10/23).
Dal contenuto del cartello, pertanto, non è possibile desumere le ragioni di possibile illegittimità del titolo edilizio, come prospettate nel gravame, specie se si considera che nel cartello non vi è alcun riferimento all’art. 3 ter l.r. n. 21/09 e che le resistenti non hanno in alcun modo dimostrato che, dopo l’apposizione del cartello, i lavori siano effettivamente mai iniziati (anzi, all’attualità non vi è prova di tale edificazione).
Ne deriva che l’apposizione del cartello costituisce circostanza di fatto inidonea a comprovare, in capo alle persone fisiche odierne ricorrenti, la conoscenza dei titoli edilizi alla data del 05/04/23.
Né, a tal fine, assumono significativa rilevanza le notizie di stampa e le altre circostanze poste a fondamento dell’eccezione, tra cui l’istanza di accesso presentata il 18/05/23 da una componente del Comitato Villa Bianca, la conoscenza delle quali, da parte dei ricorrenti XXX non è in alcun modo comprovata; per altro, dal contenuto della stessa istanza di accesso (riscontrata da Roma Capitale solo con nota del 31/07/23) non è possibile desumere la conoscenza dei titoli edilizi e della possibile illegittimità degli stessi nemmeno da parte della stessa richiedente.
Nella memoria depositata il 15/03/24 (pag. 3), poi, la WWW argomenta la conoscenza pregressa in capo ai ricorrenti anche dall’esposto che in data 27/06/23 il Comitato ha presentato a varie autorità in cui l’ente mostra di conoscere la natura dell’intervento (si legge ivi del “massiccio intervento costruttivo (tre palazzine di sette piani oltre un housing sociale di elevata volumetria e di incerta destinazione, per un totale di circa 140 nuove unità abitative)” e dei prospettati “plurimi aspetti di illegittimità delle volumetrie; dell’altezza degli edifici; dell’assoluta mancanza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria idonee a sostenere il nuovo impatto insediativo”).
Anche tale circostanza, però, è inidonea ai fini della prova della tardività del ricorso dal momento che il gravame è stato notificato il 30/08/23 e che, quindi, anche volendo fare decorrere il termine d’impugnazione dal 27/06/23 o da alcuni giorni addietro la data in esame, il ricorso sarebbe, comunque, tempestivo.
In sostanza, nessuna delle circostanze di fatto ora esaminate comprova la conoscenza, da parte di XXX, dei profili d’illegittimità in questa sede prospettati, in data antecedente al 02/06/23, dies a quo utile per ritenere tempestivo il ricorso (come già detto, notificato il 30/08/23).
La WWW prospetta, altresì, l’inammissibilità del ricorso collettivo in ragione della “chiara disomogeneità tra la posizione del Comitato e la posizione degli associati ricorrenti in proprio che agiscono nella loro qualità di proprietari di immobili adiacenti all’area interessata dall’intervento di cui è questione” (pag. 18 della memoria depositata il 18/10/23).
Anche questa eccezione è infondata.
Come è noto, la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di stringenti requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo: i primi sono rappresentati dall’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di alcuni dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con l’accoglimento delle istanze degli altri; i secondi consistono, invece, nell’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (Adunanza Plenaria n. 5/15; Cons. Stato n. 9029/23, Cons. Stato n. 8138/23, Cons. Stato n. 8488/21).
Nella fattispecie tra il Comitato Villa Bianca e le persone fisiche ricorrenti non sussiste alcun conflitto di interessi e le relative domande hanno ad oggetto i medesimi provvedimenti e sono fondate sulle identiche censure; ne consegue l’infondatezza dell’eccezione esaminata.
Le parti resistenti, poi, deducono l’inammissibilità del gravame per difetto d’interesse dal momento che i ricorrenti non avrebbero comprovato il pregiudizio specifico loro arrecato dagli atti impugnati.
L’eccezione deve essere disattesa.
Secondo l’Adunanza Plenaria (sentenza n. 22/21):
“a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;
b) l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso;
c) l’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.”[3].
Dall’esame della sentenza n. 21/2022 emerge che il Supremo Consesso, pur evidenziando “la necessità di una verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa”, precisa che tale verifica è “tuttavia da condurre pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che “la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione” ma non anche che “abbia subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite”; ne consegue che “ lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento edilizio che si assume illegittimo, e che è necessario sussista, può comunque ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del giudicante”.
Da quanto fin qui evidenziato risulta che, ai fini dell’esistenza dell’interesse all’impugnazione di un titolo edilizio, è sufficiente la prospettazione di un pregiudizio, caratterizzato da una certa specificità, e non anche l’accertamento dello stesso in quanto tale ultimo profilo attiene al merito del gravame.
Tale impostazione è coerente con la natura di condizione dell’azione riconoscibile all’interesse al ricorso; come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza formatasi dopo l’arresto dell’Adunanza Plenaria del 2021, l’interesse va individuato in riferimento alla mera potenzialità lesiva degli atti impugnati “non potendosi sovrapporre evidentemente l’indagine sulle condizioni dell’azione a quella sul merito delle censure sottoposte alla cognizione del giudice” (così Cons. Stato n. 10715/22 il quale ha ritenuto che nella fattispecie “l’interesse ad agire è stato sufficientemente rappresentato dall’originario ricorrente nella possibile lesione delle potenzialità edificatorie del proprio fondo a causa della violazione della disciplina sulle distanze tra gli immobili imputata agli odierni appellati e nel meno agevole utilizzo di una strada di accesso al proprio fondo su cui grava una servitù di passaggio”).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche il Collegio ritiene che nella fattispecie i ricorrenti XXX siano titolari dell’interesse al ricorso richiesto dall’Adunanza Plenaria ai fini dell’impugnazione dei titoli edilizi da parte di terzi. A fondamento del gravame i ricorrenti persone fisiche hanno comprovato di essere proprietari e di risedere in appartamenti ubicati in edifici prospicienti e con affaccio su Villa Bianca (come risulta dall’allegato n. 43 depositato in data 05/03/24).
In proposito, essi deducono che:
“20….risiedono e sono proprietari di appartamenti ubicati in edifici prospicienti e con affaccio su Villa Bianca, come è dato rinvenire dai certificati di residenza e catastali depositati. In particolare X risiede in …XX in … Il coinvolgimento e la potenziale perdita di valore dei diritti dominicali dei ricorrenti trova in primis conferma in un atto di provenienza della stessa WWW, c.d. testimoniale di stato…, con il quale si chiedeva loro l’assenso per l’accesso all’interno degli appartamenti per la verifica dell’integrità delle strutture in vista di paventati danni per scavi e scuotimenti in occasione della nuova costruzione.
21. Sul piano del danno patrimoniale che si determina nei riguardi dei ricorrenti è agevole rilevare la perdita di valore di unità immobiliari collocate in città storica ed in prossimità, nell’attualità, di un’area verde, arborata e destinata a parco, con affaccio e veduta sulla stessa, nel momento in cui a detta cornice ambientale viene a sostituirsi un imponente complesso edificato di 53.000 mc., articolato su sette piani, con ampie porzioni destinate ad attività commerciali e terziarie.
22. Al danno patrimoniale si aggiunge quello sul piano esistenziale e del diritto alla salute, per l’aggravamento delle condizioni di vivibilità dei luoghi, causate dall’incremento del traffico 8 veicolare per la presenza in zona intensamente edificata di circa cinquecento nuovi residenti, per la perdita di veduta ed areazione a causa dell’altezza delle nuove costruzioni e di salubrità dell’aria dovuta all’eliminazione delle presenze arboree” (pagg. 7-8 della memoria depositata il 15/03/24).
Il consistente aumento di volumetria assentito con il gravato permesso di costruire unitamente alle concrete caratteristiche dell’intervento edilizio inducono il Collegio a ritenere esistente almeno alcuni tra i pregiudizi lamentati dai ricorrenti.
E’ indubitabile che il significativo incremento del carico urbanistico derivante dall’ampliamento di volumetria, riguardato anche in riferimento allo stato dei luoghi quale desumibile dagli atti di causa (si veda, tra l’altro, la perizia tecnica costituente l’allegato n. 36 all’atto introduttivo), possa pregiudicare l’interesse dei ricorrenti tenuto conto della particolare posizione delle loro proprietà rispetto all’area oggetto d’intervento; come ha precisato l’Adunanza Plenaria, ai fini del riscontro dell’interesse, viene in rilievo “un’indagine naturalmente strettamente legata… al tipo di provvedimento contestato e all’entità e alla destinazione dell’immobile edificando o edificato” (A.P. n. 22/21).
Del resto, l’interrelazione tra intervento e le proprietà dei ricorrenti è confermata proprio dal “testimoniale di stato” che in data 23/06/23 la WWW ha chiesto di redigere in relazione ai possibili danni derivanti, ai loro immobili, dalla realizzazione dell’intervento edilizio.
Nel merito, poi, le domande proposte dai ricorrenti XXX sono fondate e devono essere accolte.
Con una serie di censure, tra loro connesse e rubricate sub A), i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione degli artt. 97 Cost.[4], 15 d.p.r. n. 380/01[5] e 3 ter l.r. n. 21/09, del d.m. n. 1444/68[6], delle previsioni di PRG del Comune di Roma e delle Norme Tecniche di Attuazione – N.T.A. approvate con delibera di Consiglio comunale n. 19/08[7] ed eccesso di potere sotto vari profili in quanto:
– l’intervento di cui al permesso di costruire n. 188/2022 non potrebbe essere inteso come completamento dei precedenti permessi di costruire n. 1036/2005 e n. 118/2007; “in termini generali, deve ritenersi che la ripresa dell’attività edilizia debba essere strettamente connessa al progetto non finito, da intendersi come tale quello per cui può ritenere acquisita ad ogni effetto una sua specifica individualità (in altre parole, può essere completato solo un progetto in termini urbanistici ultimato); nel caso di specie, fermo restando tutto il resto, non si ravvisa alcuna pertinenza tra il progetto di ristrutturazione e ampliamento della Clinica, la cui esecuzione si era arrestata alle demolizioni, e quello relativo alla imponente speculazione edilizia (144 appartamenti e 26 negozi) che dovrebbe essere realizzata in virtù del PdC n. 188/2022, avvalendosi della sopravvenuta disciplina derogatoria e speciale derivante dal Piano Casa regionale (L.R. Lazio n. 21 del 2009)” (pag. 14 dell’atto introduttivo);
– inoltre, l’avvocatura capitolina, nell’ambito del procedimento scaturito dall’istanza di permesso di costruire del 04/05/09 assunta con prot. n. 29103, avrebbe espresso un parere con il quale avrebbe ritenuto che la delibera consiliare n. 7/04, di approvazione del permesso in deroga n. 1036/2005, avrebbe perso efficacia per la sopravvenuta decadenza del permesso stesso e la sopravvenienza del PRG del 2008;
– l’intervento realizzato, per le sue concrete caratteristiche, non rientrerebbe in nessuna delle categorie ammesse dall’art. 3 ter l.r. n. 21/09 ovvero la ristrutturazione edilizia, la sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione (DR) e il completamento e ciò in quanto il mutamento della sagoma, dei prospetti e dell’area di sedime in zona A configurerebbe una “nuova costruzione”;
– l’edificio principale destinato a clinica privata non esisterebbe più dal 2006, in quanto demolito (salvo residuali 500 mc.) di talché nella fattispecie sarebbero violati gli artt. 2[8] e 3 ter l.r. n. 21/09 “la cui applicazione richiede quale ineludibile presupposto l’esistenza di strutture edilizie, nella loro consistenza materiale, su cui consentire gli interventi di cambio di destinazione d’uso, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione, finalizzati alla realizzazione di alloggi in parte da concedere in locazione a canone calmierato” (pag. 17 dell’atto introduttivo). Nella fattispecie, invece, verrebbe in rilievo una mera area libera che non potrebbe essere ritenuta edificabile mancando il piano attuativo richiesto, a tal fine, dall’art. 3 ter comma 3 l.r. n. 21/09;
– la Regione Lazio e Roma Capitale avrebbero assunto, quale parametro per il calcolo della premialità, non l’originaria consistenza dell’edificio da ricostruire (pari a circa 17.000 mc.), ma quella derivante dai permessi n. 1036/2005, avente ad oggetto l’ampliamento di circa 20.000 mc. della struttura sanitaria in deroga allo strumento urbanistico, e n. 119/2007, relativo ad una variante in corso d’opera, entrambi decaduti per il mancato completamento dei lavori entro il prescritto termine triennale e, per effetto dei quali, la complessiva volumetria da ricostruire sarebbe pari a complessivi mc. 37.494,70 di cui mc. 20.078 per ampliamento in deroga;
– ne deriverebbe che nella fattispecie, in maniera illogica ed irrazionale, si cumulerebbero i benefici derivanti dal permesso in deroga ex art. 14 d.p.r. n. 380/01 e dalla l.r. n. 21/09 il che determinerebbe un abnorme impatto sul territorio in virtù di una non consentita interpretazione estensiva o analogica della l.r. n. 21/09, da ritenersi disciplina eccezionale.
I motivi sono, innanzi tutto, ammissibili contrariamente a quanto prospettato dalla WWW secondo la quale, invece, “a seguire la tesi dei Ricorrenti la lesione (e la illegittimità) deriverebbe dalla “sommatoria” dei titoli edilizi del 2005-2007 con quello del 2022; ciò… avrebbe dovuto comportare una specifica impugnativa anche di questi stessi, non essendo -come noto- a tal fine sufficiente il generico richiamo agli atti presupposti, come contenuto in epigrafe del ricorso. Ciò non è avvento. Da qui l’inammissibilità del motivo” (pag. 19 della memoria depositata il 18/10/23).
La tesi della resistente, infatti, non può essere condivisa in quanto l’interesse dei ricorrenti risulta leso esclusivamente dal permesso di costruire n. 188/2022 (oltre che dalla successiva voltura) il quale ha comportato la reviviscenza dei titoli edilizi del 2005 e del 2007, già decaduti.
Infatti, l’annullamento del permesso n. 188/2022 è pienamente satisfattivo dell’interesse dei ricorrenti in quanto preclude la reviviscenza dei titoli decaduti i quali, pertanto, non avrebbero dovuto essere autonomamente impugnati.
Nel merito, i motivi sono fondati secondo quanto in prosieguo specificato.
Secondo l’art. 3 ter l.r. n. 21/09, introdotto dalla l.r. n. 10/11:
“1. In deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti o adottati sono consentiti cambi di destinazione d’uso a residenziale attraverso interventi di ristrutturazione edilizia, di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, e di completamento, con ampliamento entro il limite del 30 per cento della volumetria oppure della superficie utile esistente nei limiti previsti dalla lettera c), previa acquisizione del titolo abilitativo di cui all’articolo 6, degli edifici o di parti degli edifici di cui all’articolo 2 aventi destinazione non residenziale, che siano dismessi o mai utilizzati alla data del 31 dicembre 2013, ovvero che alla stessa data siano in corso di realizzazione e non siano ultimati e/o per i quali sia scaduto il titolo abilitativo edilizio ovvero, limitatamente agli edifici con destinazione d’uso direzionale, che siano anche in via di dismissione”.
La disciplina della l.r. n. 21/09 ha natura eccezionale come emerge dal carattere dichiaratamente straordinario ed urgente della stessa (art. 1), dalla durata temporalmente limitata (art. 6) e dalle misure derogatorie alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, ivi previste, tra cui l’ampliamento della volumetria esistente (artt. 3 e 4).
L’art. 3 ter l.r. n. 21/09, in particolare, consente il cambio di destinazione d’uso a residenziale attraverso una triplice tipologia di interventi:
a) la “sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione”. L’intervento in esame non è specificamente disciplinato dal d.p.r. n. 380/01 ma deve ritenersi corrispondente alla ristrutturazione edilizia c.d. demoricostruttiva come emerge anche dal raffronto con l’art. 4 l.r. n. 21/09 in cui tale forma di intervento viene compiutamente descritta e disciplinata;
b) la “ristrutturazione edilizia” da intendersi riferita a tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia, diversi da quelli di cui sub a), attraverso i quali è attuata la modifica di destinazione d’uso;
c) il “completamento”.Con riferimento specifico al “completamento”, il Collegio ritiene che tale intervento debba necessariamente riguardare un edificio o una parte di edificio già esistente nella sua materialità come emerge dal tenore letterale dell’art. 3 ter l.r. n. 21/09 che consente gli interventi di ristrutturazione, sostituzione edilizia e completamento “degli edifici o di parti degli edifici di cui all’articolo 2 aventi destinazione non residenziale” che rientrino in una delle seguenti categorie:
1) “siano dismessi o mai utilizzati alla data del 31 dicembre 2013”;
2) “ovvero che alla stessa data siano in corso di realizzazione e non siano ultimati e/o per i quali sia scaduto il titolo abilitativo edilizio”;
3) “ovvero, limitatamente agli edifici con destinazione d’uso direzionale, che siano anche in via di dismissione”.
Pertanto, tutte le tipologie di intervento sono dalla norma riferite a “edifici” completamente realizzati (si tratta di quelli “dismessi o mai utilizzati”) o a “parti di edifici” “in corso di realizzazione e non… ultimati”.
Proprio l’utilizzazione dei termini “in corso di realizzazione” e “non… ultimati”, specificamente riferiti alle “parti degli edifici”, evidenzia che l’indispensabile presupposto per tutti gli interventi di cui all’art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09 è la preesistenza di un edificio, anche parziale, caratterizzato da una materialità che consenta di identificarlo come tale.
Tale impostazione è supportata dalle seguenti considerazioni:
– a livello teleologico, una delle finalità che l’art. 1 l.r. n. 21/09 dichiara di perseguire è quella di “favorire l’adeguamento del patrimonio edilizio esistente alla normativa antisismica, il miglioramento della qualità architettonica e la sostenibilità energetico-ambientale del patrimonio stesso, secondo le tecniche, le disposizioni ed i principi della bioedilizia”. Significativamente la disposizione fa riferimento al patrimonio edilizio già “esistente” l’unico al quale può essere riferito il concetto di “riqualificazione”;
– a livello logico, il “completamento”, di cui parla l’art. 3 ter l.r. n. 21/09 non può che presupporre l’esistenza di un manufatto caratterizzato da una materialità che consenta di qualificarlo almeno come “parte di edificio”. Il legislatore regionale ha utilizzato il termine “edificio” e non anche quello di “intervento” proprio a significare che il manufatto preesistente deve sviluppare almeno una parziale volumetria;
– nella legge regionale n. 21/09 il termine “edificio” ha un significato specifico da individuarsi alla luce della circolare ministeriale 23 luglio 1960, n. 1820[9], espressamente richiamata dall’art. 3 commi 1 lettera a) e 8 della medesima legge regionale. Secondo la predetta circolare, per edificio “si intende qualsiasi costruzione coperta, isolata da vie o da spazi vuoti, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si elevano, senza soluzione di continuità, dalle fondamenta al tetto; che disponga di uno o più liberi accessi sulla via, e possa avere una o più scale autonome”. Non è plausibile che la legge regionale n. 21/09 abbia utilizzato il termine “edificio” con accezioni diverse negli artt. 3 e 3 ter del medesimo testo normativo;
– la nozione di “edificio”, come delineata dalla circolare ministeriale, è, del resto, confermata anche dalla circolare regionale approvata con deliberazione n. 184 dell’08/05/12[10], più volte richiamata dalle parti resistenti, la quale ritiene tale concetto espressamente riferibile all’ambito applicativo dell’art. 3 ter l.r. n.21/09 salvo, poi, immotivatamente prescinderne per la sola ipotesi di “edifici o parti degli edifici…in corso di realizzazione” per cui sarebbe sufficiente “che sia tempestivamente intervenuta comunicazione di inizio lavori ai sensi dell’art. 15, d.P.R. n. 380/2001” (pag. 3 della circolare regionale). L’impostazione regionale, in tale ultima parte, non può essere condivisa perché finalizzata ad estendere indebitamente l’ambito applicativo della l.r. n. 21/09 la quale, come già detto, ha carattere eccezionale ed espressamente collega i termini “edifici” e “parti di edifici” agli interventi “in corso di realizzazione” proprio a significare che gli eccezionali benefici, ivi previsti, possono essere riconosciuti solo se l’intervento in corso di realizzazione abbia già raggiunto una significativa consistenza;
– l’art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09 parametra l’ampliamento, per tutte le tipologie di intervento (e, quindi, anche con riferimento al “completamento” riferibile ad un titolo scaduto), alla sola volumetria già “esistente” con ciò presupponendo che la “parte di edificio” già realizzata sia in grado di sviluppare una certa volumetria;
– del resto, ove l’intervento avesse ad oggetto un manufatto da costruire ex novo il legislatore avrebbe più propriamente utilizzato il termine “realizzazione” come è, infatti, previsto dall’art. 3 ter comma 3 l.r. n. 21/09 il quale, in riferimento alle aree libere, parla di “realizzazione di immobili ad uso residenziale”. Si tratta, in quest’ultima ipotesi, di una vera e propria “nuova costruzione” ex art. 3 comma 1 lettera e) d.p.r. n. 380/01;
– tale ricostruzione è confermata dalla natura degli altri due interventi che l’art. 3 ter l.r. n. 21/09 richiama, ovvero quelli di ristrutturazione edilizia e di sostituzione edilizia demoricostruttiva i quali presuppongono l’esistenza di una precedente volumetria;
– dal punto di vista letterale, l’art. 3 ter l.r. n. 21/09 al comma 1 parametra espressamente l’ampliamento del 30%, ivi previsto, alla superficie o alla volumetria già “esistente” al pari di quanto stabilito nella lettera c) del medesimo comma allorchè individua la percentuale da destinare ad edilizia sociale. Pertanto, l’ampliamento, previsto dall’art. 3 ter l.r. n. 21/09, deve essere parametrato alla superficie o alla volumetria già esistenti, e non anche alla mera potenzialità edificatoria, anche nelle ipotesi di “completamento” conseguenti all’esistenza di un titolo edilizio scaduto.
Per questi motivi l’intervento di “completamento” non può essere esteso all’ipotesi di materiale inesistenza di un precedente edificio o parte di edificio caratterizzato da una propria volumetria.
In proposito, il Collegio ritiene di dovere specificare un ulteriore profilo rilevante ai fini della decisione.
La nozione di “completamento”, cui fa riferimento l’art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09, presuppone non solo la materiale esistenza almeno di una parte di edificio ma anche una continuità progettuale tra la preesistenza e la parte ancora da realizzare.
Se, infatti, è vero che il legislatore ammette per tutte le ipotesi il mutamento di destinazione d’uso a residenziale, è pur vero che tra preesistenza e “completamento” vi deve essere un nesso di continuità che, pur consentendo modifiche coerenti con il mutamento di destinazione d’uso, non comporti uno stravolgimento degli elementi essenziali della preesistenza quale risultante dal progetto e dalla parte già edificata; proprio la mancanza di continuità, negli elementi essenziali, tra edificio preesistente e nuova edificazione induce il Collegio ad ascrivere l’intervento nell’ambito della “nuova costruzione” di cui all’art. 3 comma 1 lettera e) d.p.r. n. 380/01 da ritenersi estranea all’ambito applicativo dell’art. 3 ter l.r. n. 21/09.
Per questi motivi, il Tribunale ritiene che, nell’ambito della locuzione “e/o per i quali sia scaduto il titolo abilitativo edilizio”, presente nell’art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09, l’utilizzo della disgiunzione “o” non valga, anche in ragione delle considerazioni in precedenza esplicitate, non ultima quella relativa all’eccezionalità e al carattere derogatorio di tale disciplina, ad attribuire all’esistenza di un permesso scaduto la qualificazione di presupposto sufficiente, a prescindere dalle ulteriori condizioni richieste, per la realizzazione dell’intervento ivi previsto.
La prospettata esegesi dell’art. 3 ter l.r. n. 21/09 induce il Collegio a ritenere che:
1) tutti gli interventi di cui all’art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09 riguardino edifici o parti di edifici già esistenti e, quindi, caratterizzati da una preesistente materialità che consenta di qualificarli come tali;
2) l’intervento di completamento presupponga una significativa continuità negli elementi essenziali tra edificio cui si riferisce il titolo edilizio scaduto e quello oggetto di tale intervento;
3) in tutti i casi di ristrutturazione edilizia, sostituzione edilizia demoricostruttiva e completamento, l’ampliamento debba essere parametrato alla sola superficie utile o volumetria già esistenti e realizzate. In particolare, nell’ipotesi di completamento tale ampliamento non può essere calcolato in riferimento alla mera potenzialità edificatoria non ancora realizzata ed oggetto del titolo edilizio scaduto.
Ciò posto, dagli atti emerge che:
– con permesso di costruire n. 1036 del 19/10/05 Roma Capitale ha autorizzato l’ampliamento della struttura sanitaria preesistente, ai sensi dell’art. 14 d.p.r. n. 380/01, in deroga agli strumenti urbanistici. Il permesso di costruire in esame aveva ad oggetto un edificio principale (volumetria 34.577,68 mc.), un fabbricato A (volumetria 905,04 mc.), un fabbricato B (volumetria 2.917,02) e un fabbricato C (volumetria 653,52) (così l’integrazione tecnica descrittiva presentata dalla richiedente il permesso con istanza acquisita da Roma Capitale in data 01/07/19 con prot. n. 112872: pag. 15). Il fabbricato principale era destinato a clinica e i tre fabbricati accessori a Morgue e Uffici, Medicina Nucleare e Palestra, Laboratorio Analisi (così anche la KKK nella memoria depositata in data 11/10/23: pag. 1);
– con permesso n. 118/07 è stata autorizzata una variante per “modalità costruttive differenti – demolizione del fabbricato preesistente”;
– con dia prot. n. 30874 del 26/06/08 è stata richiesta una variante ai predetti permessi per la realizzazione di una nuova centrale elettrica, nuovi parcheggi interrati pertinenziali e modifiche interne al fabbricato A;
– in data 29/01/09 con prot. n. 5717 è stata richiesta una proroga dei titoli edilizi citati;
– con nota prot. n. 11631 del 20/02/09 Roma Capitale ha respinto la richiesta di proroga;
– con nota prot. n. 25353 del 15/04/09 l’ente locale ha confermato il rigetto della richiesta di proroga;
– in data 04/05/09 con prot. n. QI/2009/29103 è stata presentata una richiesta di permesso di costruire che non ha avuto seguito (tutti questi dati sono anche desumibili anche dalla relazione tecnica e storico critica allegata alla domanda di permesso di costruire del 18/02/16: pag. 5);
– con istanza assunta da Roma Capitale con prot. n. 29571 del 18/02/16 la KKK s.r.l., dante causa della WWW, attuale intestataria del titolo, ha richiesto un permesso di costruire per un intervento ivi descritto come “finalizzato al reperimento di alloggi a canone calmierato attraverso il cambio di destinazione d’uso da non residenziale a residenziale (art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09” specificando che “l’intervento da realizzare consiste nel recupero di un vuoto urbano (per recuperare in residenziale la cubatura precedentemente realizzata negli anni dai seguenti titoli edilizi: in data 19/10/2005 permesso di costruire n. 1036/05; in data 12/02/2007 permesso di costruire n. 118/07 come variante in corso d’opera al PdC 1036/05; in data 26/06/ 2008 DIA prot. CB 30874). A seguito della decadenza di tali titoli l’intervento di ricostruzione autorizzato è rimasto incompiuto, L’attuale progetto precede quindi il recupero dello spazio urbano, le cui opere di fondazione e palificate risultano già realizzate. L’intervento sarà quindi concentrato su un’area incompiuta e non intaccherà l’apparato vegetazionale presente nell’area”;
– nella medesima istanza l’intervento è stato, ivi, qualificato come “nuova edificazione (NE)” (pag. 6 della relazione tecnica asseverata);
– sempre nell’istanza del 2016 “la cubatura presa a base del progetto è quella esclusivamente relativa al fabbricato Principale” ovvero quello avente volumetria pari a 34.577,68 mc. (pag. 15 della relazione tecnica e storico critica);
– con istanza acquisita da Roma Capitale in data 01/07/19 con prot. n. 112872 la richiedente ha presentato “nuovi tipi Tavola 1 e relazione tecnica aggiornata” con la quale ha prospettato una significativa modifica progettuale rispetto all’impostazione presente nell’istanza del 2016. In particolare, l’istanza ha previsto di recuperare anche la volumetria del fabbricato B (pari a 2.917,02 mc.), inizialmente esclusa dall’intervento, e di ristrutturare internamente gli originari fabbricati A e C al fine di adibire gli stessi a guardiania, alloggio del portiere e locali tecnici. Oltre a tale volumetria aggiuntiva da recuperare, “i nuovi tipi, portano ad un progetto differente da quello già consegnato in precedenza, nella sintesi le principali modifiche sono individuate con la separazione dell’unico fabbricato in due fabbricati separati al fine di poter meglio organizzare le funzioni dei due fabbricati e di dare autonomia sia alle unità di edilizia Residenziale Sociale che a quelle di edilizia libera…Tale nuova impostazione è stata possibile in quanto [per] il “fabbricato B” precedentemente escluso risultava un vincolo progettuale in funzione del rispetto delle distanze. II nuovo progetto prevede invece, di colmare il vuoto urbano presente e derivante dalle strutture in cemento armato già realizzate in precedenza. La demolizione anche del fabbricato B, che conferisce regolarità all’area di sedime del progetto. La demolizione infatti del corpo di fabbrica B, comporta la necessità di regolarizzare ii lotto di intervento, mediante la demolizione di parte della palificata esistente in corrispondenza del fabbricato B (meglio evidenziata nei nuovi tipi grafici). Inoltre per eseguire la nuova palificata sarà necessario sacrificare alcuni alberi preesistenti, che verranno rimpiazzati da altri alberi previsti dalle vigenti normative in tema. I piani interrati destinati a parcheggio avranno una diversa conformazione per la parte riguardante il nuovo scavo e palificata da eseguire” (pag. 19);
– con permesso di costruire n. 188 del 07/10/22, poi volturato con permesso n. 53 prot. n. 72036 del 20/04/23, Roma Capitale ha assentito due edifici con destinazione mista. Il primo composto da 6 piani fuori terra, un seminterrato e due livelli interrati, con un numero complessivo delle residenze pari a 94 unità immobiliari ad uso residenziale e altre 6 ad uso diverso (commerciale). Il secondo, sempre di 6 piani fuori terra, un seminterrato e due livelli interrati, con un numero complessivo delle residenze pari a 48 unità immobiliari destinate all’housing sociale e altre due unità immobiliari ad uso diverso (commerciale) (così la relazione tecnica oggetto della variante progettuale presentata il in data 01/07/19 con prot. n. 112872: pagg. 23-38);
– dall’esame del progetto e del permesso di costruire n. 188/22 e degli altri atti del procedimento emerge che la volumetria assentita ha tenuto conto dell’ampliamento parametrato all’originaria volumetria oggetto del permesso di costruire n. 1036/2005 (così anche il parere ex art. 6 l.r. n. 21/09 espresso dalla Regione Lazio con nota prot. n. 55665 del 21/01/2020).
Il quadro fattuale così ricostruito palesa l’esistenza di una pluralità di illegittimità censurate con le doglianze rubricate nell’atto introduttivo sub A).
Innanzi tutto, come già evidenziato, l’art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09 ha ad oggetto i soli interventi su edifici o parti di edifici già materialmente esistenti, requisito nella fattispecie non ravvisabile.
Infatti, nel momento in cui è decaduto il permesso n. 1036/2005 non era stato realizzato nessun edificio o parte di edificio; dagli atti di causa risulta che vi era stata la sola demolizione del fabbricato principale preesistente (così la memoria presentata dalla KKK s.r.l. l’11/10/23: pag. 2) e che nessuna struttura qualificabile come edificio o parte di edificio era mai stata realizzata.
Nella relazione trasmessa a Roma Capitale con prot. n. QI/2019/57130 del 01/04/19, supportata da documentazione fotografica, la KKK ha evidenziato che “dalla documentazione fotografica che segue, lo stato dei luoghi risulta abbandonato e rappresenta un vuoto urbano del quartiere. Risultano già eseguite le palificate e gli scavi di sbancamento per la quasi totalità dell’area interessata pertanto il progetto si inserirà nell’area già sbancata”; nello stesso senso Roma Capitale ha precisato che “lo stato dei luoghi così come presentato nell’ante operam di progetto risulta costituito da un enorme sbancamento con opere di contrasto realizzate in cemento armato” (nota prot. n. QI/2023/0160110 del 21/09/23 depositata il 17/10/23).
Ciò, del resto, è confermato dall’evoluzione dei progetti presentati con l’istanza di permesso di costruire prot. n. 29571 del 18/02/16 e con i successivi nuovi tipi laddove, inizialmente, si prevedeva il recupero del solo fabbricato principale mediante demolizione e ricostruzione dello stesso, mentre, a seguito delle modifiche prot. n. 112872 del 01/07/19, prot. n. QI 157183 del 10/10/19 e n. QI 159196 del 17/12/2020 (richiamate nel permesso n. 188/2022), il progetto ha previsto il recupero della volumetria di un altro dei fabbricati accessori e, soprattutto, la ricostruzione in due palazzine separate in luogo dell’unica palazzina prevista con il progetto originario.
Inoltre, la nozione di “completamento” ex art. 3 ter comma 1 l.r. n. 21/09 presuppone, pur nella consapevolezza di una non necessaria identità, almeno una significativa continuità progettuale e materiale tra edificio oggetto del titolo edilizio scaduto e quello oggetto di tale intervento.
Nella fattispecie, invece, tale continuità deve essere decisamente esclusa.
Come già precisato, il permesso di costruire n. 1036/2005, di cui quello n. 188/2022 costituisce, nella prospettazione delle parti resistenti, il mero “completamento”, aveva ad oggetto un edificio principale (volumetria 34.577,68 mc.), un fabbricato A (volumetria 905,04 mc.), un fabbricato B (volumetria 2.917,02) e un fabbricato C (volumetria 653,52); il fabbricato principale era destinato a clinica e i tre fabbricati accessori a Morgue e Uffici, Medicina Nucleare e Palestra, Laboratorio Analisi.
Il progetto assentito con il permesso n. 188/2022, invece, è relativo a due edifici con destinazione mista. Il primo composto da 6 piani fuori terra, un seminterrato e due livelli interrati, con un numero complessivo delle residenze pari a 94 unità immobiliari ad uso residenziale e altre 6 ad uso diverso (commerciale). Il secondo, sempre di 6 piani fuori terra, un seminterrato e due livelli interrati, con un numero complessivo delle residenze pari a 48 unità immobiliari destinate all’housing sociale e altre due unità immobiliari ad uso diverso (commerciale).
Ne deriva un’ontologica diversità, negli elementi essenziali, tra preesistenza, oggetto di recupero, costituita da un solo fabbricato, e il nuovo progetto relativo a due palazzine aventi ad oggetto diverse sagoma, volumetria, destinazione d’uso e consistenza.
Sul punto, non può essere condivisa la prospettazione della WWW allorché afferma che, “per effetto della premialità concessa dal Piano Casa, l’esito dell’edificazione non può che portare in ogni caso alla realizzazione di un edificio differente da quello posto alla base del titolo originario, superando quindi ogni vincolo di aderenza del nuovo progetto alla conformazione architettonica inizialmente assentita” e che “l’art. 3 ter della LR n. 21/09, laddove parla di completamento, non può comportare vincoli planivolumetrici ma va inteso come completamento della volumetria posta alla base del titolo originario, alla quale aggiungere la premialità (ed il cambio di destinazione d’uso) da realizzare anche mediante delocalizzazione sulla stessa area o anche in aree diverse, nonché modifiche di sagoma” (pagg. 22-23 della memoria depositata il 13/10/23).
Una simile nozione di “ampliamento”, per effetto della quale sarebbe possibile delocalizzare, addirittura in aree diverse, la volumetria aggiuntiva senza alcun rapporto strutturale e funzionale con l’“edificio” originario, non trova alcun supporto nella lettera dell’art. 3 ter l.r. n. 21/09, che parametrando l’ampliamento alla volumetria esistente, non può che configurare tale ampliamento come parte aggiuntiva dell’originario manufatto.
Del resto, allorchè il legislatore regionale ha ritenuto di consentire l’ampliamento attraverso la realizzazione di un corpo separato, lo ha previsto espressamente determinandone le condizioni tassative, a tal fine, necessarie; è il caso dell’art. 3 comma 3 lettera a) l.r. n. 21/09 laddove prevede che “gli ampliamenti di cui al comma 1 sono consentiti anche con aumento del numero delle unità immobiliari: a) in adiacenza, in aderenza rispetto al corpo di fabbrica, anche utilizzando parti esistenti dell’edificio; ove ciò non risulti possibile oppure comprometta l’armonia estetica del fabbricato esistente può essere autorizzata la costruzione di un corpo edilizio separato di carattere accessorio e pertinenziale”, disposizione che significativamente condiziona l’ampliamento separato al carattere accessorio e pertinenziale dello stesso.
Non a caso, l’art. 4 l.r. n. 21/09, il quale disciplina un intervento ontologicamente identico ad una delle tipologie ammesse dall’art. 3 ter l.r. n. 21/09, ovvero la sostituzione edilizia demo-ricostruttiva, nulla prevede in ordine alla possibilità di un ampliamento materialmente separato rispetto all’edificio originario.
Ne consegue che, come del resto evidenziato nell’istanza di permesso di costruire del 18/02/16, l’intervento è qualificabile come “nuova edificazione” o “nuova costruzione” ex art. 3 comma 1 lettera e) d.p.r. n. 380/01 e, come tale, non rientra in nessuna delle tipologie previste dall’art. 3 ter comma 1 l.r. n.21/09 ovvero la ristrutturazione edilizia, la sostituzione edilizia demoricostruttiva e il completamento.
Va, in proposito, richiamato quanto la giurisprudenza ha evidenziato in ordine alla necessaria continuità, negli elementi essenziali, tra la volumetria demolita e quella ricostruita che deve sussistere nella ristrutturazione edilizia c.d. demoricostruttiva, pur dopo le innovazioni introdotte dal d.l. n. 76/2020[11] (Cons. Stato n. 623/23, Cons. Stato n. 1681/23): in quest’ottica si è sostenuto che “la necessità di un’interpretazione della definizione dell’intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) dell’art. 3, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, che sia aderente alla (e non tradisca la) finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalità che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di “nuova costruzione” comporta che, anche dopo la novella del 2020, “permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorché trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l’assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio” (Cass. penale n. 1669/23 in riferimento ad una fattispecie di demolizione di una casa colonica, già esistente e costituita da due unità immobiliari e da alcuni annessi agricoli, con costruzione, in luogo delle predette strutture, di un complesso residenziale costituito da dieci villini in linea e un parcheggio a raso).
Sarebbe, pertanto, illogico ritenere che la ristrutturazione edilizia demoricostruttiva, che costituisce un intervento che presenta un maggiore impatto edilizio rispetto al “completamento” ex art. 3 ter l.r. n. 21/09, sia assoggettata a limiti più stringenti del completamento stesso.
In sede di interpretazione dell’art. 3 ter l.r. n. 21/09 si è avuto modo di precisare che in tutti i casi di ristrutturazione edilizia, sostituzione edilizia demoricostruttiva e completamento, l’ampliamento deve essere parametrato sulla sola superficie utile o volumetria già esistenti e realizzate; in particolare, nell’ipotesi di completamento, tale ampliamento non può essere calcolato in riferimento alla mera potenzialità edificatoria oggetto del titolo edilizio scaduto.
Ulteriore profilo di illegittimità del gravato permesso concerne il calcolo dell’ampliamento autorizzato da Roma Capitale.
In sede di interpretazione dell’art. 3 ter l.r. n. 21/09 si è avuto modo di precisare che in tutti i casi di ristrutturazione edilizia, sostituzione edilizia demoricostruttiva e completamento, l’ampliamento deve essere parametrato sulla sola superficie utile o volumetria già esistenti e realizzate; in particolare, nell’ipotesi di completamento, tale ampliamento non può essere calcolato in riferimento alla mera potenzialità edificatoria oggetto del titolo edilizio scaduto.
Nella fattispecie, invece, il permesso di costruire n. 188/2022 ha autorizzato un ampliamento parametrato alla mera potenzialità edificatoria del permesso n. 1036/2005, scaduto e, per altro, autorizzato in deroga ai sensi dell’art. 14 d.p.r. n. 380/01 per l’ampliamento della struttura sanitaria prima esistente.
I tre profili d’illegittimità accertati, relativi a) alla mancanza di un edificio o parte di edificio esistente e alla conseguente non riconducibilità dell’intervento (di nuova costruzione) ad una delle tre tipologie (ristrutturazione edilizia, sostituzione edilizia demoricostruttiva e completamento) ammesse dall’art. 3 ter l.r. n. 21/09, b) all’inesistenza di una significativa continuità, negli elementi essenziali, tra immobile oggetto del permesso scaduto n. 1036/2005 ed edifici assentiti con il permesso n. 188/2022 e c) all’erroneo calcolo dell’ampliamento assentito comportano, di per sé soli, l’annullamento dei gravati permessi di costruire il che esime il Collegio dall’esaminare l’ulteriore censura relativa alla perdita di efficacia della delibera consiliare n. 7/04 con cui è stata autorizzata la deroga allo strumento urbanistico all’epoca vigente al fine del rilascio del permesso n. 1036/2005.
La fondatezza delle doglianze esaminate comporta l’accoglimento del ricorso presentato da XXX (previo assorbimento delle ulteriori censure) e l’annullamento del permesso di costruire n. 188 prot. 166994 del 07/10/22, rilasciato in data 21/10/22 da Roma Capitale – Dipartimento della Programmazione ed Attuazione Urbanistica, del permesso di costruire n. 53 prot. 72036 del 20/04/23, con cui è stata autorizzata la voltura dell’intestazione, e degli atti connessi tra cui la relazione istruttoria, il parere espresso dalla Regione Lazio con nota prot. registro ufficiale.U.0055665.21-01-2020 e il verbale di chiusura della conferenza dei servizi di cui alla nota del Dipartimento PAU di Roma Capitale prot. n. 50686 del 05/05/2020.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese relative al rapporto giuridico processuale instauratosi tra il Comitato Villa Bianca, da una parte, e gli enti resistenti, dall’altra.
La novità della normativa applicabile, poi, induce il Collegio a compensare, nella misura di metà, le spese relative al rapporto giuridico processuale instauratosi tra i ricorrenti XXX, da una parte, e gli enti resistenti, dall’altra.
La parte residua non compensata, che si liquida come da dispositivo, deve essere posta a carico della Regione Lazio, di Roma Capitale, della WWW di investimento per azioni a capitale fisso – www s.p.a. e della KKK s.r.l., in quanto soccombenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definendo il giudizio, così provvede:
1) dichiara l’inammissibilità delle domande proposte dal Comitato Villa Bianca;
2) accoglie la domanda caducatoria proposta da XXX, e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati e, precisamente, il permesso di costruire n. 188 prot. 166994 del 07/10/22, rilasciato da Roma Capitale – Dipartimento della Programmazione ed Attuazione Urbanistica – Direzione Edilizia, il permesso di costruire n. 53 prot. 72036 del 20/04/23, la relazione istruttoria ed il parere emessi dalla Regione Lazio con nota prot. registro ufficiale.U.0055665.21- 01-2020 ed il verbale di chiusura della conferenza dei servizi di cui alla nota del Dipartimento PAU di Roma Capitale prot. n. 50686 del 05/05/2020;
3) dispone la compensazione delle spese relative al rapporto giuridico processuale instauratosi tra il Comitato Villa Bianca, da una parte, e gli enti resistenti, dall’altra;
4) dispone la compensazione, nella misura della metà, delle spese relative al rapporto giuridico processuale instauratosi tra i ricorrenti XXX, da una parte, e gli enti resistenti, dall’altra;
5) condanna la Regione Lazio, Roma Capitale, la WWW e la KKK s.r.l. a pagare, in favore di XXX la parte non compensata di tali spese il cui importo, per ognuno dei predetti enti resistenti, liquida in euro duemila/00, oltre iva, cpa e contributo unificato come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2024 con l’intervento dei magistrati:
MF, Presidente FF, Estensore SFC, Consigliere GL, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE MF
IL SEGRETARIO
[1] Legge regionale 11 agosto 2009, n. 21 – Piano Casa https://www.regione.lazio.it/cittadini/urbanistica/Legge-regionale-11-agosto-2009-21%20-Piano-Casa Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l’edilizia residenziale sociale (1) (1a)https://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=leggiregionalidettaglio&id=9172&sv=vigente
Art. 3 ter (6)
(Interventi finalizzati al reperimento di alloggi a canone calmierato attraverso il cambiamento di destinazione d’uso da non residenziale a residenziale)
1. In deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti o adottati, sono consentiti cambi di destinazione d’uso a residenziale attraverso interventi di ristrutturazione edilizia, di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, e di completamento, con ampliamento entro il limite del 30 per cento della volumetria oppure della superficie utile esistente nei limiti previsti dalla lettera c), previa acquisizione del titolo abilitativo di cui all’articolo 6, degli edifici o di parti degli edifici di cui all’articolo 2 aventi destinazione non residenziale, che siano dismessi o mai utilizzati alla data del 31 dicembre 2013, ovvero che alla stessa data siano in corso di realizzazione e non siano ultimati e/o per i quali sia scaduto il titolo abilitativo edilizio ovvero, limitatamente agli edifici con destinazione d’uso direzionale, che siano anche in via di dismissione. Gli interventi di cui al presente comma sono consentiti nel rispetto delle seguenti condizioni: (6a)
a) gli interventi non possono riguardare edifici ricompresi all’interno delle zone D di cui al decreto del Ministro per il lavori pubblici 2 aprile 1968, ovvero nell’ambito di consorzi industriali o di piani degli insediamenti produttivi, fatti salvi gli interventi nelle zone omogenee D inferiori a 10 ha, che riguardino edifici dismessi o mai utilizzati alla data del 31 dicembre 2013 (6a1);
b) gli interventi non possono riguardare gli edifici ricompresi all’interno delle zone omogenee E, di cui al decreto del Ministro per il lavori pubblici 2 aprile 1968; (6b)
c) gli interventi sono finalizzati al cambio di destinazione d’uso in residenziale fino ad un massimo di 15.000 metri quadrati di superficie utile lorda esistente, da incrementare con l’ampliamento di cui all’alinea del presente comma; tali interventi sono subordinati a riservare ad edilizia sociale a canone calmierato una quota della superficie complessiva oggetto dell’intervento, secondo quanto definito dalla Giunta regionale con il regolamento di cui al comma 1 bis; detta quota è stabilita nella misura minima del 30 per cento per cambi di destinazione d’uso con una superficie esistente inferiore a 10.000 metri quadrati e nella misura minima del 35 per cento per cambi di destinazione d’uso con una superficie esistente superiore a 10.000 metri quadrati e inferiore a 15.000 metri quadrati; tale quota è maggiorata di un ulteriore 10 per cento qualora venga recepita nel medesimo territorio comunale mediante l’utilizzo di alloggi già realizzati o in corso di realizzazione alla data di presentazione della proposta, fermo restando che la superficie oggetto del cambio di destinazione d’uso e la relativa premialità, di cui all’alinea del presente comma, devono essere realizzate nell’area oggetto dell’intervento; nelle percentuali riservate alla locazione può essere destinata una quota alla locazione per studenti universitari e alle categorie protette e svantaggiate come definite dalle norme nazionali e comunitarie nonché ai componenti del comparto sicurezza, dei vigili del fuoco e delle forze armate nelle percentuali riservate alla locazione a canone calmierato la quantità di alloggi con la superficie minima prevista dal regolamento edilizio, ovvero, in mancanza di questo, con la superficie minima di 45 metri quadrati, non deve essere maggiore del 50 per cento; (6c)
d) gli interventi sono realizzati nel rispetto delle altezze e delle distanze previste dagli articoli 8 e 9 del decreto del Ministro per il lavori pubblici 2 aprile 1968.
1 bis. La Giunta regionale, ai sensi dell’articolo 47, comma 2, lettera b), dello Statuto e del comma 1, lettera c), adotta un regolamento di attuazione e integrazione(6c2) con il quale disciplina:
a) i requisiti per l’accesso agli alloggi di edilizia sociale a canone calmierato e le procedure per l’individuazione dei locatari;
b) la durata del vincolo di locazione a canone calmierato, che non può essere comunque inferiore a quindici anni, prevedendo che sia oggetto di specifico atto d’obbligo da registrarsi presso la conservatoria dei registri immobiliari;
c) eventuali quote riservate alla locazione a canone calmierato a favore delle categorie individuate dal comma 1, lettera c);
d) la determinazione del valore del canone calmierato, che per gli alloggi ubicati nel territorio di Roma Capitale non può essere superiore al prezzo di euro 5/mq e per gli alloggi ubicati negli altri comuni del Lazio non può essere superiore al prezzo di euro 4/mq; (6c1)
e) eventuale ulteriore documentazione a corredo della richiesta del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione degli interventi di cui al comma 1, lettera c), necessaria ai fini della individuazione certa delle superfici e degli alloggi da destinare a locazione a canone calmierato;
f) le condizioni e le modalità dell’eventuale alienazione degli alloggi alla scadenza del vincolo di cui alla lettera b) nonché la determinazione del prezzo di vendita, che non può essere superiore alle quotazioni medie dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) del semestre antecedente al trasferimento della proprietà. (6d) (6d1)
f bis) le condizioni e le modalità dell’eventuale alienazione degli alloggi prima della scadenza del vincolo di locazione di cui alla lettera b), decorsi almeno sette anni, esclusivamente al conduttore che ne faccia richiesta scritta al locatore, ad un prezzo di vendita non superiore al 70 per cento delle quotazioni medie OMI del semestre antecedente al trasferimento della proprietà; (6d2)
f ter) le forme di tutela per l’amministrazione in caso di inosservanza degli obblighi derivanti dal regolamento di cui al presente comma e dalla presente legge, relativamente alla quota di alloggi da destinare ad edilizia sociale a canone calmierato, prevedendo sanzioni pecuniarie proporzionali alla gravità dell’inadempimento, fino ad un valore massimo pari al prezzo di vendita degli alloggi determinato ai sensi della lettera f), ovvero fino all’acquisizione gratuita al patrimonio del comune; (6d2)
f quater) le modalità per la gestione degli alloggi e la determinazione del canone calmierato, oltre la durata del vincolo di locazione di cui alla lettera b), esclusivamente in presenza dell’espressa disponibilità del proponente e di un accordo con l’amministrazione comunale. (6d2)
1 ter. Gli interventi di cui al comma 1, limitatamente alla sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, possono essere eseguiti anche per edifici situati:
a) nelle zone a rischio idrogeologico di cui all’articolo 2, comma 2, lettera e) purché la sicurezza del regime idraulico sia attestata dall’ente competente nel parere di cui all’articolo 6, comma 1, ovvero nella conferenza dei servizi di cui all’articolo 6, comma 2;
b) nelle fasce di rispetto di cui all’articolo 2, comma 2, lettera g), purché la ricostruzione abbia luogo esclusivamente al di fuori delle predette aree o fasce di rispetto, nel medesimo lotto o in altro lotto confinante in cui l’edificazione sia consentita dagli strumenti urbanistici vigenti. (6d3)
2. Gli interventi di modifica di destinazione d’uso di cui al comma 1, al comma 3 e al comma 4 determinano automaticamente la modifica della destinazione di zona dell’area di sedime e delle aree pertinenziali dell’edificio, nonché delle aree cedute per gli standard urbanistici, comprese quelle per la viabilità pubblica prevista dal progetto. Dette modifiche, conseguenti al rilascio del permesso di costruire ed alla cessione delle aree per gli standard urbanistici, sono annotate nel registro degli interventi di cui al comma 9. (6d4)
3. Nelle aree edificabili libere, in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali, vigenti o adottati, con destinazione non residenziale nell’ambito dei piani e programmi attuativi di iniziativa pubblica o privata nonché di ogni atto deliberativo comunale avente efficacia di atto attuativo dello strumento urbanistico generale adottati alla data del 31 dicembre 2013, ancorché decaduti, con esclusione dei piani degli insediamenti produttivi, dei piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale e dei piani industriali particolareggiati, è consentito il cambio della destinazione d’uso della superficie utile lorda non residenziale, prevista dal piano nella stessa area, per la realizzazione di immobili ad uso residenziale, fino ad un massimo di 10.000 metri quadrati di superficie utile lorda – SUL. Ove lo strumento urbanistico vigente non indichi l’edificabilità delle suddette aree in termini di superficie utile lorda – SUL, la stessa viene ricavata, virtualmente, dividendo il volume ammissibile per l’altezza teorica di metri 3,2. La realizzazione di tali interventi rimane subordinata alla riserva di una quota di superficie, stabilita nella misura minima del 10 per cento, destinata alla locazione con canone calmierato per l’edilizia sociale secondo quanto definito dalla Giunta regionale con il regolamento di attuazione di cui al comma 1 bis. Tale quota può essere insediata anche in altri edifici ad uso residenziale esistenti o da realizzare nel medesimo piano attuativo; nel caso in cui essa venga reperita mediante alloggi realizzati o in corso di realizzazione fuori dal piano attuativo e comunque nello stesso territorio comunale, la quota di superficie da destinare alla locazione con canone calmierato è stabilita nella misura del 20 per cento. Nelle percentuali riservate alla locazione a canone calmierato la quantità di alloggi con la superficie minima prevista dal regolamento edilizio, ovvero, in assenza di questo, con la superficie minima di 45 metri quadrati netti, non deve essere maggiore del 50 per cento. La realizzazione degli interventi di cui al presente comma è subordinata all’esistenza, all’adeguamento o alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria di cui all’articolo 16 del d.p.r. 380/2001, al rispetto delle altezze e delle distanze previste dagli articoli 8 e 9 del decreto del Ministro per il lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 nonché alla dotazione di parcheggi di cui all’articolo 41 sexies della l. 1150/1942 e successive modifiche. Nel caso di attuazione di singole proposte ricadenti all’interno dello stesso piano attuativo, previa presentazione di un atto d’obbligo notarile registrato e trascritto da parte dei titolari delle proposte, è consentito distribuire la superficie utile lorda – SUL residenziale nelle aree libere oggetto delle diverse proposte purché complessivamente non venga superata la quantità autorizzata dal cambio di destinazione d’uso. Nelle aree di cui al presente comma è altresì consentito il cambiamento della destinazione d’uso della superficie utile lorda – SUL non residenziale anche oltre il limite dei 10.000 metri quadrati di SUL a condizione che gli immobili ad uso residenziale realizzati siano interamente destinati all’edilizia residenziale sociale alle condizioni previste dal regolamento di cui al comma 1 bis e che una quota non inferiore al 10 per cento della superficie oggetto del cambio di destinazione d’uso rimanga destinata a funzioni non residenziali. La disciplina prevista dal presente comma è applicabile anche alle aree ubicate all’interno dei piani attuativi di iniziativa pubblica o privata decaduti e ridisciplinati dallo strumento urbanistico generale, purché ne sia stata mantenuta l’edificabilità. (6e)
4. Fermo restando quanto stabilito dal comma 1 sono consentiti cambi di destinazione d’uso a residenziale degli edifici adibiti a strutture sanitarie private che cessano l’attività sanitaria in conseguenza di quanto previsto nei piani regionali di rientro della rete ospedaliera o nel piano di rientro dal disavanzo sanitario, nonché di tutti i provvedimenti ad essi connessi. “Inoltre, ai sensi del comma 1, sono consentiti cambi di destinazione d’uso a residenziale degli edifici adibiti ad alloggi temporanei per l’emergenza abitativa in forza di atti e contratti con la pubblica amministrazione, che alla data del 31 dicembre 2013 siano dismessi ovvero, entro i termini di cui all’articolo 6, comma 4, abbiano ricevuto lettera di disdetta, anche ai soli fini della ricontrattazione dei termini o non possano più proseguire l’attività emergenziale per manifesta volontà dell’amministrazione in conseguenza di quanto previsto dal decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario) convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 nonché di tutti i provvedimenti delle stesse amministrazioni pubbliche ad esso connessi. (6e1)
5. Gli interventi di cui al comma 1, 3 e 4 devono essere realizzati nel rispetto di quanto previsto dalla normativa statale e regionale in materia di sostenibilità energetico-ambientale e di bioedilizia e, in particolare, dal d.lgs. 192/2005 nonché dalla l.r. 6/2008 e successive modifiche, dal dpr. 59/2009 e dal decreto del Ministero dello Sviluppo economico 26 giugno 2009. (6e2)
6. La realizzazione degli interventi di cui ai commi 1 e 4 è subordinata all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria di cui all’articolo 16 del d.p.r. 380/2001, ovvero al loro adeguamento e/o realizzazione, nonché, nel caso di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, alla dotazione dei parcheggi di cui all’articolo 41 sexies della l. 1150/1942 e successive modifiche. Nel caso in cui l’intervento preveda l’incremento di volume o di superficie rispetto all’esistente, dovranno essere cedute all’amministrazione le aree per gli standard urbanistici di cui agli articoli 3 e 5 del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444. Gli standard urbanistici connessi all’incremento di volume o di superficie possono essere reperiti su aree adiacenti ovvero su aree accessibili all’interno di un raggio di influenza di 1.000 metri dall’area di intervento, o in alternativa attraverso il pagamento di un contributo straordinario commisurato alla volumetria che determina la quota di standard urbanistici non reperiti e pari al 50 per cento del contributo di costruzione dovuto ai sensi dell’articolo 16 del d.p.r. 380/2001, fatte salve altre modalità di pagamento già deliberate dalle amministrazioni comunali alla data del 31 dicembre 2013, a condizione che gli introiti siano vincolati alla realizzazione di opere pubbliche nell’area interessata dall’intervento. (6f)
6 bis. Al fine di implementare la qualità urbana nel territorio limitrofo agli ambiti di intervento, l’importo degli oneri di urbanizzazione derivanti dai medesimi interventi e da eventuali contributi straordinari relativi agli standard di cui al comma 6 è utilizzato esclusivamente per realizzare le opere pubbliche con la prioritaria finalità del raggiungimento degli standard urbanistici nel perimetro dell’intervento stesso o nel territorio circostante e comunque, fino alla sua utilizzazione, l’importo di cui sopra è vincolato a tale scopo in apposito capitolo del bilancio comunale. (6f1)
7. Nel caso in cui gli interventi previsti al comma 1 riguardino un edificio o una parte di un edificio con una superficie utile inferiore a 500 metri quadrati può non applicarsi la condizione di cui al comma 1, lettera c), purché l’interessato corrisponda, prima dell’ultimazione dei lavori, il pagamento di un importo pari al 20 per cento del corrispondente valore catastale determinato ai fini dell’imponibile ICI o si impegni alla realizzazione di opere pubbliche di interesse dell’amministrazione comunale di pari importo. (6f2)
8. Le disposizioni previste dal presente articolo si applicano anche ai piani di zona di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 (Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare) e successive modifiche o all’interno dei piani di recupero di cui alla l.r. 28/1980 e successive modifiche, ancorchè decaduti o ripianificati. (6f3)
9. I comuni istituiscono il registro degli interventi di cui al presente articolo al fine di monitorare l’incremento dei pesi insediativi nell’ambito del territorio comunale. I comuni provvedono annualmente a trasmettere i dati riepilogativi alla Regione.
9 bis. Per i comuni ad alta tensione abitativa, nel caso di procedure di evidenza pubblica, anche in corso, finalizzate al reperimento di alloggi ed aree da destinare all’edilizia sociale e all’edilizia residenziale pubblica, le procedure di adozione e di eventuali controdeduzioni alle varianti allo strumento urbanistico dei progetti e dei programmi urbanistici di cui al presente articolo, sono approvate dal consiglio comunale con propria deliberazione, previe conferenze dei servizi convocate dal responsabile del procedimento, ai sensi dell’articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e successive modifiche con la partecipazione delle amministrazioni interessate dall’intervento, ivi compresa la Regione e le amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, qualora l’intervento sia ricompreso all’interno di aree di interesse culturale, ambientale o comunque vincolate. Le varianti urbanistiche contenute nei progetti e programmi sono approvate con deliberazione della Giunta regionale. Le procedure previste dal presente comma devono in ogni caso concludersi entro il 31 gennaio 2015. (6g)
9 ter. Per tutti gli interventi di cui al presente articolo il rilascio del certificato di agibilità relativo agli immobili di edilizia privata deve essere contestuale al rilascio del certificato di agibilità relativo agli immobili di edilizia sociale a canone calmierato. E’ ammesso il rilascio di certificati di agibilità parziale a condizione che sia rispettata la proporzione tra SUL destinata al libero mercato e SUL riservata alla locazione a canone calmierato prevista dalla norma. (6g1)
9-quater. Entro il termine di cui all’articolo 6, comma 4, è possibile presentare proposte da parte di soggetti proponenti, selezionati a seguito di procedure di evidenza pubblica, di interventi volti alla riqualificazione urbana i cui piani attuativi siano stati approvati entro il termine di cui al comma 3 ma che ancora non hanno titolo per richiedere il permesso di costruire ai sensi dell’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)) e successive modifiche. Il rilascio del permesso di costruire potrà intervenire solo all’ottenimento del predetto titolo. (6g2)
- (6) Articolo inserito dall’articolo 5, comma 1 della legge regionale 13 agosto 2011, n.10
- (6a) Alinea modificata dall’articolo 1, comma 6, lettera a), della legge regionale 6 agosto 2012, n. 12, dall’articolo 2, comma 2 della legge regionale 8 agosto 2014, n. 8 e da ultimo dall’articolo 1, comma 17, lettera a) della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6a1) Lettera modificata dall’articolo 1, comma 17, lettera b) della legge regionale 10 novembre 2014,n. 10
- (6b) Lettera modificata dall’articolo 1, comma 6, lettera b), della legge regionale 6 agosto 2012, n. 12 e poi dall’articolo 1, comma 17, lettera c) della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6c) Lettera modificata dall’articolo 1, comma 6, lettera c), della legge regionale 6 agosto 2012, n. 12 e da ultimo dall’articolo 1, comma 17, lettera d), numeri 1), 2) e 3) della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10. Vedi, al riguardo, il regolamento regionale 28 dicembre 2012, n. 18 (Determinazione dei criteri e modalità per la definizione del canone calmierato per l’edilizia sociale ai sensi dell’articolo 3ter della legge regionale 11 agosto 2009, n. 21 e successive modifiche) pubblicato BUR 8 gennaio 2013, n. 3
- (6c1) Lettera sostituita dall’articolo 1, comma 18 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6c2) Vedi regolamento regionale 28 dicembre 2012, n. 21 (Determinazione dei criteri e modalità per la definizione del canone calmierato per l’edilizia sociale ai sensi dell’articolo 3-ter della legge regionale 11 agosto 2009, n. 21 e successive modifiche) pubblicato nel BUR 8 gennaio 2013, n. 3; regolamento regionale 27 marzo 2015, n. 2 (Modifiche al Reg. reg. 28 dicembre 2012, n. 18 (Determinazione dei criteri e modalità per la definizione del canone calmierato per l’edilizia sociale ai sensi dell’articolo 3-ter della legge regionale 11 agosto 2009, n. 21 e successive modifiche) pubblicato nel BUR 31 marzo 2015, n. 26
- (6d) Comma inserito dall’articolo 1, comma 6, lettera d), della legge regionale 6 agosto 2012, n. 12
- (6d1) Lettera sostituita dall’articolo 1, comma 19 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6e2) Comma modificato dall’articolo 1, comma 25 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6d2) Lettera aggiunta dall’articolo 1, comma 20 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6d3) Comma inserito dall’articolo 1, comma 21 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10; vedi pure quanto previsto dall’articolo 1, comma 48 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6d4) Comma modificato dall’articolo 1, comma 22, lettere a) e b) della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6e) Comma sostituito dall’articolo 1, comma 6, lettera e), della legge regionale 6 agosto 2012, n. 12 e poi sostituito dall’articolo 1, comma 23 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6e1) Comma modificato dall’articolo 1, comma 24 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6f) Comma modificato dall’articolo 1, comma 6, lettera f), della legge regionale 6 agosto 2012, n. 12 e poi sostituito dall’articolo 1, comma 26 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6f1) Comma inserito dall’articolo 1, comma 27 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6f2) Comma modificato dall’articolo 1, comma 28 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6f3) Comma modificato dall’articolo 1, comma 29 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6g) Comma inserito dall’articolo 1, comma 166 della legge regionale 13 agosto 2011, n, 12
- (6g1) Comma aggiunto dall’articolo 1, comma 30 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 10
- (6g2) Comma aggiunto dall’articolo 3, comma 91, della legge regionale 31 dicembre 2016, n. 17
[2] D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
(G.U. n. 245 del 20 ottobre 2001) https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2014_0164.htm#17
Art. 14 (L) – Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (ora decreto legislativo n. 42 del 2004 – n.d.r.) e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.
1-bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
(comma così sostituito dall’art. 10, comma 1, lettera f), della legge n. 120 del 2020)
2. Dell’avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d’uso ammissibili fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.
(comma modificato dall’art. 17, comma 1, lettera e), legge n. 164 del 2014, poi dall’art. 10, comma 1, lettera f), della legge n. 120 del 2020)
[3] Articolo 73 Codice del processo amministrativo https://www.brocardi.it/codice-del-processo-amministrativo/libro-secondo/titolo-iv/capo-ii/art73.html
[4] Articolo 97
Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28].
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].
[5] Cit. D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
(G.U. n. 245 del 20 ottobre 2001) https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2014_0164.htm#17
Art. 15 (R) – Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire
1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Salvo quanto previsto dal quarto periodo, il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. Per gli interventi realizzati in forza di un titolo abilitativo rilasciato ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, il termine per l’inizio dei lavori è fissato in tre anni dal rilascio del titolo.
(comma così sostituito dall’art. 17, comma 1, lettera f), legge n. 164 del 2014, poi così modificato dall’art. 7-bis, comma 1, legge n. 91 del 2022)
2-bis. La proroga dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.(comma introdotto dall’art. 17, comma 1, lettera f), legge n. 164 del 2014)
3. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.
4. Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio
[6] d.m. n. 1444/68 Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444
Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967. https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/1968_1444.htm
[7] Vedi NTA PRG
[8] Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l’edilizia residenziale sociale (1) (1a) https://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=leggiregionalidettaglio&id=9172&sv=vigente
Art. 2 (3)(Ambito di applicazione)
1. Le disposizioni del presente capo si applicano agli interventi di ampliamento, di ristrutturazione, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione degli edifici di cui agli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4, e 5 per i quali, alla data del 31 dicembre 2013, sussista, alternativamente, una delle seguenti condizioni: (3a)
a) siano edifici legittimamente realizzati ed ultimati come definiti dall’articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modifiche ovvero, se non ultimati, abbiano ottenuto il titolo abilitativo edilizio;
b) siano edifici ultimati per i quali sia stato rilasciato il titolo edilizio in sanatoria ovvero intervenga l’attestazione di avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria con le modalità di cui all’articolo 6 della legge regionale 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi) e successive modifiche. (3b)
2. Le disposizioni del presente capo non si applicano agli interventi di cui al comma 1 da effettuarsi su edifici realizzati abusivamente nonché:
a) nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR) (3b1);
b) nelle aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta (3b1);
c) nelle aree naturali protette, fatta salva la possibilità di prevedere nei regolamenti delle aree naturali protette di cui all’articolo 27 della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali) e successive modifiche, nelle zone di cui all’articolo 26, comma 1, lettera f), numero 4) della l.r. 29/1997 e successive modifiche, entro un anno dall’approvazione dei regolamenti medesimi, gli interventi di cui agli articoli 3, 3 bis e 5, per un incremento massimo di 38 metri quadrati per ciascun intervento; (3c) (3b1)
d) nelle aree del demanio marittimo nonché nelle fasce di rispetto delle acque interne; (3b2)
e) nelle zone di rischio molto elevato ed elevato individuate dai piani di bacino o dai piani stralcio di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) e successive modifiche e alla legge regionale 7 ottobre 1996, n. 39 (Disciplina Autorità dei bacini regionali) e successive modifiche, adottati o approvati, fatta eccezione per i territori ricadenti nelle aree a rischio idrogeologico in cui la sicurezza del regime idraulico è attestata dall’ente competente nel parere di cui all’articolo 6, comma 1, fatto salvo quanto previsto dagli articoli 3ter, comma 1ter, e 4, comma 2bis; (3d) (3b1)
f) nelle aree con destinazioni urbanistiche relative ad aspetti strategici ovvero al sistema della mobilità, delle infrastrutture e dei servizi pubblici generali nonché agli standard di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968; (3b1)
g) nelle fasce di rispetto, come definite dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 1° aprile 1968, n. 1404, delle strade pubbliche, fatte salve le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, nonché nelle fasce di rispetto ferroviarie, igienico-sanitarie e tecnologiche, fatto salvo quanto previsto dagli articoli 3ter, comma 1ter, e 4, comma 2bis; (3b3)
h) su casali e complessi rurali, ancorché non vincolati dal PTPR, che siano stati realizzati in epoca anteriore al 1930.
3. Per gli edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e per gli immobili vincolati ai sensi della parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e successive modifiche, gli interventi di cui al presente capo sono consentiti previa autorizzazione dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, secondo quanto previsto dall’articolo 146 del d.lgs. 42/2004.
4. I comuni, entro il termine perentorio del 31 gennaio 2012, possono individuare, con deliberazione del consiglio comunale, ambiti del proprio strumento urbanistico ovvero immobili nei quali, in ragione di particolari qualità di carattere storico, artistico, urbanistico ed architettonico, limitare o escludere gli interventi previsti nel presente articolo.
5. Al fine di attuare la presente legge la consistenza edilizia degli edifici esistenti in termini di superficie o di volume è costituita dai parametri edilizi posti a base del titolo abilitativo; i medesimi parametri devono essere utilizzati per il calcolo della premialità consentita negli articoli 3, 3 bis, 3 ter e 4, mentre il titolo abilitativo di cui all’articolo 6 viene rilasciato in base ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici vigenti. Per convertire il volume in superfice o viceversa si applica la formula superficie=volume/3,2 ovvero volume=superficie x 3,2. Le denunce di inizio attività (DIA) e le domande di permesso di costruire possono essere presentate in termini di superficie o volume. Integrano il fascicolo del progetto il rilievo dello stato di fatto e copia dell’originaria documentazione catastale. (3b4)
5 bis. Sono consentiti gli interventi previsti dagli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4 e 5, nei casi in cui le norme dei piani territoriali paesistici (PTP) rimandino alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, purché non attengano alle zone definite dagli strumenti stessi come zone E ai sensi del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, fatte salve le ulteriori limitazioni o prescrizioni contenute nelle norme dei PTP in coerenza con il PTPR. (3b5)
[9] Circolare ministeriale 23 luglio 1960, n. 1820 http://architettura.it/notes/ns_nazionale/anno_60-69/CIRC.1820-60.html
[10] Regione Lazio circolare n. 184 dell’08/05/12 https://www.regione.lazio.it/sites/default/files/documentazione/CAS-DGR-184-08-05-2012.pdf
[11] –LEGGE 16 luglio 2020, n. 76 Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale. (20G00096) note: Entrata in vigore del provvedimento: 17/07/202Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120 (in S.O. n. 33, relativo alla G.U. 14/09/2020, n. 228) (Ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 30/04/2024) (GU n.178 del 16-07-2020 – Suppl. Ordinario n. 24) https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2020;76~art55