La nota di Carteinregola per il Regolamento dei beni indisponibili
Autore : Redazione
Pubblichiamo una nota inviata da Carteinregola allo staff dell’Assessore al Patrimonio e alla Commissione Patrimonio e Politiche Abitative che si occupa delle regole per i futuri affidamenti dei beni indisponibili della Capitale, offrendo, più che indicazioni specifiche, alcune riflessioni sui criteri da adottare per una gestione del patrimonio pubblico all’insegna dell’interesse pubblico, dell’equità e del contrasto alle disuguaglianze.
NOTA PER LA STESURA DI UN REGOLAMENTO DEI BENI INDISPONIBILI DI ROMA CAPITALE
del gruppo patrimonio dell’Associazione Carteinregola
La difficoltà nel predisporre un regolamento dei beni indisponibili risiede nella notevole complessità di cui deve tenere conto, sia dal punto di vista dell’ eterogeneità del patrimonio, sia della sua possibile destinazione, delle condizioni del suo utilizzo, dei soggetti che possono averne la concessione, dei criteri e delle modalità con cui può essere dato in concessione. Alcune proposte avanzate, come il Regolamento per un’amministrazione condivisa di Labsus, rischiano di essere troppo riduttive, in quanto non sono in grado di prevedere e declinare tutti gli usi e le concessioni del patrimonio comunale, ma a nostro avviso è riduttiva anche la stesura di un Regolamento dei beni indisponibili, visto che il patrimonio indisponibile può diventare disponibile in qualsiasi momento, con una deliberazione d’Assemblea capitolina (secondo alcuni anche con una semplice determina dirigenziale) e che il patrimonio disponibile può essere destinato agli stessi usi di quello indisponibile[i].
Faremo qui alcune osservazioni distinguendo i diversi aspetti che si dovranno tenere presenti per un Regolamento dei beni, per quanto riguarda le modalità delle nuove assegnazioni, aspetti che, per quanto riguarda le soluzioni transitorie, potranno servire solo da riferimento, data la ulteriore complessità e eterogeneità anche delle situazioni in essere.
1) DEFINIRE DEI PARAMETRI PER CLASSIFICARE I BENI INDISPONIBILI
E’ indispensabile prima di tutto creare una mappa/censimento di tutti i beni di Roma Capitale, indisponibili e disponibili, che dovrà essere poi oggetto di una pubblicazione interattiva, con schede che riportino le caratteristiche di ciascun bene e, per le assegnazioni in essere, l’indicazione delle condizioni dell’assegnazione e – compatibilmente con le disposizioni della tutela della privacy – del concessionario.
Questa è la base per un’operazione trasparenza che aspettiamo da anni, ma per la stesura del Regolamento sono necessarie ulteriori classificazioni, che distinguano i beni per tipologia – terreni/verde pubblico, edifici, appartamenti, edifici che rientrano nei beni tutelati ecc -, per condizioni – in buone condizioni, da ristrutturare o riadattare con pochi interventi, da restaurare o rigenerare ecc – e, soprattutto per zona. Infatti a nostro avviso è indispensabile sapere se un bene è collocato in una zona residenziale o popolare, se in quartieri già ricchi di funzioni e verde attrezzato o in luoghi poveri di spazi pubblici e di servizi. A Roma, forse ancora più di altre città e capitali europee, le zone più degradate e povere che in genere si identificano nelle “periferie” non sono anelli via via lontani dal centro, ma aree distribuite a macchia di leopardo. Basti pensare a zone residenziali lontane dal centro – dall’Olgiata a Casal Palocco – e zone in linea d’aria non molto distanti ma già periferie, come certe aree di San Lorenzo o Casal Bruciato. Su questa base si dovranno innestare le classificazioni successive.
2) DEFINIRE LE DESTINAZIONI
L’uso di uno spazio o di un immobile dovrebbe essere individuato in base alle esigenze dei luoghi, soprattutto rispetto a “quello che manca”. E’ quindi indispensabile un ruolo preminente del Municipio – che potrà avere anche necessità di spazi per sedi e servizi istituzionali – e dei cittadini e delle associazioni del territorio, senza escludere proposte di realtà – civiche e non – che possono avanzare progetti per avviare delle attività “ sociali” (vedi punto successivo) in un spazio pubblico inutilizzato, progetti che dovranno essere valutati dalle amministrazioni municipali e/o comunali, e, se rispondenti a interesse pubblico e/o a esigenze del territorio, approvati (vedi punto 4).
3) DEFINIRE I SOGGETTI
La disomogeneità dei beni e la molteplicità degli usi possibili determinano anche una svariata serie di possibili concessionari e delle tipologie di condizioni. Ad esempio, avendo la disponibilità di un casale in un parco pubblico, lo si può affidare a un ente del terzo settore per gestire un servizio di assistenza a disabili o farne una casa del quartiere gestita dal municipio a disposizione/ in collaborazione con le realtà del territorio, o anche affidata a un’associazione di cittadini/realtà del quartiere che ne garantisca l’uso pubblico e la manutenzione.
Bisogna però valutare molto attentamente la fattispecie che riguarda edifici degradati o che comunque richiedano investimenti cospicui per permetterne l’utilizzo, come quella individuata – in modo peraltro assai generico – dai cosiddetti “patti complessi” del regolamento dell’amministrazione condivisa di Labsus, ripreso nelle linee guida regionali del Lazio, che inserisce tra i “ cittadini attivi” anche realtà di natura imprenditoriale.
In questo caso – affidamento di edifici in cattive condizioni – le possibilità sono due: o l’immobile è richiesto da semplici cittadini – riuniti in un’associazione – che fanno fronte alle spese di ristrutturazione con fondi propri, o da imprenditori che fanno un investimento; in entrambi i casi si può immaginare che tali finanziamenti siano erogati a condizione di ottenere l’uso dell’immobile, in modo semi esclusivo o esclusivo. E se può sembrare che una simile modalità possa essere comuque vantaggiosa per la collettività, trattandosi di immobili utilizzabili solo a fronte di investimenti che non hanno le casse pubbliche, bisogna aver presente che nel primo caso si consegnerebbero beni pubblici solo a cittadini molto abbienti[ii] e nel secondo a un soggetto a fini di lucro. E nel caso che gli investimenti economici non avessero alcuna contropartita, si dovrebbero ascrivere a forme di mecenatismo o sponsorizzazione[iii] da tempo applicati. In ogni caso, trattandosi di beni indisponibili, che quindi devono avere finalità di interesse pubblico, sembra difficile che questo sia compatibile con il passaggio del bene nella disponibilità totale o parziale degli investitori per un periodo più o meno lungo.
4) “NON A FINE DI LUCRO”
Da tempo come Carteinregola sottolineiamo la necessità che i beni indisponibili (con le previste eccezionii) siamo affidati a soggetti che non hanno fini di lucro. Tuttavia anche questa definizione può avere molti significati: perché se da un lato appartengono alla categoria, oltre a varie realtà della società civile, anche le cooperative e le imprese sociali, dall’altro molte realtà sociali possono avere aspetti “a fini di lucro”, sebbene non prevalenti.
Per questo riteniamo che sia necessario distinguere, ai fini della stesura del Regolamento, tra realtà che svolgono anche attività economiche destinate all’autofinanziamento, per poter offrire al territorio iniziative sociali e culturali grazie al lavoro volontario dei membri a titolo gratuito o a basso costo, da quelle che sotto l’etichetta dell’associazione svolgono attività finalizzate al profitto (spesso aggirando le norme e facendo concorrenza sleale). E’ difficile talvolta delimitare il confine tra queste due categorie, eppure devono essere introdotti dei parametri che devono essere inseriti nelle concessioni e che devono essere la base per una eventuale valutazione nei controlli ex post. (vedi ulteriore nota su altri usi dei beni pubblici per finalità sociali)
5) DEFINIRE LE MODALITÀ DI CONCESSIONE.
Anche le modalità di concessione dovrebbero variare secondo la casistica.
Si è molto polemizzato sui “ bandi”, tra chi li voleva inserire sempre e chi li riteneva uno strumento inadatto per l’individuazione delle realtà con scopi sociali e culturali a cui destinare il patrimonio pubblico. Eppure è evidente che laddove è l’Amministrazione, magari dopo un processo partecipativo con la cittadinanza, a decidere la destinazione di un immobile, condizionandolo a precise tipologie di servizi e sollecitando offerte o proposte, sarà indispensabile stabilire i criteri e poi avviare un bando per individuare il progetto/soggetto più aderente o convincente. Mentre nel caso che sia una associazione o un gruppo di cittadini[iv] ad avanzare un progetto da realizzare in uno spazio inutilizzato, dovrebbe essere l’Amministrazione stessa a fare una valutazione e a prendersi la responsabilità della concessione, fermo restando che il provvedimento deve essere comunque pubblicato sull’Albo pretorio, ed eventuali altri soggetti interessati avrebbero modo di farsi avanti con proposte alternative o compatibili.
6) I CANONI
Dando per scontato che si parli di beni concessi a realtà senza fini di lucro (nell’accezione sopra esposta), i canoni dovrebbero essere stabiliti sulla base del soggetto e delle attività che svolgerà, da canone abbattuto a canone zero, con eventuali spese di manutenzione dell’immobile, a carico o da scalare dal canone. I canoni devono anche essere calcolati in base ai parametri della mappa territoriale del disagio (punto 1), con un canone zero per quegli immobili nelle aree più povere di servizi sociali e culturali.
7) LE REGOLE
Parlando di beni pubblici, se da un lato ribadiamo la non compatibilità del loro affidamento a soggetti aventi fini di lucro, dall’altra vogliamo sottolineare che i soggetti che svolgono attività culturali e sociali non possono sottrarsi ad alcune regole a tutela dell’interesse pubblico e anche della sicurezza pubblica.
Devono essere sempre garantite le misure che riguardano la sicurezza degli utenti e degli stessi volontari, quali uscite di sicurezza, impianti elettrici a norma, assicurazioni (nonché, per le attività di autofinanziamento, scontrini, regole Asl per trattamento degli alimenti e somministrazione ecc), e devono essere anche previsti controlli periodici sulle attività svolte, attività che possono in parte discostarsi ma che devono rientrare sempre nella mission concordata, senza snaturare gli scopi sociali alla base della concessione.
Sarebbe opportuno che Comune e/o Regione avviassero bandi per sostenere i costi di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e/o per sostenere i costi di gestione degli spazi affidati ad associazioni di volontari.
In molti casi virtuosi che abbiamo analizzato è il Comune – o il Municipio – stesso che si fa carico della ristrutturazione degli immobili e poi ne mantiene la gestione o la affida a un’associazione o a più associazioni, con l’obbligo di tenere la struttura aperta all’uso della cittadinanza e/o di altre realtà del territorio.
NOTA SUL CALCOLO DEL VALORE SOCIALE
Riservandoci di approfondire gli strumenti messi a punto altrove per calcolare il valore sociale delle iniziative sul territorio, e condividendo il presupposto che le attività di ogni realtà che utilizza spazi pubblici, soprattutto gratuitamente, devono poter essere monitorate, per verificare il rispetto dello spirito e delle destinazioni stabilite, riteniamo assai pericoloso pensare di poter quantificare il valore sociale delle attività trasformandolo in valore economico.
In una città – un Paese – che non verifica mai il raggiungimento degli obiettivi e le ricadute delle iniziative dell’Amministrazione pubblica, pensare di quantificare i risultati di iniziative in ambiti spesso socialmente deprivati, dove i benefici potrebbero essere evidenti dopo anni, potrebbe essere del tutto controproducente. Si finirebbe inevitabilmente con il privilegiare attività e soggetti che svolgono “servizi” con risultati a breve e di facile misurazione, mentre iniziative meno utilitaristiche e strutturate ma magari più efficaci nel tempo potrebbero non essere prese in considerazione.
Come si misura il valore di uno spazio sociale che organizzando concerti a basso costo – e con la vendita di qualche birra – rappresenta un presidio in un territorio dove i giovani non hanno spazi di divertimento? O di chi organizza iniziative per stranieri, dai corsi di italiano a quelli di sartoria, ma ha difficoltà a quantificare continuità e frequenze come le scuole vere e proprie?
Le regole sono necessarie per tutelare la collettività e i beni collettivi, ma non devono soffocare un margine di informalità indispensabile per una città che respira, che lascia qualche spazio allo spontaneismo, all’improvvisazione, ai tentativi anche meno riusciti, alla creatività che tenta strade nuove? A Parigi a un certo punto hanno istituito esami per i musicisti che volevano suonare nelle stazioni della metro chiedendo un obolo ai passanti. Lo spazio pubblico per essere davvero pubblico deve lasciare spazio alla nota stonata, all’imperfezione, alla sorpresa. La Buona Amministrazione deve comprendere anche questo, nei due significati.
NOTA SU ALTRI USI DEI BENI PUBBLICI PER FINALITÀ SOCIALI
Il patrimonio pubblico di Roma inutilizzato e abbandonato è davvero sterminato, tanto da far pensare a un suo utilizzo – soprattutto nelle zone più disagiate – che risponda a quelle “emergenze” cittadine che non sono più emergenze da tempo, ma fanno parte della condizione sistemica della Capitale: l’emergenza casa, per gli abitanti che hanno redditi insufficienti per accedere a un alloggio a prezzo di mercato, e l’emergenza lavoro, in particolare per i giovani, le donne e le categorie più fragili. E’ quindi necessario esplorare anche la possibilità di destinare parte del patrimonio pubblico a fini alloggiativi, ad esempio con esperienze di autorecupero, purtroppo mai messe a regime e anzi in molti casi abbandonate nei meandri della burocrazia , e start up per giovani, donne e altre categorie individuate. E’ urgente, per quest’ultimo caso, mettere a disposizione le centinaia – forse migliaia – di locali/negozi posti ai piani terra dei complessi ERP, che, nelle periferie ma non solo, sono da tempo vuoti e spesso diventati ricettacolo di degrado e di spaccio. Pensiamo che sia un dovere dell’Amministrazione trovare le forme normative più adatte per poter liberare quei locali e i tanti spazi inutilizzati della nostra città, per offrire una base a chi vuole costruire nuove opportunità di lavoro per sé e per gli altri (oltre a rendere vivi gli spazi anche per la comunità dell’intorno).
24 aprile 2022
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com
[i] c’è persino una piccola fetta di patrimonio indisponibile che viene concesso come patrimonio disponibile (un esempio: il Ristorante dell’Orso, che appartiene al patrimonio indisponibile in quanto bene culturale ma che è dato a canone commerciale a privati).
[ii] Ne è un esempio l’immobile dato in concessione all’associazione Amici della Pipa in cambio dei lavori di restauro, che ci risulta utilizzarlo per attività interne dell’associazione
[iii] Nel caso del patrimonio disponibile si parlerebbe di concessione o di project financing
[iv] Noi riteniamo che un bene pubblico dovrebbe essere affidato a una realtà civica in qualche modo formalizzata, anche in una semplice associazione, che tuttavia garantisce che ci siano dei referenti precisi, democraticamente eletti ecc.