La violenza contro le donne non è un’emergenza, è un drammatico problema conosciuto e studiato da anni, qualcosa è stato fatto ma non è abbastanza. E sono stati dannosi i nove mesi trascorsi dall’inizio della nuova Legislatura in cui nulla è stato fatto.
L’Italia delle emergenze è complice della violenza sulle donne. C’è un’analogia con quanto si sta facendo (o non facendo, come la nomina del Commissario, dopo l’alluvione in Romagna) per ridurre i danni dovuti alla fragilità del territorio.
Siamo in presenza di numeri non idonei a un Paese che vuole definirsi civile. Nel 2022 sono stati 125 i femminicidi e al Primo giugno del 2023, se ne devono già contare 47. Le telefonate al numero 1522: 11.909 vittime di violenza nel 2022 (Istat).
Lo scorso maggio è stato pubblicato il Position paper dell’ASviS “L’eguaglianza di genere: un obiettivo trasversale”, nel quale la Rete per la Parità ha curato la parte dedicata alla violenza di genere. La violenza può essere fisica, sessuale, psicologica, economica e sociale. Il Gruppo di Lavoro sull’obiettivo 5 – parità uomo-donna dell’Agenda ONU 2030 ha proposto, tra l’altro, la diffusione della consapevolezza sul fenomeno, lo sviluppo delle competenze finanziarie delle donne per contrastare la violenza economica e il monitoraggio dell’attuazione del Piano nazionale per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne.
Eppure la riflessione che ha coinvolto anche il Ministero della Giustizia e quello dell’Interno, di cui ha parlato la ministra Roccella, sembra sia partita soltanto il Primo giugno: la violenza sulle donne è diventata un’urgenza solo dopo un delitto così efferato come quello di Senago.
Il DDL approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, annunciato come proposta volta a prevenire la violenza alle donne, è un insieme di misure repressive, valide ma utili a evitare soltanto la reiterazione dei reati. Spetterà al Parlamento integrare le disposizioni dei 15 articoli.
Nuovi provvedimenti, nuove leggi? E quelle che ci sono? Si spera che il Governo si ritenga impegnato a rispettare gli obblighi assunti con la firma della Convenzione di Istanbul. La Convenzione è riconosciuta come lo strumento più efficace per combattere la violenza di genere, poiché impone obblighi concreti, eppure FdI e Lega si sono astenuti all’Europarlamento nella votazione che ne ha approvato la ratifica.
Come sempre le leggi non mancano ma spesso sono dimenticate, come la legge 154/2001, modificata nel 2021, che prevede la possibilità, nel caso di violenza domestica, del ricorso all’ordine di protezione, un provvedimento che consente di allontanare dalla casa familiare i violenti anziché le vittime.
E i piani antiviolenza e antitratta approvati sia pure con ritardo?
E perchè, finora, a nove mesi dall’inizio della Legislatura, non ancora esiste la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, istituita con la Legge n. 12 del 9 febbraio 2023? Evidentemente ci sono altre priorità: non si tratta di incarichi appetibili.
Intanto si utilizzino le conclusioni nella relazione finale della precedente Commissione d’indagine, a partire dal fenomeno della vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale, approfondito dalla Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, intervenuta in Commissione.
E se si è d’accordo sul fatto che la violenza di genere affonda le sue radici in un contesto culturalmente arretrato, perché il Governo non esercita la funzione di controllo sul servizio pubblico radiotelevisivo e digitale per ottenere il rispetto delle disposizioni del Contratto di servizio RAI ormai scaduto e il Legislatore non trova il tempo per rendere pienamente operative le due sentenze della Corte costituzionale sul doppio cognome?
Per quanto riguarda le iniziative dei gruppi di minoranza in Parlamento, sul doppio cognome sono state presentate sei proposte di riforma e un’interrogazione per sollecitare l’esame. A nulla è valso il sollecito inviato il 27 aprile dalla Rete per la Parità al Parlamento.
Sulle armi utilizzate negli omicidi è stato presentato il ddl n.78, primo firmatario il sen. Walter Verini (PD-IDP) “Disposizioni in materia di controlli sulla detenzione di armi da fuoco e per il rilascio e il rinnovo della licenza di porto d’armi”. Un’iniziativa meritevole ma servirebbero disposizioni più incisive. Il certificato medico dovrebbe essere ritirato nel caso il sanitario che l’ha sottoscritto venga a conoscenza di variazioni e comunque dovrebbe essere rinnovato annualmente. Nell’ultimo articolo sono previste troppe deroghe ingiustificate. Molti reati sono commessi con armi da caccia e detenute per ragioni di servizio. Vedi l’ultimo femminicidio commesso da un poliziotto in servizio alla Camera e la tragedia di quello che ha ucciso due figlie e per poco non gli è riuscito di uccidere anche la moglie. Eppure entrambi manifestavano problemi psicologici. Si dovrebbe disporre in via generale, salvo eccezioni, che le armi di servizio rimangano custodite presso il luogo di lavoro, e detenute solo durante il servizio.
I tempi veloci imposti per l’approvazione della nuova legge non dovranno escludere l’audizione di esperti e associazioni che da tempo approfondiscono il fenomeno. Come Rete per la Parità anticipiamo da ora che chiederemo di essere audite