Libri: Le nuove recinzioni – Città, finanza e impoverimento degli abitanti
Autore : Redazione
Milano, Roma, Napoli, un racconto a tre mani
di Rossella Marchini
(dal sito labottegadeibarbieri.org 26 12 2023)
Stefano Portelli, Luca Rossomando e Lucia Tozzi nel libro “Le nuove recinzioni – Città, finanza e impoverimento degli abitanti” (Carocci, 2023) analizzano le trasformazioni in atto in tre città che appaiono diverse, ma sono legate dalle stesse dinamiche e dallo stesso processo di appropriazione e messa a valore, dove la ricchezza si concentra nelle mani di pochi e la popolazione si impoverisce e viene espulsa dai territori che abita.
Si continuano a studiare le città e le trasformazioni che, impetuose, le investono. Sono fenomeni complessi, le città, ed è inutile illudersi di poterli leggere come elementi omogenei, logici, coerenti e comunicabili.
Gli spazi abitati ci parlano attraverso le architetture, ma anche attraverso il lavoro di chi le abita, le forme di resistenza sociale, la vita di ognuno e ognuna di noi.
Occorre dunque uno sguardo collettivo capace di indagare tutto questo e disponibile al confronto fra le varie discipline. Senza tralasciare l’osservazione del continuo intervento di chi abita le città, che trasforma, costruisce o distrugge l’abitare comune.
Tutto questo non deve distoglierci dal cercare i grossi operatori finanziari, che di fatto si appropriano dello spazio per renderlo tutto disponibile alla rendita, determinando il disastro che è sotto i nostri occhi.
Il libro appena uscito di Stefano Portelli, Luca Rossomando e Lucia Tozzi Le nuove recinzioni – Città, finanza e impoverimento degli abitanti Carocci editore Roma 2023, riesce a tenere insieme tutti questi piani di lettura, analizzando cosa accade in tre città: Milano, Roma e Napoli.
Partiamo dal titolo. Si parla di nuove recinzioni, con riferimento ai fondi indivisi in uso fino al 17° secolo in Inghilterra che appartenevano alla comunità e proprio attraverso le recinzioni, enclosures, le popolazioni rurali furono costrette all’esodo e fu introdotto lo sfruttamento agricolo delle terre sottoposto alle regole del mercato. È il mercato che inizia a decidere della trasformazione del territorio e lo fa, allora come oggi, ignorando la vita delle persone che quel territorio abitano.
Lucia Tozzi nel capitolo su Milano individua e analizza quali sono i meccanismi economici e politici che rendono possibili le recinzioni e come riescano a parcellizzare e dividere le persone espropriate. L’immagine della città che ci viene restituita è quella di un territorio fortemente disuguale, dove i flussi dei capitali finanziari si appropriano della ricchezza, lasciando gli abitanti sempre più poveri. «Milano persegue da anni una politica di valorizzazione selvaggia della rendita e incoraggia consapevolmente la sostituzione dei suoi abitanti più fragili con abitanti più ricchi e più mobili».(pag.23)
Fondamentale, perché ciò avvenisse, è stato il ruolo dei finanziamenti dei governi nazionali concentrati sulla città, senza che questo contribuisse a migliorare i servizi pubblici o l’edilizia popolare. La ricchezza prodotta resta nelle mani di chi la estrae, i cittadini «si vedono sfuggire ogni possibilità di godere almeno in parte del profitto estratto dallo spazio in cui vivono». (pag. 24)
La fiera di Fuksas, Citylife, Porta Nuova con le Torri Unicredit e il Bosco Verticale segnano la metamorfosi estetica e finanziaria degli interventi sulla città. L’amministrazione comunale è totalmente remissiva rispetto alla volontà degli investitori privati, fino ad adeguare gli strumenti urbanistici alle loro scelte. La regola unica dell’urbanistica diventa rendere tutta la città disponibile alla rendita.
Neanche le giunte di centro sinistra sono state in grado di contenere la rendita, calmierare il mercato degli affitti e incrementare i servizi pubblici. «Al contrario hanno operato una saldatura fra il mondo finanziario e il terzo settore che ha neutralizzato gran parte dei contenuti politici e dell’autonomia gestionale e lavorativa dei circuiti dell’associazionismo e dell’attivismo, irreggimentandoli in protocolli fortemente burocratici, rendendoli più precari e soprattutto orientando le loro attività allo stesso fine perseguito dai grandi capitali: la valorizzazione immobiliare».(pag.30)
Vittima di queste politiche è anche l’edilizia pubblica, attraverso la privatizzazione del patrimonio di case popolari che da 100mila unità degli anni ’70 si sono ridotte a 64.900 nel 2021. Il patrimonio ancora disponibile viene spesso concesso per usi temporanei, emergenziali, innovativi a privati. L’autrice descrive la trasformazione del quartiere ERP a piazzale Ferrara, che considera esemplificativo del modo in cui si è intaccata la sua compattezza.
L’utilizzo di “urbanistica tattica” per la realizzazione di una “Piazza aperta” con panchine, piantumazioni e disegni colorati sull’asfalto e un Patto di collaborazione fra cittadini e associazioni per la cura delle aiuole, quasi che queste pratiche possano realmente rafforzare i legami di comunità e coinvolgere gli abitanti delle case popolari. Finanziamenti dispersi in piccoli interventi, spesso intercettati dal Terzo settore che per sopravvivere è costretto a competere sul fronte della creazione di valore.
Il capitolo si chiude con la descrizione dell’accordo fra COIMA srg e il Consorzio Cooperative Lavoratori stipulato a fine marzo del 2023 che prevede la creazione di un nuovo modello di sviluppo immobiliare che gestisca il governo del welfare abitativo. La volontà è quella di liquidare il patrimonio di edilizia pubblica e affidarne la gestione ai privati del Terzo settore, alle cooperative e alla finanza.
Migliaia di appartamenti saranno sottratti alle famiglie fragili in lista d’attesa per destinarle al ceto medio. «Una vertiginosa accelerazione della redistribuzione della ricchezza verso l’alto, presentata come lotta alle diseguaglianze». (pag.48)
Sono le nuove recinzioni.
Di Roma se ne occupa Stefano Portelli nel secondo capitolo. E parlare di Roma vuol dire parlare del problema della casa, presentato da sempre come “emergenza della città” mentre è un fenomeno “strutturale” e volutamente mai risolto. In particolare Portelli analizza l’edilizia destinata al ceto medio; il patrimonio degli enti previdenziali e l’edilizia agevolata.
«La costruzione di due cinture periferiche – la prima poco fuori dalla città storica grazie agli enti previdenziali, la seconda intorno o fuori dal Grande Raccordo Anulare grazie ai piani di zona – ha sancito l’allontanamento definitivo della città popolare dal centro storico, che negli stessi anni si trasformava in una macchina di produzione di valore per l’industria turistica».(pag.51)
Tra gli anni ’60 e ‘80 gli enti previdenziali, sia pubblici che privati, hanno dovuto per obbligo di legge, investire almeno il 30% dei loro capitali in beni immobili e locare buona parte delle unità immobiliari a uso residenziale a favore di fasce sociali disagiate. In quegli anni i costruttori realizzavano migliaia di metri cubi con la certezza della vendita di quegli immobili proprio a questi enti. Fino agli anni Novanta, il patrimonio immobiliare degli enti previdenziali ha garantito, di fatto, l’accesso al diritto alla casa per milioni di famiglie del ceto medio.
Dal governo Ciampi in poi, dismissioni e cartolarizzazioni hanno favorito solo la speculazione finanziaria e gli imperatori della rendita.
A partire dai primi anni Duemila quasi tutti gli enti hanno avviato la dismissione dei loro immobili, ormai bisognosi di costosi interventi di ristrutturazione, vendendoli agli inquilini, mettendoli sul mercato o trasferendoli in fondi immobiliari. Sono le “operazioni di cartolarizzazione”, riguardano gli enti pubblici che riportano a bilancio il valore del bene e gli enti privati che trasformano un asset in bene economico.
Di fatto si è creata una disparità di trattamento tra gli inquilini degli enti pubblici e gli inquilini degli enti privatizzati. Gli affittuari degli enti privatizzati non hanno usufruito delle leggi e dei benefici previsti per quelli degli enti pubblici nonostante il patrimonio immobiliare degli enti privatizzati sia stato acquistato quando questi erano pubblici.
Così le case di Enasarco, Enpaia, Cassa geometri, Cassa Notariato e altri vengono vendute a prezzi di mercato, superiori a quelli proposti nel tempo dagli Enti rimasti pubblici ( INPS, INPDAI, etc.), che sono stati vincolati alle quotazione di ottobre 2001, e che hanno consentito ai locatari di acquistare a prezzi realmente vantaggiosi. In ogni caso la vendita di questi immobili, che avevano garantito la possibilità di accedere al mercato della locazione con prezzi calmierati per molti cittadini, ha portato a sfratti e aumenti del canone di affitto per molte delle famiglie che non potevano acquistare.
L’autore analizza dettagliatamente la finanziarizzazione avvenuta attraverso la creazione di società incaricate di gestire le dismissioni così come racconta le lotte di resistenza di chi rischiava di finire in mezzo alla strada.
Nei Piani di Zona si realizza edilizia convenzionata, attraverso finanziamenti pubblici erogati dalla Regione Lazio e dal Comune. Una convenzione stipulata fra l’amministrazione e le cooperative stabilisce il prezzo di cessione che non deve superare i limiti di legge e fissa l’impegno da parte della cooperativa a realizzare tutti i servizi necessari a rendere abitabili le case.
L’occasione appare subito da prendere al volo. Le imprese avranno terreni in concessione e finanziamenti pubblici per costruire case, che potranno vendere o affittare.
La questione del prezzo vincolato si supererà in qualche modo…
Un intervento nato per andare incontro alle tante famiglie con un reddito medio insufficiente per trovare soluzioni abitative a prezzi di mercato, si è tramutato in un affare solo per gli operatori. Gli obblighi di legge spesso non sono stati rispettati.
In molti casi gli acquirenti hanno pagato prezzi anche del 30% superiori a quelli dovuti perché le cooperative non hanno mai fornito la documentazione obbligatoria con cui si sarebbero dovuto fare i calcoli finali.
L’intervento della magistratura a seguito di denunce presentate da ASIA-USB ha svelato la truffa e ottenuto alcune revoche delle concessioni. Portelli racconta, anche attraverso preziose interviste, le estenuanti battaglie che negli anni gli inquilini hanno sostenuto per difendere il loro diritto alla casa.
A Napoli, e in particolare in un quartiere del suo centro storico, cosa succede? Lo racconta Luca Rossomando nel terzo capitolo. Siamo nei Quartieri Spagnoli dove è in atto una vertiginosa trasformazione, iniziata negli anni ’90 con i primi piani di risanamento urbanistico e sociale.
Gli abitanti del quartiere cambiano negli anni, per il basso costo degli affitti, agli abitanti storici si aggiungono gli studenti, i giovani lavoratori e le famiglie dei migranti. Ma la reale trasformazione si ha con l’arrivo del turismo di massa, i valori immobiliari salgono e gli affitti sono destinati alle locazioni brevi.
Anche le attività produttive, costituite soprattutto da laboratori artigiani, si trasformano in attività di somministrazione di cibi e bevande.
«Al centro di queste dinamiche non sono però gli investimenti del grande capitale finanziario, e nemmeno i piani di riqualificazione delle amministrazioni pubbliche, come in tanti altri casi di riconversione turistica dei centri storici. Il profilo dei nuovi imprenditori, nel caso dei Quartieri Spagnoli, coincide ancora in gran parte con quello degli abitanti, sia storici che di recente provenienza». (pag.91)
Anche se, ci dice l’autore, si registra la tendenza a una progressiva concentrazione degli operatori.
Molto dettagliata è la ricostruzione della storia del quartiere e della composizione sociale degli abitanti, così come la descrizione delle politiche messe in atto dalle amministrazioni che si sono succedute attraverso progetti sociali e recupero edilizio. Alle scarse e discontinue azioni pubbliche si è sostituita la presenza di gruppi informali, comitati e associazioni per portare avanti lotte e rivendicazioni, ma anche per dare vita a momenti di aggregazione e di festa. In particolare si è dedicata alle difficoltà sociali, che riguardano una larga fascia della popolazione del quartiere, l’Associazione Quartieri Spagnoli attiva da molti anni. Accanto a queste realtà radicate nel quartiere si è consolidata la presenza di una Fondazione con ambizioni che vanno al di là dei Quartieri Spagnoli.
«In questo contesto, frastagliato ma operoso, agisce da circa dieci anni la fondazione FoQus, un soggetto che incarna molte delle potenzialità e anche delle ambiguità dell’intervento del Terzo settore in aree urbane sottoposte a rapide trasformazioni».(pag.132) La Fondazione è nata nel 2014 su iniziativa dell’impresa sociale Dalla Parte dei Bambini nell’istituto Montecalvario, un monastero gestito dalle Suore Vincenziane che, prima di ritirarsi, svolgevano attività scolastiche.
Negli anni la Fondazione ha ospitato vari progetti sociali, accanto ai quali si sono sviluppate iniziative commerciali e artistiche, rivolte non più solo al quartiere. Le attività scolastiche diventano il nucleo attorno al quale prendono vita molte altre iniziative a pagamento, rivolte non più solo al quartiere: l’affitto degli spazi per corsi, presentazioni, spettacoli e servizi di ristorazione. Gli investimenti privati diventano il motore di questo progetto di rigenerazione, che descrive FoQus come un’isola felice dentro un quartiere abbandonato a se stesso dalle istituzioni.
Si costruisce il racconto di un quartiere degradato al quale contrapporre un intervento di rigenerazione da parte dei privati. Il timore è che questo diventi un modello, da riprodurre anche in altri quartieri al di fuori di qualsiasi cornice di partecipazione e controllo pubblico. «Privati disponibili a mobilitare ingenti risorse e capaci di attivare pervasive strategie di comunicazione, ma non necessariamente portatori di interessi condivisi dalla comunità locale».(pag.141)
Gli autori ci hanno descritto tre città che appaiono assolutamente diverse, eppure ci hanno raccontato come alla base delle dinamiche che intervengono nei territori urbani c’è lo stesso processo di appropriazione e messa a valore. Per opporsi all’espropriazione dello spazio e dei servizi comuni si deve dunque coordinare le battaglie, mettere in relazione gli avvenimenti e costruire un movimento unitario che impedisca le recinzioni, perché «questi beni, queste terre, questi quartieri, sono di chi li abita».(pag.20)
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