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… ma pianifica come magni! di Fabrizio Bottini

Foto F. Bottini

Pubblichiamo da Eddyburg un articolo di Fabrizio Bottini, una  constatazione di  quanta strada debba ancora essere fatta per coinvolgere i cittadini nella gestione della città, a partire dal linguaggio incomprensibile ai più. Come recentemente a Milano, in un quesionario che sollecita la partecipazione della cittadinanza al “nuovo Piano di Governo del Territorio” con domande tipo: «Quale importanza assegna, all’approccio integrato e sistemico, sul riassetto della componente geologica, idrologica e sismica»?

ma pianifica come magni!

 di Fabrizio Bottini   
1 aprile 2017

 

Probabilmente a tutti noi, per un motivo o l’altro, capita di attraversare qualche volta il mercatino o mercatone rionale che si svolge vicino a casa, sfiorando o schivando una o due bancarelle di frutta, verdura, vestiti o paccottiglia varia. Altrettanto probabilmente, però, non ci è mai successo di ascoltare ad esempio una delle signore che frugano nel cestone delle offerte, sbuffare a proposito di «impianto normativo come fattore abilitante dello sviluppo». E nemmeno di orecchiare casualmente il ragazzo figlio di immigrati, che aiuta con le cassette della frutta, lamentarsi perché ci vorrebbe proprio una «ottimizzazione dell’assetto viabilistico e mobilità». Certo qualunque cliente del mercato ve ne potrebbe raccontare a decine, di consapevolissimi problemi legati alle regole di crescita della città, farraginose e che li hanno penalizzati anche gravemente in un momento o nell’altro della vita. E qualunque bancarellaro di quelli che state sfiorando nel vostro attraversamento, sa per esperienza quanto carente sia il sistema stradale urbano, quello dei parcheggi e delle piazzole per la sua attività, e poi le consegne, gli spostamenti per lavoro, le forniture. Ma certo non pensano ai propri problemi in termini di «fattori abilitanti dello sviluppo», e nemmeno di «assetto viabilistico»: non è il loro linguaggio, sono parole che significano poco o nulla, gli nascondono anziché evidenziare i concetti, li respingono anziché coinvolgerli. Allora perché mai, rivolgersi a loro con quel linguaggio a dir poco inadeguato?
Eppure è esattamente quel che sta succedendo col Questionario per il nuovo Piano di Governo del Territorio di Milano, secondo «Linee Programmatiche, che pur ponendosi in continuità con le precedenti, imprimono un carattere nuovo alle politiche urbane […] ponendo tra le priorità l’ascolto della città e i processi di partecipazione» (come recita testualmente la Delibera di avvio del procedimento per un nuovo strumento urbanistico). Si vogliono stimolare e gestire processi di inclusione, ma come ha osservato recentemente Luca Beltrami Gadola, lo si fa formulando «domande che sono solo un elenco di titoli e non una richiesta di opinione ed è difficile capire quale nesso abbiano molte domande rispetto alla determinazione di una scelta di natura urbanistica». Vorrei andare anche oltre questa critica di impianto e obiettivi, per aggiungere che al cittadino medio, diciamo pure alla quasi totalità dei cittadini, risulta difficilissimo capire addirittura il senso, di quelle domande, che sembrano compilate da un tecnico specializzato, o comunque da qualcuno addentro alla questione, con termini, costruzioni, accostamenti, che il cittadino medio può al massimo provare a interpretare, giocando al Piccolo Urbanista Dilettante. In altre parole, più che di inclusione o partecipazione il processo innescato pare essere una sorta di tentativo di cooptazione, dove l’uomo della strada si avvicina gradualmente alla mistica della programmazione del territorio assimilandone il linguaggio. Come se non fosse possibile esprimersi in altro modo.
Nel seminale Rapporto Skeffington britannico sulla partecipazione in urbanistica (1969), pur non rinunciando certo del tutto a questa peraltro discutibile «cooptazione linguistica», le amministrazioni istruivano un processo di piano idealmente e letteralmente formando nuovi cultori della materia, provenienti da ogni classe sociale e di età, attraverso varie forme di comunicazione divulgativa. Se certamente la strategia di sviluppo territoriale urbana o ancor di più metropolitana era cosa complessa, impossibile da ridurre a qualche benintenzionato slogan o scarabocchio progettuale, allora meglio spiegarla in modo dettagliato organizzando addirittura «corsi o conferenze tematiche nei fine settimana, magari in collaborazione con altri enti o associazioni anche nazionali». Oltre naturalmente a pianificare e alimentare canali più tradizionali di comunicazione divulgativa, dalla stampa di informazione, a mostre, filmati, programmi radiofonici e televisivi, dibattiti pubblici, insomma una vera e propria alfabetizzazione. Cosa ben diversa, dal pretendere (non mi viene un verbo diverso) che la nostra dirimpettaia appassionata di fiori, o il barista che ci mette da parte l’ultimo cornetto alla crema, colgano al volo il senso di domande del tipo: «Quale importanza assegna, all’approccio integrato e sistemico, sul riassetto della componente geologica, idrologica e sismica»? Diciamo che si può, e si deve, fare di meglio, di molto meglio.* Qui, per chi volesse ripassarsi alcuni passaggi chiave del Rapporto Skeffington sulla partecipazione in urbanistica, un estratto in italiano

* Qui, naturalmente (e caldamente consigliato in lettura critica) il Questionario del Comune di Milano per il Piano di Governo del Territorio: potete anche legittimamente compilarlo come «city user», per inciso
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