Mafia Capitale esiste
Autore : Redazione
(11 settembre 2018) La sentenza della Terza sezione della Corte d’appello di Roma del processo cosiddetto “Mafia Capitale” ha ribaltato la sentenza di primo grado, condannando ai sensi dell’art. 416 bis, associazione mafiosa, 18 imputati su 43, insieme a Carminati e Buzzi altri 16 tra cui l’ex consigliere di Forza Italia, Luca Gramazio Franco Panzironi ex numero uno di Ama, Carlo Pucci ex manager di Ente Eur, Franco Fabrizio Testa collaboratore di Buzzi.
Il 2 dicembre 2014 (e poi ancora il 4 giugno 2015) una serie di clamorosi arresti aveva mostrato il lato oscuro della Capitale, una mucillaggine che inglobava esponenti importanti della politica e pezzi dell’ economia con una rete criminale. Per la Procura di Giuseppe Pignatone il sodalizio tra i due protagonisti dell’indagine “Mondo di mezzo”, l’ex NAR Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, fondatore della cooperativa di ex detenuti «29 giugno», non era «semplice» corruzione, ma Mafia. E la Corte d’Appello le ha dato ragione, come per il clan Fasciani di Ostia.
Questa conferma dovrebbe spingere la classe politica, le realtà imprenditoriali e la società civile a un maggiore impegno e vigilanza, per sradicare una estesa rete di corruzione e criminalità presente nella Capitale che, come continuano a raccontarci le cronache e i rapporti periodici dell’osservatorio per la sicurezza e legalità del Lazio (in calce), è ben lungi dall’essere battuta.
Pubblichiamo una cronologia della vicenda ricostruita da Sky News 24, e alcuni link ad articoli di testate diverse sulla sentenza della Corte d’Appello.
> Vai al dispositivo della sentenza pubblicato da L’Espresso
da SkyNews (articolo del 20 luglio 2017 aggiornato all’11 settembre 2018)
Mafia Capitale, la storia del “Mondo di mezzo”: tutte le tappe
A più di tre anni dall’inizio dell’operazione Mondo di Mezzo, poi rinominata Mafia Capitale, l’11 settembre 2018 è arrivata la sentenza di secondo grado per i 43 imputati accusati di far parte dell’associazione che avrebbe condizionato la politica della capitale. Fra di loro, anche i due protagonisti delle vicende del malaffare romano: l’ex terrorista dei Nar Massimo Carminati, condannato a 14 anni e mezzo di reclusione, e Salvatore Buzzi, condannato a 18 anni e 4 mesi. Pene ridotte nonostante i giudici della terza corte di appello di Roma abbiano riconosciuto l’associazione mafiosa, ribaltando così la sentenza di primo grado. In un susseguirsi di arresti, perquisizioni e indagini ecco quali sono state le tappe della vicenda.
L’inizio di Mafia Capitale
È il 2 dicembre 2014 quando 37 persone vengono arrestate (28 in carcere e 9 ai domiciliari) e scattano decine di perquisizioni ‘eccellenti’, tra cui anche quella nei confronti dell’ex sindaco Gianni Alemann. La Procura ritiene che negli ultimi anni, nella capitale così come nel Lazio, abbia agito un’associazione di stampo mafioso che ha fatto affari – leciti e non – con imprenditori collusi e con la complicità di dirigenti di municipalizzate ed esponenti politici. Lo scopo: avere il controllo delle attività economiche e la conquista degli appalti pubblici. I reati vanno dall’estorsione, alla corruzione, fino all’usura, al riciclaggio, alla turbativa d’asta e al trasferimento fraudolento di valori. A guidare questa organizzazione, secondo gli inquirenti, sono il presidente della cooperativa ’29 giugno’ Salvatore Buzzi e l’ex terrorista di destra, Massimo Carminati. Proprio l’ex Nar avrebbe impartito “le direttive agli altri partecipi” e avrebbe fornito loro schede dedicate “per comunicazioni riservate”. Avrebbe anche mantenuto i rapporti “con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali, con pezzi della politica e del mondo istituzionale, finanziario e con appartenenti alle forze dell’ordine e ai servizi segreti”.
Nuovi arresti e legami con la politica
Nel giugno successivo, arriva una nuova ondata di arresti per Mafia Capitale, con 19 persone in carcere, 25 ai domiciliari, altre 21 indagate a piede libero. Si delineano i ruoli di comando sia di Buzzi che di Carminati, e i loro contatti con gli esponenti del mondo politico che risultavano a libro paga dell’organizzazione che a Roma sarebbe stata attiva in ogni tipo di affare: dalla gestione dei migranti a quella di appalti per punti verdi e piste ciclabili. In carcere finisce anche Luca Gramazio, ex consigliere capogruppo Pdl (poi Fi) in consiglio comunale e poi in Regione, e oggi condannato a 11 anni. Sarebbe lui il “volto istituzionale” di Mafia Capitale che avrebbe elaborato “le strategie di penetrazione nella pubblica amministrazione”.
Mafia Capitale: il processo con 46 imputati
Il processo per Mafia Capitale comincia il 5 novembre del 2015, davanti ai giudici della X sezione penale del tribunale, e durerà oltre un anno e mezzo. Ad aprile del 2017, la procura chiede la condanna di tutti e 46 gli imputati, per un totale di 515 anni di reclusione. Le pene più elevate sono state sollecitate dai pm nei confronti di coloro che sono ritenuti gli organizzatori o i semplici membri del gruppo. La pena più alta viene richiesta per Massimo Carminati: 28 anni. Per Salvatore Buzzi si chiedono, invece, 26 anni e 3 mesi. Saranno 240 le udienze celebrate nell’aula bunker di Rebibbia e diluite in 20 mesi, con 46 imputati, molti dei quali ancora in carcere, come nel caso dello stesso Massimo Carminati, al 41 bis detenuto a Parma, e di Salvatore Buzzi, incarcerato nella struttura di massima sicurezza a Tolmezzo. Saranno trascritte, inoltre, 80mila intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che 10 milioni di carte e altri 4 milioni di pagine di brogliaccio.
Il procedimento stralcio e l’archiviazione di 113 posizioni
Nel febbraio del 2017, sono finite in archivio le posizioni di 113 indagati su 116 coinvolti nel procedimento stralcio di Mafia Capitale, per imputazioni più o meno residuali, rispetto al processo principale. Accogliendo le richieste avanzate dalla procura di Roma nell’agosto 2016, il gip Flavia Costantini, ha firmato quindi il decreto di archiviazione che riguardava esponenti della politica, imprenditori, professionisti, ex militanti di destra e amministratori. Molti di loro, però, sono già a giudizio – o sono stati già processati – per altre imputazioni. Due i motivi principali che hanno portato alla decisione: per alcune posizioni, “le indagini sin qui portate avanti non hanno consentito di individuare elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio”. Mentre, per tutte le altre, non sono state riscontrate o ritenute credibili le dichiarazioni accusatorie fatte da Salvatore Buzzi. E così, per il reato di associazione di stampo mafioso, escono definitivamente di scena, tra gli altri, anche l’ex sindaco Gianni Alemanno e l’ex capo della sua segreteria politica, Antonio Lucarelli, oltre che l’ex responsabile di Ente Eur Riccardo Mancini ed Ernesto Diotallevi, sospettato di essere il referente di Cosa Nostra a Roma. L’archiviazione ha riguardato anche il presidente Pd del Lazio, Nicola Zingaretti, e il suo ex braccio destro Maurizio Venafro, e per una serie di altri esponenti della politica, da consiglieri comunali fino a parlamentari.
Mafia Capitale: la sentenza di primo grado
Il 20 luglio è arrivata la sentenza di primo grado per i 46 imputati. Caduta l’accusa di associazione mafiosa per 19 di loro, tra cui anche i presunti capi. Carminati e Buzzi – rispettivamente condannati a 20 e 19 anni di reclusione – hanno quindi avuto pene ridotte rispetto a quelle chieste per loro dai pm. Nel caso di Buzzi, prevista anche la condanna per sua moglie e la sua segretaria. Condannati, inoltre, l’ex capogruppo del Pdl in Comune Luca Gramazio (11 anni di reclusione) e l’ex capo dell’assemblea Capitolina Mirko Coratti (6 anni). Mentre Luca Odevaine, ex responsabile del tavolo per i migranti, ha ricevuto la condanna a 6 anni e 6 mesi. Undici anni, invece, per il presunto braccio destro di Carminati, Ricardo Brugia, 10 per l’ex Ad di Ama Franco Panzironi, e 5 per Andrea Tassone, ex minisindaco del municipio di Ostia, commissariato per infiltrazione mafiose.
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(aggiornamento di Carteinregola)
1 dicembre 2017 La Procura deposita in Appello il ricorso avverso alla sentenza di primo grado, chiedendo che sia riconosciuta l’associazione di tipo mafioso, ipotesi di reato venuta meno su decisione del Tribunale collegiale di Roma.
11 settembre 2018 la Terza Sezione della Corte conferma la sussistenza dell’art. 416 bis. Per le motivazioni è necessario attendere la pubblicazione della sentenza
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Vedi anche:
Il fatto quotidiano 11 settembre 2018 Mafia capitale esiste, in appello riconosciuta l’aggravante mafiosa. Ma pena scontata a Buzzi e Carminati
Vedi anche
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*da Brocardi.it Articolo 416 bis Codice penale(R.D. 19 ottobre 1930, n.1398) Associazioni di tipo mafioso anche straniere
Dispositivo dell’art. 416 bis Codice penale
(1) Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone (2), è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni [112 n. 2].
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione (3) del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali (4) (5).
Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego [240] (6).
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta (7) e alle altre associazioni, comunque localmente denominate anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso [32quater].
Note all’art.416 bis
(1) La norma è stata introdotta dalla art. 1 della l. 13 settembre 1982, n. 646.
(2) Dato che il fenomeno mafioso si caratterizza per l’elevato numero di partecipanti, dottrina e giurisprudenza escludono l’applicabilità al reato in esame della circostanza di cui all’art.
112 n. 1.
(3) La giurisprudenza prevalente ritiene che la formula “si avvalgono della forza di intimidazione” debba essere intesa nel senso che l’associazione abbia come programma il ricorso alla forza di intimidazione per realizzare i propri scopi, quindi non viene ritenuto necessario l’effettivo ricorso dell’associazione al compimento di atti intimidatori. Quindi non necessariamente deve esservi il ricorso ad atti di minaccia, deve però sussistere un alone penetrante e avvertibile di presenza intimidatoria e sopraffattrice, frutto di uno stile di vita consolidato nel tempo.
(4) Il comma terzo è stato integrato dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito in l. 7-8-1992, n. 356.
(5) La disposizione in esame si differenzia dall’associazione per delinquere (v.
416) relativamente alle finalità, in quanto, oltre alla commissione di delitti, l’associazione in esame può perseguire anche finalità lecite avvalendosi del mezzo illecito della forza di intimidazione. Di conseguenza è sufficiente la presenza di una soltanto delle finalità indicate dalla norma, al cui elencazione è tassativa.
(6) Tale comma prevedeva inoltre un ulteriore previsione poi abrogata dall’art. 36, l. 19 marzo 1990, n. 55, la quale prevedeva che: “Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all’ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare”.
(7) Il riferimento alla ‘ndrangheta è stato inserito dall’art. 6, comma 2, del D.L. 4 febbraio 2010, n. 4, convertito con modificazioni, nella l. 31 marzo 2010, n. 50.