Manifesto per una strategia nazionale di riduzione dell’impatto dei terremoti
Autore : Redazione
Pubblichiamo il Manifesto per una strategia nazionale di riduzione dell’impatto dei terremoti sulle popolazioni esposte a maggior rischio, dopo cent’anni di fallimenti di Roberto De Marco, Emanuela Guidoboni, Gianluca Valensise, Teresa Crespellani, Elisa Guagenti Grandori, Vincenzo Petrini, Umberto Allegretti, Fabio Sabetta, Giovanni Manieri e sottoscritto da decine di “addetti ai lavori”. E’ molto lungo, ma merita la lettura.Colpiscono i riferimenti a documenti precedenti, nei quali si continuano a lanciare allarmi che cadono per lo più nel vuoto. (AMBM)
(dal sito di SIGEA) MANIFESTO per una strategia nazionale di riduzione dell’impatto dei terremoti sulle popolazioni esposte a maggior rischio, dopo cent’anni di fallimenti
Dall’inizio del Novecento, dopo ogni disastro sismico i governi hanno promesso prevenzione e cura della vita dei cittadini e del patrimonio edilizio abitativo e storico-artistico, senza però mai realizzare una vera strategia di difesa e di contenimento dei danni sismici.
La richiesta di una particolare attenzione al “problema sismico” in questo 2020 trova ragioni nella ricorrenza ammonitrice dei 40 anni dal terremoto dell’Irpinia del 1980, nelle molteplici ricostruzioni ancora in corso, ma soprattutto nelle conseguenze socio-economiche della devastante pandemia che ha investito l’Italia e il mondo. Da quest’ultima disastrosa emergenza si potrà forse uscire solo attraverso una profonda riconsiderazione delle logiche con cui affrontare e risolvere le condizioni incombenti di maggiore criticità, aprendo una fase nuova della storia del Paese, con un’ambiziosa visione strategica improntata a efficacia, innovazione e conservazione intelligente dei caratteri salienti del suo territorio.
Tra le criticità emerge un generale deficit di PREVENZIONE SISMICA, ovvero l’assenza di un’efficace strategia di difesa dai terremoti, micidiali e ricorrenti, che oggi sembrano contendersi il tragico primato della severità dell’impatto proprio con la terribile diffusione della pandemia. Un tema ben rappresentato dai recenti disastri sismici che hanno colpito il Paese (2009 Abruzzo, 2012 Emilia, 2016 Amatrice, Visso e Norcia), ma che continua a rimanere fuori dall’agenda dei decisori politici. In nessun documento governativo riguardante la fase di “rilancio” dell’economia è menzionato il problema sismico del Paese.
Per cento anni lo Stato ha fatto PREVENZIONE a “costo zero” o quasi, limitandosi a produrre normative e delimitare aree a diversa pericolosità sismica. Il disastro del 2016 – unanimemente considerato inaccettabile – ha indotto gli ultimi governi a dar luogo a una inversione di tendenza, varando un ampio piano a favore dell’edilizia privata per il finanziamento di interventi di riduzione della vulnerabilità.
Notevoli perplessità hanno tuttavia sollevato le modalità di utilizzo delle risorse messe a disposizione, affidate allo strumento ormai molto diffuso della concessione di un contributo a valere sulla fiscalità, il così detto sisma bonus: uno strumento al quale, allo stato attuale, quasi tutti i cittadini potranno fare ricorso per interventi di riduzione della vulnerabilità sismica di qualsiasi tipologia di immobili, di proprietà o in locazione, a qualunque scopo destinati. Un provvedimento smisurato e conseguentemente del tutto non selettivo, sostenuto soprattutto dall’esigenza di generare politiche di supporto al settore dell’edilizia, in profonda crisi, e affidato all’iniziativa esclusiva del singolo cittadino, ignorando le opportunità di indirizzo fornite dal lungo accumularsi di scienza, conoscenza ed esperienza maturata sul campo. E tuttavia, un provvedimento proposto come suggestiva – ancorché inconsistente – soluzione all’enorme “problema sismico” di questo Paese: un problema destinato a rimanere insoluto, se non si interviene con nuove e precise scelte.
Un approfondimento analitico sull’inadeguatezza di tale provvedimento a realizzare un’efficace azione di difesa dai terremoti è contenuto nell’APPELLO pubblicato nel 2019, con il titolo “LA PREVENZIONE SISMICA IN ITALIA: UNA SCONFITTA CULTURALE, UN IMPEGNO INDEROGABILE” (qui riportato integralmente in appendice), sottoscritto sia da addetti ai lavori di elevata competenza e lunga esperienza nel settore, sia da numerosi e qualificati esperti di diverse culture. Tale appello è stato sottoposto all’attenzione del Presidente della Repubblica, che ha espresso il proprio apprezzamento e ha voluto condividerne i contenuti con il Presidente del Consiglio, il Ministro dell’Ambiente e il Capo della Protezione Civile.
L’APPELLO ha rappresentato un chiaro richiamo all’urgenza di intervenire sulla base di una solida strategia fondata sulla individuazione di aree prioritarie contraddistinte da una condizione di rischio – tanto noto quanto disatteso – così elevato da richiedere con forza l’avvio immediato di efficaci interventi di PREVENZIONE, non riscontrabili nell’insieme delle iniziative attualmente in essere.
Riteniamo che il momento opportuno sia proprio questo, perché vi è una inattesa disponibilità al cambiamento. Nella speranza che una tale straordinaria opportunità venga colta, riteniamo possa esserci spazio per una proposta forte di rideterminazione dei criteri e degli strumenti necessari per avvicinare il Paese a un obiettivo di reale messa in sicurezza: una operazione certamente impegnativa ma che non lascia alternative, se si vuole sottrarre l’Italia alle conseguenze di due ineludibili realtà:
– i terremoti che colpiranno il nostro Paese nei prossimi decenni avranno il medesimo impatto distruttivo di quelli del passato;
– non esiste oggi in Italia alcun programma coordinato che possa ridurre in modo significativo l’attuale livello di rischio sismico. La condizione attuale è il risultato di azioni estemporanee, protrattesi per decenni, incentrate sempre e solo sul tentativo dei vari governi di recuperare credibilità rispetto all’ultimo evento disastroso e di superare l’imbarazzo per le tante disattese promesse di una maggior tutela della vita umana. La soluzione scelta è stata sempre quella di estendere e migliorare la classificazione sismica del territorio e la normativa tecnica per le costruzioni, introducendo però notevoli incertezze e contraddizioni per le norme relative agli edifici esistenti, e soprattutto ignorando che il problema principale dell’Italia è rappresentato da un patrimonio edilizio in larga parte costruito in totale assenza di norme antisismiche anche in zone oggi considerate ad alta pericolosità, o addirittura declassificate prima e durante il boom edilizio del secondo dopoguerra, ma anche queste con pericolosità ben conosciuta. Tutto è stato sempre realizzato nella piena consapevolezza dei limiti e dell’insufficienza intrinseca di tale azione rispetto al problema sismico del Paese: una incompiutezza dimostrata anche dalla mancanza di una mappa del rischio sismico unica e aggiornata a tutte le numerose conoscenze oggi disponibili, che metta chiaramente in evidenza le aree del paese che hanno maggiore probabilità di subire vittime e danni gravi a causa di futuri terremoti. Il tema del rischio non è stato mai affrontato durante i periodi intercorsi fra un disastro sismico e l’altro. Al contrario, l’obiettivo è stato sempre e solo quello di cercare di tamponare l’esito della successiva emergenza, proprio quando sarebbe stato urgente e decisivo proporre una strategia per limitare in futuro la gravità dei disastri sismici; non solo nei luoghi già colpiti, ma soprattutto in quelli in cui la probabilità di un terremoto nei prossimi anni è notoriamente molto elevata.
Negli ultimi anni, di fronte allo scenario drammaticamente consueto del giorno dopo un terremoto distruttivo, è tornata la promessa reiterata del “mai più un tale esito inaccettabile”, ma è finalmente emersa anche la responsabile volontà di mettere a disposizione maggiori risorse. Tuttavia, ancora una volta lo Stato si è dimostrato incapace di scelte concrete per ridurre vittime e perdite materiali: i decisori hanno scelto di recente di unificare, nella PREVENZIONE, il miglioramento delle prestazioni tecniche su singoli edifici con l’esigenza di generare politiche espansive di supporto al settore economico in crisi dell’edilizia.
In queste considerazioni stanno le ragioni di una richiesta di mutamento nelle linee di azione e in alcuni assetti organizzativi. Questo Manifesto chiede un urgente, inderogabile impegno per un’efficace azione di PREVENZIONE sismica.
Pertanto:
si richiama l’attenzione del Governo sull’improcrastinabile esigenza di:
1. Realizzareunamappadelrischiounicaeaggiornata,checonsentadi delineare un solido quadro di priorità d’intervento basato sia sulla probabilità di accadimento di terremoti distruttivi, sia sulla prevedibile risposta dell’edificato e delle infrastrutture, tenendo conto anche di eventuali ritardi nell’applicazione della normativa e degli effetti delle declassificazioni attuate tra gli anni ’30 e gli anni ’70 del secolo scorso.
2. Definire i termini di una solida strategia di PREVENZIONE che possa centrare l’obiettivo di una significativa riduzione dell’impatto dei futuri forti terremoti, attraverso interventi mirati nei confronti di criticità/vulnerabilità opportunamente evidenziate da scenari di evento, o causate dall’applicazione di norme tecniche inidonee su costruzioni esistenti; un fenomeno ben evidenziato da tutti i più recenti terremoti.
3. Predisporre i criteri generali per una programmazione di interventi integrati rispetto a un più ampio quadro delle criticità presenti sul territorio, riguardanti la riqualificazione urbana, la conservazione del patrimonio storico-artistico e il contesto paesaggistico e ambientale. Nelle tante zone in progressivo abbandono, diffuse soprattutto nelle aree interne e in particolare nel Sud del Paese, si dovrà anche promuovere una nuova attrattività insediativa, delineando un quadro articolato di opportunità e incentivi sul piano sociale ed economico.
4. Applicare una nuova interpretazione della PREVENZIONE nelle aree individuate, previo loro ordinamento per classi di priorità. Tale azione dovrà opportunamente considerare i diversi sistemi in cui la realtà territoriale può essere scomposta (abitativo, infrastrutturale, produttivo, sanitario, beni culturali, mobilità, istruzione-formazione ecc.), promuovendo una drastica riduzione della loro vulnerabilità.
5. Garantireunastringentecontinuitàdell’azioneamministrativarispetto ai mutamenti del quadro politico-istituzionale, per favorire il conseguimento in tempi certi di obiettivi chiaramente definiti a priori. Tale compito dovrà essere affidato a un coordinamento centralizzato, a carattere scientifico-gestionale, dotato di autorevolezza fondata su specifiche competenze, a cui attribuire una sufficiente autonomia e precisi livelli di responsabilità rispetto al raggiungimento dei risultati attesi.
6. Assicurare un’incisiva azione centralizzata di indirizzo e coordinamento, resa necessaria dalla dimensione territoriale del problema e dalla necessità di attivare sinergie tra pubblica amministrazione e ricerca scientifica, sul piano della competenza, e tra Stato, Regioni e Comuni, per quanto concerne la pianificazione degli interventi. Tale azione dovrà garantire e organizzare attivamente la democratica partecipazione di cittadini informati alla definizione delle linee fondamentali per un’efficace azione di PREVENZIONE; un percorso che, come già previsto dalla legge n. 92/2019, deve iniziare dalle scuole attraverso l’insegnamento dell’Educazione Civica, che include anche la “formazione di base in materia di protezione civile”. Questo approccio generalista dovrebbe essere integrato dalle conoscenze scientifiche già disponibili riguardanti i maggiori rischi da eventi naturali estremi (terremoti, frane e alluvioni) per porre le basi di una cultura del rischio, che oggi è del tutto carente nel Paese.
Ad integrazione del Manifesto viene accolto in allegato 2, per maggior completezza del quadro sulle iniziative di prevenzione in corso, il contributo offerto da un ulteriore, recentissimo Appello redatto da Michele Candela, Margherita Eichberg e Paolo Mascilli Migliorini, riguardante le Valenze e problematicità degli incentivi di cui al Decreto Rilancio del 19/05/2020, Sismabonus-Ecobonus, etc.
Qui di seguito alcune note esplicative sui punti elencati nel Manifesto
NOTA AI PUNTI 1 e 2
Nell’affrontare il tema della prevenzione esiste una endemica tendenza a ritenere che il terremoto sia un fenomeno caratterizzato da un’assoluta incertezza, in termini sia di energia, sia di tempo di ritorno, e comunque raro. In Italia, benché accada un disastro sismico in media ogni quattro anni, questo approccio ha finora spinto il legislatore, gli amministratori e i singoli cittadini a percepire il terremoto come una possibilità remota e quasi del tutto casuale. Ne consegue che al tema della PREVENZIONE SISMICA è assegnata una “priorità media”, decisamente più bassa di quella di altri temi percepiti dalla maggioranza dei cittadini come più urgenti, e quindi più facilmente portatori di consenso elettorale. In una stretta logica di politica economica, questo implica che in un paese democratico, quale è il nostro, questo tema irrisolto è destinato a soccombere, come del resto è successo fino ad oggi.
Noi riteniamo inaccettabile tale approccio e ne rigettiamo le conseguenze pratiche; questo perché ne consideriamo decisamente errate le premesse, che di fatto negano i progressi della ricerca sismologica mondiale, e in particolare di quella italiana. Infatti, non è più vero che i terremoti siano caratterizzati da incertezze tali da rendere impossibile qualunque tipo di pianificazione. Al contrario, grazie alle conoscenze di Sismologia storica e di Sismotettonica, acquisite soprattutto a partire dal 1976 (ovvero dall’avvio del Progetto Finalizzato Geodinamica in poi), oggi sappiamo bene dove possiamo aspettarci i forti terremoti del futuro, sappiamo stimare quale sarà la loro magnitudo massima e possiamo calcolare affidabili scenari di scuotimento atteso.
Purtroppo la già citata “ripartenza” post-COVID-19, per la quale il Next Generation EU recentemente varato dall’Europa e dal governo italiano ha previsto risorse economiche straordinarie, non menziona in alcun modo la necessità di avviare finalmente un piano di PREVENZIONE degli effetti dei futuri terremoti: un piano che risponda una volta per tutte alla necessità di uscire da una logica di semplice ripristino e fissi l’ambizioso obiettivo di costruire finalmente un Paese diverso. Segnaliamo con forza questa carenza e riteniamo che il tema della PREVENZIONE SISMICA possa e debba diventare una priorità del Paese, affrontandolo con decisione nelle aree strettamente sismiche, che oggi è possibile perimetrare accuratamente in base alla loro effettiva pericolosità. Tali aree non superano il 20% della superficie totale dell’Italia, coinvolgendo meno di un decimo della sua popolazione. Con poche eccezioni si tratta di aree interne, relativamente distanti dalle aree di pianura e costiere (in cui si concentrano popolazione e attività produttive), diffuse soprattutto lungo la catena appenninica, dalla Toscana alla Calabria, e nella Sicilia orientale. Aree in genere poco favorite dallo sviluppo economico, industriale, infrastrutturale, e soggette a de-popolamento, ma in cui si trova una consistente quota del patrimonio storico-artistico dell’Italia: quella bellezza del nostro Paese che è stata esplicitamente evocata nel Next Generation EU come un bene da tutelare e promuovere, nell’interesse delle future generazioni e dell’umanità.
Per centrare l’obiettivo di una significativa riduzione dell’impatto dei futuri forti terremoti è necessario però stabilire delle priorità, che si stratificano su quelle riguardanti la scelta delle aree su cui intervenire per prime. Come si è ben visto con i terremoti del 2016 nell’ Appennino centrale, città anche vicine tra loro, e che hanno subito livelli di scuotimento del tutto confrontabili, si sono presentate all’appuntamento con il terremoto con livelli di vulnerabilità – e dunque di rischio sismico, pur a parità di pericolosità sismica – molto diversi, subendo crolli e vittime in misura del tutto diversificata. Questa circostanza, tradizionalmente ignorata dagli interventi come il sisma bonus, ha motivazioni di carattere storico, economico e culturale che possono oggi essere esplorate, comprese e bilanciate da opportune contromisure, a iniziare dalla immediata realizzazione di una mappa del rischio sismico unica e aggiornata a tutte le numerose conoscenze oggi disponibili.
NOTA AL PUNTO 3
L’ambizione pubblicamente espressa dal Governo – ed ancor prima dalla politica tutta – di dar vita a un paese “diverso” da quello pre-pandemia, resterebbe irrisolta ove non si fosse capaci di affrontare le attuali criticità di un sistema territoriale complesso e fragile senza una visione integrata dei problemi e delle conseguenti azioni capaci di risolverli. Una visione irrinunciabile per quasi tutte le questioni che attengono alla gestione del territorio.
L’impegnativa riduzione della vulnerabilità sismica già di per sé non può essere affrontata nei termini di interventi che non tengano conto di una valutazione di contesto, d’insieme. Ancor di più, la programmazione dell’investimento pubblico finalizzata a un’efficace PREVENZIONE deve confrontarsi con il complesso di problematiche emergenti che affliggono le città e, per altri versi, i paesi e i borghi. Il già richiamato e preoccupante de-popolamento, ad esempio, pone come centrale la necessità di una riduzione di tutti i rischi incombenti, a partire da quello sismico; ma impone anche di intervenire sulla riqualificazione, tutela e valorizzazione dei centri storici e dei beni culturali che questi ospitano, prevenendone il degrado.
Centrale per la qualità della vita è il tema dei servizi, dalla sanità alla mobilità, a sua volta strettamente legato alla messa in sicurezza e alla funzionalità del sistema delle infrastrutture. Bisogna unire più questioni aperte per ottenere un vantaggioso “effetto di scala”, rispettando l’esigenza di una nuova incisiva progettualità capace di promettere migliori condizioni di residenzialità e di sviluppo economico: l’unica alternativa al progressivo e inarrestabile spopolamento delle aree interne del Paese. Un simile obiettivo esige una lettura di prossimità del territorio, che forse impone costi più alti, ripagati però dalla garanzia che i futuri terremoti causeranno danni assai più limitati, e che sarà migliore la qualità della vita per le popolazioni interessate.
NOTA AL PUNTO 4
In genere si cambia ciò che non funziona. Se ci si riferisce al tema della PREVENZIONE SISMICA, un’analisi obiettiva porta a concludere che certamente il binomio classificazione/normativa, per oltre un secolo e ancora oggi, non ha dato quel che prometteva; questo soprattutto perché la promessa, reiterata in ogni post- terremoto, era sovradimensionata rispetto alla capacità dello strumento. Certamente il fatto più grave è che ancor oggi nuove iniziative sono varate attribuendo loro capacità risolutive a cui esse non possono corrispondere. Prive di obiettivi verificabili, si lascia purtroppo il loro collaudo al prossimo terremoto.
Posto che l’inaccettabile deficit di PREVENZIONE venga ritenuto oggi un’enorme criticità da risolvere, si potrebbe sperare che il Next Generation EU destinato a salvare il Paese dalle conseguenze economiche dell’epidemia trovi opportunità anche per una nuova visione del fare PREVENZIONE. Il terremoto in Italia è di casa, ma non si elaborano scenari di danno per fenomeni che possono investire centinaia di comuni di due o tre regioni adiacenti. Le proiezioni di scenario si propongono solo dopo che il terremoto ha colpito, e solo per avere un’immediata idea delle sue dimensioni distruttive. E questo è un problema serio, perché tali strumenti, supportati dalla piena disponibilità di molta conoscenza, dotati di solide basi scientifiche e affidati alle quasi illimitate capacità elaborative delle nuove tecnologie, potrebbero davvero far compiere un salto di qualità alla PREVENZIONE, aprendo prospettive certe di maggiore incisività.
Non si può più limitare l’azione di PREVENZIONE ad alcune categorie o a pochi “oggetti” sul territorio; bisogna piuttosto scomporre la sua realtà in sistemi dei quali valutare la capacità di risposta all’evento sismico, individuando elementi puntuali di criticità ordinati per priorità di risoluzione. I risultati di una preparazione agli effetti distruttivi di un terremoto così concepita, a cui conferire il massimo della diffusione e condivisione pubblica, diventano uno strumento dinamico di guida e di sollecitazione, capace di alimentare la domanda di sicurezza e quindi di PREVENZIONE. Si profilerebbe quindi uno strumento che determina un più elevato livello di partecipazione e controllo da parte dei cittadini – finora assai limitato dalla genericità della rappresentazione del rischio – proprio perché applicato alla individuazione e mitigazione di condizioni ben riconoscibili di criticità/vulnerabilità, che minacciano direttamente la vita e il benessere delle popolazioni residenti.
NOTA AI PUNTI 5 e 6
Per garantire una stringente continuità dell’azione amministrativa nell’attuazione degli interventi di PREVENZIONE è necessario partire dal Decreto Legislativo 2 gennaio 2018 n. 1 (“Codice della Protezione Civile”), il quale attualmente dispone che:
a) in base all’art. 5, primo comma, sia il Presidente del Consiglio dei Ministri a svolgere il compito di “coordinamento delle attività delle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province, dei Comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione e organizzazione pubblica o privata”;
b) in base all’art. 8, i compiti del Presidente del Consiglio dei Ministri (compresi quelli di PREVENZIONE) siano svolti attraverso il Dipartimento della Protezione Civile;
c) ai sensi dell’art. 11, le Regioni, che sulla materia hanno competenza costituzionalmente concorrente con lo Stato, hanno il compito di disciplinare “l’organizzazione dei sistemi di protezione civile nell’ambito dei rispettivi territori”, assicurando le diverse attività (compresa la PREVENZIONE) di cui alla precisa elencazione contenuta nell’art. 2 del Codice.
Questo tipo di organizzazione fissa alcuni elementi importanti che alla luce dell’esperienza richiedono un ripensamento su punti specifici. Ne è la dimostrazione il fatto che, nonostante i recenti disastri sismici, l’unica misura definita come “preventiva” sia il sisma-bonus (la cui efficacia è criticata nell’APPELLO allegato), e non un piano complessivo di PREVENZIONE per i territori a maggior rischio. Su questo evidenziamo tre aspetti rilevanti:
oggi la responsabilità politica dei compiti in materia di protezione civile, e quindi anche di PREVENZIONE sismica, è del Presidente del Consiglio dei Ministri. Dall’inizio del Novecento, tale responsabilità ha oscillato tra l’appartenenza al Ministero dell’Interno, al Ministero dei Lavori Pubblici (oggi Ministero delle Infrastrutture e Trasporti) e la Presidenza del Consiglio, mediante un Ministro senza portafoglio o un Sottosegretario;
il Presidente del Consiglio dei Ministri svolge i suoi compiti attraverso il Dipartimento della Protezione Civile. Tuttavia, per quanto i compiti di questa struttura siano stati ridimensionati rispetto agli anni precedenti, riguardo alla prevenzione sismica, la sua vicinanza al ruolo essenzialmente politico e di indirizzo del Presidente del Consiglio dei Ministri a nostro parere pone i seguenti problemi:
2.1. la PREVENZIONE sismica, a differenza delle emergenze causate da altre calamità, deve necessariamente confrontarsi con i tempi lunghi tipici dei terremoti, fissando obiettivi, scadenze e verifiche;
2.2. l’ottica tecnica e specialistica delle attività di PREVENZIONE richiede l’opera congiunta di funzionari esperti, specificamente dedicati allo svolgimento di tali compiti.Allo stato delle cose non ci sembra che la configurazione del Dipartimento di Protezione Civile sia proporzionata a questo impegno. Occorrono perciò con urgenza delle innovazioni in materia, per assicurare che la PREVENZIONE sia pensata, organizzata e seguita nel tempo da una struttura di coordinamento, dotata di competenze specialistiche e autonoma rispetto alle eventuali oscillazioni e alternanze proprie del mondo politico, nonché in permanente dialogo con il mondo della ricerca scientifica e tecnologica.
3. È necessario un richiamo al compito, proprio delle Regioni e degli enti locali, di disciplinare “l’organizzazione dei sistemi di protezione civile nell’ambito dei rispettivi territori, assicurando lo svolgimento delle attività di protezione civile di cui all’art. 2” dello stesso Codice (attività che comprendono anche la “previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, gestione delle emergenze e loro superamento”). Infatti, le Regioni e gli enti locali sono certamente in grado di offrire una più approfondita conoscenza dei luoghi e delle esigenze delle popolazioni coinvolte in ogni determinato contesto storico e territoriale. Va tuttavia ribadito che gli interventi delle Regioni devono inserirsi armonicamente entro linee di coordinamento elaborate in sede centrale.
Luglio 2020
Roberto De Marco
BREVE PROFILO PROFESSIONALE DEGLI AUTORI
Geologo, già direttore del Servizio sismico del Dipartimento dei Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, successivamente,componente del Comitato direttivo dell’Agenzia nazionale di Protezione Civile.
Emanuela Guidoboni
Storica e sismologa storica, Associata di Ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, è stata Dirigente di Ricerca all’INGV di Bologna. Esperta di pericolosità sismica e di impatti dei disastri sismici del passato, guida dal 1990 le ricerche per il Catalogo dei Forti Terremoti in Italia, dal mondo antico al XX secolo.
Gianluca Valensise
Geologo, sismotettonico, Dirigente di Ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia dal 1997. Ha ideato e coordina dal 2000 il Database of Individual Seismogenic Sources; è coautore di tutti i modelli di pericolosità e classificazione sismica dell’Italia elaborati tra il 1998 e oggi.
Teresa Crespellani
Ingegnera geotecnica, già Docente di Ingegneria Geotecnica Sismica all’Università di Firenze, esperta di dinamica dei terreni e di microzonazione sismica.
Elisa Guagenti Grandori
Fisico-matematica, già Professore Ordinario al Politecnico di Milano; esperta di rischio sismico, di sismologia statistica e di prevedibilità dei terremoti.
Vincenzo Petrini
Ingegnere, professore emerito, già Ordinario di Scienza delle Costruzioni al Politecnico di Milano. È stato Direttore dell’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico del CNR (1981-1994), coordinatore del Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti del CNR, componente della Commissione Grandi rischi e del Comitato Nazionale per la Prevenzione del Patrimonio Culturale dal Rischio Sismico.
Umberto Allegretti
Giurista, già Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico nell’Università di Firenze, esperto di Diritto amministrativo; è stato direttore della rivista “Democrazia e Diritto” dell’Associazione “Centro studi e iniziative per la riforma dello Stato”.
Fabio Sabetta
Geofisico, Dirigente del Servizio Pericolosità e Rischio Sismico della Protezione Civile nazionale dal 2001 al 2016, Docente del corso di laurea magistrale in Sismologia e Pericolosità Sismica presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Roma Tre, dal 2005 a oggi.
Giovanni Manieri
Ingegnere, già Funzionario incaricato e poi Dirigente del Settore Sismico della Regione Emilia-Romagna dal 1981 al 2010; collaboratore volontario della rete interregionale RESISM, tra Scuole secondarie, rivolta alla riduzione del rischio sismico.
allegato 1
La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile
appello 2019 segue elenco sottoscrittori
Presentazione
Il documento che segue “La prevenzione sismica in Italia:una sconfitta culturale, un impegno inderogabile” è stato concepito per richiamare l’attenzione e sollecitare un consenso di un ampio pubblico su un tema di grande rilevanza come la riduzione del rischio sismico nel Paese, che richiede decisioni difficili, che vanno comprese e condivise. Si devono basare sul patrimonio di conoscenze finora acquisito nelle varie discipline coinvolte (geologia strutturale, sismologia, ingegneria sismica, storia, statistica, economia, pianificazione territoriale…) che oggi in Italia sanno individuare le zone di maggior rischio, conoscere i metodi per rendere antisismiche le costruzioni e resiliente il territorio. Ciò non significa che tali conoscenze siano esenti da incertezze. Le questioni coinvolte spesso non hanno risposta determinata. Dove, cosa e come, in quanto tempo e con quante risorse, sotto la responsabilità di chi, questi gli elementi vincolanti che pretendono l’impegno a fare di più e meglio nella difesa dai terremoti. Paradigmi e protocolli decisionali son venuti maturando nella riflessione scientifica.
Va fatto ogni sforzo per diffondere una cultura del rischio, per argomentare la procedura decisionale, per coinvolgere il cittadino come attore consapevole e determinare un’indifferibile inversione di rotta rispetto all’evidente deficit di prevenzione che grava soprattutto in talune aree del territorio nazionale,dove si può prefigurare una vera e propria condizione di latente emergenza.
Abbiamo così ritenuto di dare con questo documento un contributo costruttivo, di prospettiva, prendendo spunto da alcune considerazioni espresse da un articolo di Roberto De Marco, per molti anni direttore del Servizio Sismico Nazionale, su un supplemento alla rivista “Geologia dell’Ambiente” , e dal contributo di alcuni docenti e esperti che hanno
dedicato al tema della difesa dai terremoti un lungo impegno professionale. Ora, nostro compito è quello di diffondere il documento, anche attraverso l’auspicabile impegno di chi ne dovesse condividere i contenuti, e cercare un confronto costruttivo rispetto alle diverse competenze e alle molte culture che un tema così importante necessariamente coinvolge.
L’adesione al documento può essere data mandando una email all’indirizzo:
nonquestaprevenzione@gmail.com
1 “Rischio sismico in Italia: analisi e prospettive per una prevenzione efficace in un Paese fragile” Supplemento alla Rivista Geologia dell’Ambiente (SIGEA), Roma – 2018.
La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile
La pericolosità sismica del nostro territorio è ben nota ed è sostenuta da approfonditi studi storici e geologici. Come si può osservare in qualsiasi carta di pericolosità, il 70% della sismicità ha sede lungo l’intera dorsale Appenninica, dove in media ogni quattro-cinque anni accade un disastro sismico.
I terremoti di questo inizio secolo, sebbene di magnitudo medio-alta, hanno causato 650 vittime, 60 miliardi di danni, creando un enorme impatto sulla popolazione colpita, un lungo fremito di paura per l’intero Paese, un duro colpo per la sua economia. Eventi che di volta in volta confermano brutalmente la drammatica inadeguatezza della protezione sismica del Paese e indicano l’indifferibilità di iniziative atte a contenere gli eventi futuri nei termini delle inevitabili perdite piuttosto che delle inaccettabili stragi.
Ciò che manca è una strategia di contenimento del rischio all’altezza di un paese moderno, scientificamente avanzato e per giunta già in possesso di un’enorme specifica esperienza che tuttavia stenta a essere capitalizzata. Il sapere e la conoscenza accumulati avrebbero potuto consentire già dall’inizio del secolo scorso di ridurre progressivamente le vittime e i danni dei terremoti. Ma le tragiche immagini che continuano a scorrere davanti ai nostri occhi a ogni terremoto anche solo di media energia ci confermano che certamente l’impegno profuso dai governi che si sono succeduti non è stato commisurato alla gravità della minaccia incombente e alle esigenze del prevenirne gli effetti.
È senza dubbio vero che per i terremoti non si possono fare previsioni relative a quando la scossa tragica colpirà. L’unica cosa certamente prevedibile è che vi saranno altri terremoti nelle aree sismiche, ormai ben note. È un’indicazione che può apparire incompleta, ma che, nei suoi limiti, è assolutamente certa, e si accompagna a un’altra possibile “previsione” e cioè che, nelle ben identificate zone sismiche ad alto rischio, gli effetti drammatici dei terremoti potrebbero essere più rilevanti che in passato nelle città di oggi, aggravate da vecchie e nuove vulnerabilità. Altra significativa certezza è che tra le strutture sismogenetiche che si riattiveranno vi saranno quelle ben note e quindi le città, i paesi e i borghi investiti saranno quelli per i quali, il “giorno dopo” non si potrà certamente dire “il disastro era inaspettato”.
1. La prevenzione del “giorno dopo”
La conoscenza disponibile sui terremoti del passato, risultato di anni di ricerche, non lascia spazio a infondati ottimismi e deve essere considerata un patrimonio inestimabile che può consentire di disegnare affidabili scenari di evento, i cui esiti potrebbero mano a mano perdere la loro attuale drammaticità attraverso una continua e mirata azione di prevenzione.
Il fatto è che dal 1909, anno successivo al terremoto dello Stretto di Messina, che ha causato circa centomila vittime, lo Stato si è costantemente posto il problema solo il “giorno dopo”, in termini riparatori e promettendo che di lì a poco la situazione sarebbe cambiata, impegno poi sempre dimenticato .
Per gran parte del secolo scorso, fino al terremoto in Irpinia-Basilicata del 1980, la classificazione delle zone sismiche è rimasta incardinata nel perimetro tracciato dai terremoti che si susseguivano, per di più a volte manomesso da successive “declassificazioni” di significative aree del territorio colpito (già a partire dal 1927!) e l’applicazione della relativa normativa limitata solo alle nuove costruzioni. È stato un intervento a “costo zero” per lo Stato che ha scelto di non investire in prevenzione, mentre provvedeva ad assumersi completamente l’onere di ricostruzioni sempre più costose. L’impegno a prevenire, sempre riesumato subito “dopo” l’evento, proponendo così un incredibile ossimoro, continua a essere una consuetudine che tenta di risolvere con inevitabile estemporaneità ciò che invece dovrebbe essere oggetto di un’approfondita definizione strategica in tempo di quiete.
Il problema sismico di questo Paese può riassumersi drammaticamente nel confronto tra l’insufficienza delle risorse messe a disposizione per la prevenzione e quelle che sarebbero necessarie non per l’irraggiungibile “messa in sicurezza del territorio”, come spesso si sente dire, ma piuttosto per il conferimento di una più elevata sicurezza nelle aree a maggior rischio. Ancor più significativo diviene poi un ulteriore confronto tra il pochissimo finora “investito” nella prevenzione e l’enormità di quanto invece “speso” per le ricostruzioni che si susseguono e si sommano.
Da questo punto di vista, le disposizioni legislative qualificanti la risposta politica ai terremoti di questo inizio secolo sono assai eloquenti.
Nel 2002 a San Giuliano di Puglia, quando per un piccolo terremoto si ebbe un unico crollo, relativo però a una scuola con perdita di un’intera scolaresca, si varò un piano di messa in sicurezza delle scuole di tutt’Italia. Certamente un impegno necessario, solo che ancora oggi, sedici anni dopo, è lontano dal concludersi.
Nel 2009, con la legge n. 77, il governo avviava la tribolata ricostruzione di L’Aquila, e prendeva un impegno già nel titolo dell’art.11: “Piano nazionale di riduzione del rischio sismico”. Fu ancora una volta un provvedimento per ritrovare un po’ di credibilità, il tentativo di riparare al deficit di protezione evidenziato dalla scossa e all’evidente sottovalutazione del rischio prima della distruzione. Quell’articolo contemplava un finanziamento per l’intero territorio nazionale di 965 milioni di euro, spalmato in sette annualità. A conti fatti, a ciascuno dei 2.893 comuni individuati come a maggior rischio sul territorio nazionale – se questi fossero stati scelti come destinatari dei finanziamenti – sarebbero toccati 334mila euro, cioè 48mila euro l’anno. Nonostante la sua obiettiva inconsistenza, quell’intervento
A partire dagli anni ‘60 lo Stato ha in effetti istituito centri di ricerca, centri operativi, percorsi di studio (alcuni presto cancellati), senza inserirli in un progetto di prevenzione.
legislativo fu fortemente propagandato come l’ennesimo avvio di un nuovo corso. Di quel piano ambizioso non si è saputo più nulla, nessun documento, nessun seguito.
Nel 2012 un altro terremoto in Emilia fece emergere un “nuovo problema”: l’enorme fragilità delle strutture di lavorazione e stoccaggio di preziose filiere produttive. In quello specifico caso furono duramente colpiti il biomedicale e l’agroalimentare, che concorrevano sostanzialmente alla ricchezza di un territorio “dove si fa PIL” ma dove si trascurava di riconsiderare lo scenario di eventi del passato.
Dopo i terremoti del 2016-2017 che hanno distrutto Amatrice e altri centri abitati in Italia Centrale, finalmente un’iniziativa governativa: il “Piano Casa Italia”, affidato a una apposita struttura di missione costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma le indicazioni ivi formulate, raccolte in una voluminosa relazione pubblicata nel giugno 2017, risultano disattese nella quasi contemporanea operazione “Casa sicura” (Decreto Ministeriale n. 65 del 07/03/2017).
Si tratta di una iniziativa consistente in un’agevolazione fiscale, denominata “Sisma Bonus”, che può arrivare fino a una detrazione dell’85% dei costi (per un importo massimo di 96mila euro per unità immobiliare), a favore di tutti quei cittadini che vogliano effettuare un miglioramento della risposta al terremoto delle abitazioni, delle “seconde case”, ma anche dell’edificato destinato ad attività produttive, commerciali, professionali ecc. Nella detrazione rientrano gli immobili situati nelle zone sismiche 1, 2 e 3, ma con i comuni in “Zona 3” incrementati di recente a dismisura. Erano 1632 nel decennio 2003-2013, sono diventati 2866 nel 2015, con contestuale decremento di quelli in “Zona 4 (a pericolosità molto bassa)” da 3429 a 2252. Così la maggior parte del territorio italiano è interessata dal progetto, ma con nuovi squilibri anche all’interno della “Zona 3”, rispetto agli stessi dati di sismicità storica, a causa delle ultime ampie avventate integrazioni, soprattutto in regioni dell’Italia settentrionale.
2. Il Sisma Bonus: “la prevenzione per il nuovo secolo” ?
Abbiamo riflettuto su questo provvedimento attraverso il quale, per la prima volta, lo Stato encomiabilmente destina alla prevenzione, attraverso il Ministero dell’Economia e Finanze, risorse economiche in una dimensione significativa sebbene indeterminata, uscendo finalmente dalla logica dell’intervento “a costo zero” durata oltre un secolo.
Una molto insistita campagna televisiva ha avuto il compito di convincere il cittadino protagonista della bontà dell’iniziativa, informandolo che il beneficio può essere ottenuto in ragione di qualsiasi diritto sull’unità immobiliare, anche laddove non vi sia un alto livello di rischio.
Viene così enfatizzato ciò che in realtà rappresenta un disvalore e cioè l’assenza di indispensabili valutazioni di priorità, mettendo sullo stesso piano il rischio che grava sugli abitanti di Sondrio e quelli di Lamezia, su quelli di Milano e
quelli di Catania. Un’agevolazione quindi indifferenziata, staccata dal contesto fisico e sociale del Paese, che non distingue le zone ad alto rischio sismico e quelle a basso rischio, i territori soggetti ad altri pericoli (frane, alluvioni, ecc.) e quelli che ne sono privi, i centri storici di pregio e le periferie degradate, le costruzioni regolarmente approvate e le costruzioni abusive condonate, le zone sviluppate e le aree depresse.
Contravvenendo al principio costituzionale dell’eguaglianza dei cittadini non stabilisce limiti di censo, tempi e urgenze. Appare perciò un atto discutibile sul piano della ottimizzazione delle risorse. Difficilmente potrà proteggere le costruzioni degli abitanti più disagiati delle zone sismicamente più esposte e potrebbe anzi tendenzialmente rischiare di favorire il capitale immobiliare e comunque i cittadini più abbienti e/o gli abitanti di zone meno sismiche.
Tradisce inoltre principi irrinunciabili nell’approccio alla mitigazione del rischio, in quanto non ne riconosce la dimensione territoriale e sociale, ma solo la valenza individuale. Principi che si devono ispirare a una “etica solidale” dell’intervento pubblico, intesa non come il fermarsi all’interesse immediato del singolo, ma come il perseguire l’aumento della resilienza dell’intera comunità a favore dei cittadini di oggi e delle generazioni future.
Fatta salva la priorità assoluta legata alla protezione della vita umana, che senso ha evitare qualsiasi forma di danno alla propria casa se non si è salvato il lavoro, la strada, la scuola, l’ospedale?
2.1 Un’iniziativa da controllare
Il segno più vistoso dell’operazione Sisma Bonus, che bene evidenzia la semplificazione del problema della prevenzione, è la rinuncia da parte dello Stato a qualsiasi criterio di gestione e controllo dell’iniziativa, condizionata di fatto solo alla sensibilità del cittadino che potrà disporre di risorse pubbliche.
Poiché l’avvio dell’operazione, varata all’inizio del 2017, appariva comunque stentato, in questi ultimi mesi ha preso il via su numerose piazze italiane l’azione di promozione denominata “Diamoci una scossa”, organizzata, anche con il sostegno del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e del Dipartimento della Protezione Civile, dalle categorie professionali degli ingegneri e degli architetti, obiettivamente portatrici di legittimi quanto “diversi” interessi.
Non è da escludere che, come tanti altri interventi promessi “il giorno dopo”, anche questo si dissolva nell’indifferenza generale. Ma l’importantissima novità delle risorse pubbliche messe a disposizione porta a pensarla diversamente. Viene garantita, infatti, per precauzione, la vita di quest’iniziativa per cinque anni, ma il progetto è stato presentato come multigenerazionale, “anche ci volesse un secolo”, per arrivare ad un risultato comunque casuale e indeterminato anche nel costo. Il CRESME assieme all’ISI ha tuttavia tentato alcune proiezioni qui di seguito in estrema sintesi riportate . Nelle tre Zone sismiche individuate come campo
Rapporto CRESME (Centro di Ricerche Economiche, Sociologiche e di Mercato)/ISI (Ingegneria Sismica Italiana) “Incentivi e riduzione del rischio sismico in Italia: cosa fare, come fare” 2018.
d’azione dell’iniziativa sono presenti complessivamente 5.789 comuni, 2907 dei quali sommatoria della Zona 1 ad alta sismicità (705), della Zona 2 a media sismicità (2202). A questi vanno aggiunti i 2882 comuni della Zona 3 a bassa sismicità, quantità confrontabile con la sommatoria di quelli presenti nelle Zone 1 e 2. La superficie delle Zone raggiungibile dall’iniziativa è quindi il 77% di quella dell’intera nazione; i comuni interessati sono circa il 73% dei 7.936 comuni italiani. Sono abitati da circa 48 mln di persone, corrispondenti a 20,4 mln di famiglie; gli edifici sono 11,1 mln di cui 9.3 in fabbricati residenziali pari a 17 mln di abitazioni. CRESME/ISI ha prodotto anche una stima degli investimenti “potenzialmente attivabili” che oscilla tra i 900 e i 1000 miliardi di Euro, i due terzi del Pil italiano. Se tutti gli aventi diritto inoltrassero richiesta del contributo sotto forma di detrazione fiscale per un’aliquota media stimata del 65%, sarebbero necessari 130 miliardi/anno per i 5 anni di durata dell’iniziativa. Il rapporto deficit/Pil avrebbe così un incremento annuo dell’8%.
Cifre fuori da ogni realtà, che tali resterebbero anche se si aumentasse a dismisura la durata dell’iniziativa o si diminuisse parimenti il numero dei richiedenti, posto che lo Stato ogni anno deve onorare con 3-4 miliardi i debiti contratti per far fronte alle vecchie e nuove ricostruzioni, e deve intervenire in emergenze divenute sempre più frequenti e complesse rispetto anche ad altre condizioni di “rischio naturale”.
Si rischia infine di creare nell’opinione pubblica e nei futuri governi il falso convincimento che sia già stato messo in atto un efficace antidoto contro il rischio sismico, un tipo di rischio reale che, in apparente controtendenza rispetto ad altre tipologie di rischio sovradimensionate rispetto alla realtà, viene percepito nel nostro Paese largamente al disotto del suo effettivo peso.
Tutto ciò è dovuto alla singolare scelta di giungere alla definizione del Sisma Bonus senza utilizzare il grande patrimonio di conoscenze scientifiche e territoriali oggi disponibili, col rischio di produrre una serie di pericolosi effetti collaterali.
2.2 Effetti collaterali
a) Come già accennato prima, il Sisma Bonus stabilisce un canale diretto tra lo Stato (MEF), che dispensa il bonus, e il cittadino che lo richiede, senza alcun ambito intermedio di controllo e di verifica. Salta cioè qualsiasi livello di sussidiarietà, qualsiasi possibilità di analizzare le fragilità del territorio e di fare sintesi tra la vulnerabilità sismica e i tanti altri problemi di uso, tutela e sicurezza che lo affliggono. Un eccesso di semplificazione (solo un decreto di dieci righe e un allegato sul “come fare” per gestire gli interventi e valutare i livelli di vulnerabilità) potrà far sì che anche situazioni di degrado possano essere definitivamente asseverate dal contributo di Stato.
b) Ogni considerazione sulla vulnerabilità del patrimonio costruito e dei sistemi urbani e di tutti gli altri salienti caratteri che connotano il territorio è stato sacrificato alla determinazione che l’oggetto destinatario della prevenzione sia “la casa” o in generale l’edificato, a qualunque cosa sia destinato senza distinzione. Viene così ignorato qualsiasi aspetto che riguarda l’interpretazione del territorio sulla vulnerabilità dei sistemi e dei rischi urbani, e su quello delicatissimo delle aree interne, dei borghi e dei paesi in via di spopolamento. Viene quindi tralasciata ogni considerazione in ordine a valutazioni che attengono agli aspetti demografici, sociali ed economici e alla loro intrinseca fragilità. Insomma, il complesso quadro di elementi che disegna la condizione di rischio dei luoghi è stato riassunto nel solo parametro espresso dalla pericolosità sismica, facendo regredire il processo di approfondimento concettuale sul tema già raggiunto nel Paese.
c) Un qualsiasi edificio potrà trovare una nuova vita con il Sisma Bonus, magari per essere poi messo sul mercato come “recentemente ristrutturato e anche antisismico”, innescando così un percorso speculativo laddove quell’edificio, soprattutto, non fosse una prima abitazione ma una parte di un vasto patrimonio immobiliare. Un’iniziativa che sembra essere fatta a misura di “seconde/terze case” dove sarà facile superare il problema, mai trattato nella “comunicazione al cittadino”, dell’incompatibilità della permanenza abitativa con gli interventi strutturali e di ripristino delle finiture per l’intera durata del cantiere. Si è scelto insomma di non tener conto di priorità drammatiche, per cittadini residenti in “zone 1 e 2”, evidenziate con gli ultimi terremoti da crolli rovinosi favoriti da recenti inidonei interventi edilizi. Su questa linea, altro indizio di un pensiero di base debole sta nella validità economica dell’operazione. Per esemplificare, una palazzina di 10 appartamenti da 80m2 ciascuno e 200m2 di parti comuni, magari abusiva ma condonata, realizzata con blocchetti di tufo e con i ferri d’attesa nelle tante periferie degradate di una qualsiasi città, soprattutto meridionale, potrà diventare intoccabile, azzerando ogni possibilità di riferirsi al tema attualissimo della riqualificazione delle periferie. Quella stessa palazzina con un Sisma Bonus da oltre 1 milione di euro, nell’ambito di un programma di riqualificazione, potrebbe, in determinati contesti, essere ricostruita ex-novo. Sempre sul piano dell’ottimizzazione delle risorse distribuite non si capisce che relazione vi possa essere tra l’entità anche massima del bonus concesso e l’entità delle risorse necessarie per un insediamento commerciale o produttivo di grandi dimensioni.
d) L’impostazione dell’iniziativa Sisma Bonus appare come una grande semplificazione del problema prevenzione, un ulteriore segno di deresponsabilizzazione da governo debole, attraverso un ultimo passo di delega, stavolta nei confronti del cittadino, che si assumerà di fronte a uno Stato generoso tutta la responsabilità della propria protezione. Si separa così l’interesse dei cittadini da quelli della comunità, si impedisce di fatto la realizzazione di interventi nella più ampia e complessa dimensione territoriale che è la sola a poter assicurare un’efficace protezione sismica. Un centro abitato (grande o piccolo, città o villaggio) non è la somma di singole costruzioni. E la costruzione non è fatta solo di muri e di tetti. Costruzione “sicura” significa sito sicuro, fondazioni sicure, impianti sicuri, reti idriche ed elettriche sicure, accessi stradali sicuri. Insomma, la sicurezza è un parametro stimabile solo a livello di un generale contesto. A Camerino 2017 – si ricorda un’immagine, ma gli esempi sono innumerevoli – un palazzetto è stato sfondato dal crollo del campanile della chiesa accanto. A Rigopiano, nell’ambito della stessa crisi sismica, un albergo distrutto da una valanga, forse mobilitata dal terremoto perché edificato in un luogo altrimenti a rischio, è un altro esempio della dimensione assai più complessa in cui si dovrebbe invece intervenire in prevenzione. Quindi non si tratta di proteggere solo qualche singola costruzione, ma piuttosto di proteggere tutto il sistema territoriale nel suo complesso.
3. Alcuni presupposti per un’efficace strategia di prevenzione
Ci sembra evidente che l’atteggiamento da respingere sia proprio quello delle politiche di prevenzione dettate dall’ emergenza in corso. La prevenzione, ne siamo convinti, dovrebbe essere un problema da affrontare in assenza della tensione provocata dal recente disastro, dalla pressione per l’avvio di una difficile ricostruzione, dalla necessità di recuperare credibilità rispetto alla debolezza appena verificata del fare prevenzione. Occorre agire in tempo di quiete, insomma, nelle pause della ricorrenza degli eventi che sistematicamente colpiscono il Paese. È in questo senso positivo che l’operazione Sisma Bonus, benché avviata subito dopo la sequenza sismica del 2016-2017, sia stata rilanciata seguendo questo criterio. Per lo stesso motivo appare tuttavia opportuno mettere oggi in evidenza anche alcuni suoi limiti e i possibili interventi correttivi e rafforzativi.
In tal senso pensiamo che sia dovere delle istituzioni dotare l’Italia di una “strategia di prevenzione”, considerando che l’ultimo tentativo fu espresso quasi 40 anni fa con la relazione Barberi/Grandori “Difendersi dai terremoti: la lezione dell’Irpinia” presentata al Senato davanti al Presidente Sandro Pertini pochi giorni dopo il terremoto in Irpinia-Basilicata. Era il 1980.
Nei vent’ anni seguenti solo poche cose di quel documento sono state realizzate, quasi tutte poi cancellate. Soppresso il ricorso a progetti finalizzati del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Soppressa nel 2001 anche l’Agenzia nazionale di Protezione civile appena costituita, che aveva certamente un significato strategico stabilendo, tra l’altro, la giusta distanza tra un’attività tecnico-scientifica, di servizio, come quella attinente alla Protezione civile, e i luoghi della politica. Per questo fu subito tolta di mezzo, lasciando spazio a una nuova stagione, lunga un decennio, nel corso della quale la “strategia” è stata quella finalizzata alla trasformazione della Protezione Civile in una Società per azioni per la gestione di tutti i grandi appalti, fortunatamente sventata, purtroppo non dalla “Politica” ma dall’avvio di inchieste giudiziarie.
Ancora oggi, quando notevole è il patrimonio di conoscenze acquisito, e tanti sono i centri in cui si conducono ricerche di elevato livello, il punto di debolezza più evidente è la mancanza di una strategia complessiva di contenimento del rischio. Una strategia definita attraverso un ampio concorso tecnico, scientifico ed istituzionale, che proponga in termini irrinunciabili: “dove, cosa, come fare con quante risorse certe, in quanto tempo per raggiungere un obiettivo ben definito, sotto la responsabilità di chi”.
Riteniamo anche fondamentale che la struttura responsabile per legge dell’attuazione di tale strategia debba essere dotata delle necessarie competenze e degli adeguati livelli organizzativi, ma anche di margini di autonomia, ovviamente nei limiti dell’attività tecnico-scientifica, dai governi in carica per potere seguire nel tempo l’applicazione graduale degli interventi.
L’operato di tale struttura sarà davvero efficace solo se si baserà su criteri e parametri accuratamente studiati, quali la valutazione, per gli interventi più tipici, del “costo standard” e dell’impatto sociale.
Ma ancora non basterà se non si sarà costruita una conoscenza diffusa che renda consapevolmente addestrati gli operatori e che sia in grado di educare i cittadini, a partire dalle scuole, a una “cultura del rischio”, non solo sismico, di cui l’Italia appare manchevole. Un Paese in cui troppo spesso il rischio è solo percepito emotivamente e in modo quantitativamente erroneo.
Per quanto attiene agli operatori, qualsiasi progetto di prevenzione, per risultare efficace, richiederà che la struttura tecnica più sopra descritta abbia una dimensione territoriale ramificata, ad esempio a livello di aggregazioni di comuni, che supporti e verifichi gli interventi pianificati. Fondamentale, per formare i tecnici di una agenzia territoriale efficace, sarà il ruolo delle università, che dovranno produrre laureati nel settore dell’Ingegneria Sismica e in tutte le discipline direttamente impegnate nelle problematiche dei rischi di origine naturale, non escluso l’ambito umanistico ed economico. Non si tratta di cominciare da zero, ma di moltiplicare e rafforzare iniziative esistenti, alcune delle quali marginalizzate o scarsamente incidenti.
È bene chiarire che nello specifico della difesa dai terremoti per “strategia” intendiamo un’azione commisurata a scelte di priorità. Per quanto si tratti di questioni complesse, la dimensione drammatica espressa da una robusta statistica dovrebbe richiamare sul tema delle priorità una grande attenzione, con la cura e la continuità necessarie. D’altronde il problema è stato già da tempo considerato. Ogni scienza ha i suoi punti di riferimento, l’ingegneria sismica l’ha avuto a lungo in Giuseppe Grandori, che già negli anni ’80 scriveva “tutte le zone di alta sismicità sono già oggi da considerare in condizioni di emergenza” e aggiungeva “non è pensabile di provvedere in tempi brevi all’adeguamento antisismico delle costruzioni esistenti in tutte le zone di alta sismicità, si tratta in ogni caso di una lotta contro il tempo con interventi guidati da accurati studi per la scelta delle priorità”.
È in definitiva una scelta di buon senso condivisa peraltro anche dalla ormai dimenticata Struttura di Missione Casa Italia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sopra citata, che afferma nella sua relazione 2017: “per minimizzare le perdite di vite umane occorre focalizzare immediatamente l’attenzione sugli edifici V6 (massima vulnerabilità) localizzati nelle aree a maggiore pericolosità sismica”.
Il primo passo potrebbe essere, quindi, l’identificazione di aree, scelte in base a criteri di priorità, nelle quali elaborare e mettere in atto un programma di interventi di prevenzione nel breve e medio periodo, ponendolo in stretta connessione con la pianificazione dell’emergenza (finora affidata ai singoli comuni), visto che entrambe si fondano sull’individuazione delle vulnerabilità latenti su cui intervenire in via preventiva, e così determinare una ricaduta positiva sullo scenario del terremoto atteso.
4. Due possibili esiti
Temiamo fortemente che la classe politica non si renda sufficientemente conto della gravità della situazione e sottovaluti gli altissimi costi del “non prevenire”. Costi, che in Italia non sono solo di tipo sociale ed economico, ma anche di perdita di un patrimonio storico e artistico inestimabile e, non ultima cosa, di credibilità delle istituzioni.
Con il Sisma Bonus, opportunamente normato e ricondotto all’interno di una vera strategia di prevenzione, si potrebbe utilmente innescare un ruolo consapevole e partecipe del cittadino nella riduzione del rischio sismico della propria abitazione. Si tratterebbe comunque di un piccolo tassello, ma inserito in un contesto di attenzione istituzionale e culturale adeguato.
A margine di queste considerazioni, ci sembra che il Sisma Bonus, lasciato a se stesso come unica soluzione, potrebbe riconfermare i vecchi vizi della mentalità nazionale (estemporaneità, temporeggiamento, particolarismo e individualismo). Ma, potrebbe anche, al contrario, mettere in moto delle nuove energie sociali che reclamino l’urgenza di un piano di prevenzione dotato di una visione strategica del futuro, poggiato su solide basi scientifiche e culturali e predisposto in periodo di quiete sismica. Un piano cioè di provvedimenti di ampio respiro, con un’attenzione fattiva alle priorità e alle urgenze, che funzioni davvero sul piano organizzativo e dell’efficacia, e che poggi su specifici presupposti, quali:
1. la possibilità che il soggetto pubblico responsabile dell’attuazione del piano sia dotato di adeguate competenze tecniche e amministrative, di funzionari e tecnici esperti in permanente dialogo con la comunità scientifica, con gli altri soggetti istituzionali e con la società civile, e sia messo in grado, oltre che di raccogliere il lavoro oggi disponibile in fatto di riduzione del rischio sismico, di seguire continuativamente nel tempo, necessariamente lungo, le diverse fasi di realizzazione del progetto;
2. il piano delle azioni sia programmato sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili concentrando l’attività di prevenzione nelle zone più a rischio;
3. le priorità e le urgenze siano supportate da dati chiari per tutelare le persone più esposte e più disagiate;
4. siano effettuati regolari controlli e verifiche sulla efficacia degli interventi apportando eventuali miglioramenti e modifiche;
5. vengano sviluppati protocolli per formare e informare permanentemente funzionari e tecnici delle amministrazioni, imprese e cittadini, “anche con il coinvolgimento delle istituzioni scolastiche” (come finalmente previsto dal “Codice della protezione civile”);
6. la legislazione, migliorata e integrata, preveda i possibili scenari post- terremoto, ossia della fase di ricostruzione/riabitazione dei luoghi colpiti, in maniera da ridurre il numero delle ordinanze post-sisma, snellire le procedure (appalti, benefici fiscali, distribuzione moduli abitativi provvisori, ecc.), e, soprattutto, tutelare allo stesso modo i diritti di tutti i cittadini del territorio nazionale tenendo conto di parametri come il censo, l’età, ecc.;
7. si attivi una mobilitazione culturale diffusa, radicata e perseverante per la valorizzazione del territorio al fine di “rendere operante l’attesa del terremoto”.
Un serio piano di prevenzione sarebbe una prova di grande maturità del Paese. Come dice Italo Calvino: “c’è una faccia dell’Italia migliore, che non fa tanto parlare di sé ma che continua a fare sempre qualcosa di serio per gli altri con disinteresse e passione”.
Forse non rimane che sperare che questa parte dell’Italia, che a molti di noi è capitato di incontrare, possa avere voce e contare nelle decisioni che riguardano la possibilità di affrontare, con un piano di provvedimenti rigorosamente commisurati alla realtà del suo contesto fisico e sociale, il problema della protezione sismica nel nostro Paese.
Febbraio 2019
Sono promotori dell’iniziativa o hanno dato un contributo al documento (in ordine alfabetico):
Claudio Chesi ingegnere strutturista, prof. ord. politecnico milano
Teresa Crespellani ingegnera geotecnica, già prof. ass. università firenze
Marisa Dalai Emiliani storica dell’arte, prof. emerita, università la sapienza roma
Vezio De Lucia architetto, urbanista, già direttore generale urbanistica ministero LL.PP
Roberto De Marco geologo, già direttore del servizio sismico nazionale della PCM
Georg Frisch architetto, urbanista
Elsa Garavaglia architetta, prof. ass. politecnico milano
Elisa Guagenti Grandori fisico-matematica, già prof. ord. politecnico milano
Emanuela Guidoboni sismologa storica, INGV e Centro EEDIS
Scira Menoni urbanista, prof. ord, politecnico milano
Paola Nicita storica dell’arte, ministero per i beni e le attività culturali
Federico Perotti ingegnere strutturista, prof. ord. politecnico milano
Vincenzo Petrini ingegnere sismico, prof. emerito politecnico milano
Fabio Sabetta fisico, già dirigente dipartimento protezione civile PCM
Giancarlo Storto ingegnere urbanista, già direttore generale urbanistica ministero infrastrutture
Maria Cristina Treu urbanista, già prof. ord. politecnico milano
Giovanni Vannucchi ingegnere geotecnico, prof. ord. università firenze
hanno inoltre dato la loro adesione al documento:
Giovanni Allegretti urbanista, senior researcher center of social studies, università coimbra, portogallo
Umberto Allegretti giurista, già prof. ord. università firenze
Carla Maria Amici archeologa, prof. ass. università salento
Helen Ampt fisica, traduttrice scientifica, attivista per il territorio
Paolo Angeletti ingegnere, già presidente comitato tecnico scientifico regione umbria sisma 1997
Patrizia Angeli ingegnera, presidente associazione nazionale ingegneri per prevenzione ed emergenze
Graziella Aquino, cittadina
Alfonso Ardizzi, cittadino
Associazione “Salviamo la Costituzione”, Bologna
Giuliano Augusti ingegnere strutturista, già prof. ord. università la sapienza roma
Dimitra Diana Babalis urbanista, prof. ass. università firenze
Mauro Baioni urbanista, consulente pubbliche amministrazioni e istituti di ricerca
Enzo Balboni giurista, già prof. ord. università cattolica milano
Nicholas Ballabio, geologo
Angela Barabanente urbanista, prof. ord. politecnico bari
Angelo Baracca fisico e storico della fisica, prof. emerito università firenze
Giorgio Barelli geologo, comune modena
Dino Barnabei architetto, teramo
Andrea Baroni, architetto
Maurizio Battaglia geofisico, prof. ass. università la sapienza roma
Michela Becchis storica dell’arte
Jadranka Bentini storica dell’arte, già soprintendente beni artistici e storici bologna
Paolo Berdini ingegnere e urbanista
Michele Betti ingegnere strutturista, phd università firenze
Piero Bevilacqua storico, già prof. ord. università la sapienza roma
Alessandro Bianchi storico dell’arte direttore istituto superiore per la conservazione e il restauro roma
Daniele Fabrizio Bignami ingegnere, prof. a contratto progettazione territoriale per la gestione dei rischi politecnico milano
Vittorio Boarini storico del cinema e dell’arte, fondatore cineteca bologna
Bruna Bocchini Camaiani storica, già prof. ord. università di firenze
Gianluca Valensise geologo, dirigente di ricerca INGV
Vincenzo Varano giurista, prof. emerito università di firenze
Elisa Varini matematica-statistica, ricercatrice CNR-IMATI milano
Stefano V entura storico, coordinatore dell’osservatorio su dopo-sisma (fondazione mida)
Carlo Viggiani ingegnere geotecnico, prof. emerito università napoli
Vincenza Vigna, cittadina
Anna Maria Vittori, cittadina
Andrea Vitturi geologo, membro comitato scientifico rivista “geologia per l’ambiente”
Alberto Ziparo urbanista, prof. ass. università firenze
allegato 2
SISMABONUS – ECOBONUS etc. Valenze e problematicità degli incentivi di cui al Decreto Rilancio del 19/05/2020
appello 2020
ing. Michele Candela, progettista di restauri strutturali arch. Paolo Mascilli Migliorini, Direttore del Palazzo Reale di Napoli
arch. Margherita Eichberg, Soprintendente per l’Archeologia delle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale
SISMABONUS – ECOBONUS etc Valenze e problematicità degli incentivi di cui al Decreto Rilancio del 19/05/2020
L’emanazione da parte del Governo Nazionale di norme per la concessione di cospicue agevolazioni fiscali, rivolte ad incentivare politiche di contenimento energetico, unite a misure di potenziamento della diffusione di sistemi di produzione energetica da fonte rinnovabile o comunque di tipo alternativo, rappresenta uno sforzo legislativo condivisibile e auspicato da tempo.
Così come, in un settore diverso, è positiva l’attenzione verso la prevenzione sismica del patrimonio immobiliare privato, diffuso su tutto il territorio nazionale.
Soprattutto quest’ultimo disposto normativo è portatore di un nuovo e positivo approccio culturale, non più ispirato alla logica del soccorso post-sisma e della conseguente faticosa ricostruzione delle aree terremotate, bensì a quello della prevenzione strutturale. Purtroppo però ciò potrà avvenire anche con la demolizione degli edifici da adeguare. Appare evidente, quindi, la facilità e l’interesse con le quali si potrà procedere a massicce operazioni di sostituzione e ricostruzione edilizia. Le quali, in maniera seriale o a macchia di leopardo, nel breve volgere di pochi mesi potranno irrimediabilmente alterare il costruito storico italiano, intaccando ed alterando, in maniera indiscriminata, quella facies originaria che tanto caratterizza e distingue tutto il territorio nazionale.
È quindi assolutamente necessario impedirne il suo stravolgimento, viste anche le molte, troppe, esperienze condotte nelle aree interessate da eventi sismici, nelle quali la risultante della fase ricostruttiva, è sempre caratterizzata da un’imperdonabile obliterazione delle caratteristiche costruttive locali. Elaborazione plurisecolare di esperienze e saperi, legame con il dato naturale dei luoghi e logica premessa dell’immagine tradizionale degli insediamenti.
Nella fase di attuazione del sisma bonus risulta pertanto indispensabile introdurre meccanismi legislativi di controllo atti a garantire l’ottimale utilizzo di risorse e contestualmente rivolti a garantire anche la conservazione della morfologia edilizia locale, espressione dei singoli territori ed indissolubilmente legata all’immagine identitaria dei luoghi, che peraltro può essere assurdamente travolta con una semplice prassi di comunicazione urbanistica, proprio oggi che sempre più si afferma il concetto che l’edilizia tradizionale ben consolidata , ha prestazioni sismiche di gran lunga migliori rispetto a quella a telaio in cemento armato o in acciaio .
Pertanto si ritiene urgentissimo e indispensabile integrare la norma generale dell’Eco bonus e/o del Sisma bonus, con specifiche ulteriori norme, che indirizzano in chiave di conservazione del tessuto edilizio tradizionale, le buone nuove pratiche di consolidamento da adottare, unificando le classificazioni di centro storico e di edilizia tradizionale diffusa a quelle del Codice dei Beni Culturali. Non relegando così ai soli casi di edifici di eccezionale valore storico, tutelati dal MIBAC, il rispetto delle caratteristiche costruttive originarie. Bensì comprendendo tutto il tessuto storico che, si ripete, costituisce, in sé, il Paesaggio. Tutelato, sempre dal titolo II del Codice dei Beni Culturali.
Michele Candela Margherita Eichberg Paolo Mascilli Migliorini