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Modifiche NTA PRG: quale archeologia preventiva la decide la Soprintendenza

Nell’ambito delle modifiche introdotte nelle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore del 2008, è stato cambiato anche il comma 8 dell’articolo 16 “Beni segnalati in Carta per la Qualità”, aggiungendo all’attuale versione una parolina e una frase che incidono consistentemente sulle regole per le indagini archeologiche preventive, un’attività che, nella Capitale, non dovrebbe essere nè sottovalutata nè ridimensionata:

La definizione progettuale di qualsiasi intervento che comporti escavazioni, perforazioni o rinterri, è subordinata all’effettuazione di indagini archeologiche preventive [NUOVO INSERIMENTO: ] indirette, a cura e spese del soggetto attuatore, indirizzate e sorvegliate dalla Soprintendenza statale competente. [NUOVO INSERIMENTO: ] Indagini di tipo diretto dovranno essere effettuate solo a riscontro dei risultati delle indagini indirette. In caso di ritrovamenti di interesse archeologico, oltre al rispetto di quanto previsto dagli articoli 90 e 91 del D.LGT n. 42/2004, si applicano le disposizioni di cui al comma 6, ovvero le misure e gli interventi di tutela e/o valorizzazione, che la Soprintendenza statale dispone a carico del soggetto attuatore, e da recepire nella progettazione o variazione progettuale degli interventi trasformativi, la cui approvazione rimane subordinata al parere favorevole della competente Soprintendenza statale. (…)

Abbiamo consultato la normativa che disciplina le indagini archeologiche preventive e non abbiamo trovato traccia di tale indicazione, che avrebbe potuto essere introdotta, caso mai, con il motivo di un adeguamento delle NTA a nuove disposizioni normative sovradeterminate (1).

Carteinregola propone quindi la seguente osservazione:

All’art. 16 comma 8, nel primo periodo dopo le parole “indagini preventive” cancellare la parola “indirette“e aggiungere, dopo la frase “indirizzate e sorvegliate dalla Soprintendenza statale competente” : “come previsto dal Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 Art. 25 e dall’ Art. 28, comma 4 del D.Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii.; nel secondo periodo cancellare la frase “Indagini di tipo diretto dovranno essere effettuate solo a riscontro dei risultati delle indagini indirette”.

Le motivazioni nell’approfondimento sottostante di Daniela Rizzo, archeologa, del direttivo di Carteinregola.

La tutela del patrimonio archeologico, storico ed artistico è sancita attraverso una serie di leggi specifiche, a partire dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 42/2004), che detta le norme della tutela dei Beni Culturali e del Paesaggio, fino ad arrivare al Nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023), che invece ne regola l’applicazione nell’ambito degli interventi pubblici e di pubblica utilità.

L’unico strumento per contemperare  l’interesse pubblico di tutela del patrimonio storico nazionale con l’esigenza di sviluppo e incremento delle infrastrutture del paese è l’archeologia preventiva, nata proprio per valutare il rischio archeologico delle opere in progetto, al fine di evitare, da un lato, i dannosi quanto dispendiosi blocchi dei cantieri, e dall’altro garantire la salvaguardia di siti archeologici del tutto ignoti o noti solo attraverso fonti bibliografiche.

Non è un caso che da qualche anno le società che progettano e attuano grandi opere d’interesse pubblico, come ad esempio RFI – Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. e molte altre che operano sul territorio nazionale, abbiano inserito all’interno delle loro strutture team di archeologi che seguono ogni fase del lavoro, a partire dalla progettazione stessa, garantendosi in tal modo un supporto fondamentale già nelle fasi iniziali del lavoro. 

La procedura di avvio della verifica dell’interesse archeologico che la Soprintendenza competente può richiedere, dovrà seguire le prescrizioni che la stessa Soprintendenza detterà in ordine alla metodologia degli accertamenti che dovranno essere effettuati sul terreno: indagini non invasive/indirette (prospezioni geofisiche, magnetometria, georadar, resistività o geoelettrica) che non richiedono scavi, e/o indagini invasive/dirette (come carotaggi, saggi preventivi e scavi in estensione). Ovviamente  lo scopo di tali indagini è quello di accertare l’eventuale presenza di depositi archeologici, nell’ottica di valutarne la compatibilità o meno con le opere in progetto.

Mentre le indagini indirette o non invasive sono probabilmente più rapide, ma non più economiche, e consentono di ottenere il quadro generale del terreno, quasi una fotografia che rileva le “anomalie” del terreno che dovranno poi essere interpretate come elementi o strutture antiche, le indagini dirette, come saggi e scavi in estensione, anche se più lunghe e articolate, sono le uniche che chiariscono in via definitiva se il terreno in esame sia libero o meno da presenze archeologiche.

Il ricorso alle indagini indirette va attentamente valutato scegliendo la metodologia più adatta alla  natura dei terreni, alla consistenza e alla profondità dei depositi archeologici: infatti dette indagini si rivelano utili quando le presenze archeologiche dell’area da indagare, la loro consistenza e profondità sono in linea di massima  già note, nonché in aree poco urbanizzate, che normalmente restituiscono una minore densità di anomalie e, quindi, dati più facilmente interpretabili. Ma è ovvio come le anomalie individuate necessitino quasi sempre di successivi controlli diretti sul terreno.

In aree densamente urbanizzate, come i grandi centri, le prospezioni geomagnetiche sono decisamente sconsigliate, poiché restituiranno una percentuale molto alta di anomalie con dati, dunque, difficilmente interpretabili, rischiando di rivelarsi assolutamente inefficaci e, oltretutto, dispendiose per la committenza che, in buona sostanza, dovrà sostenere i costi di entrambe le metodologie. Perché, è bene evidenziarlo, in terreni anche solo “indiziati” da presenze archeologiche, difficilmente l’archeologo responsabile potrà rilasciare un’autorizzazione a opere che prevedano movimenti di terra, anche di esigua entità, senza aver eseguito tutti gli accertamenti dovuti che consentano di definire il terreno stesso certamente libero da presenze archeologiche.

Si deve tener presente che tra le diverse metodologie di indagini indirette non esiste un metodo ideale di esplorazione, ma bisogna ricorrere a più sistemi esplorativi per ottenere i risultati migliori.

Tale principio è di fondamentale importanza, perché è molto alto il pericolo che una metodologia di indagine venga presentata,  per molteplici motivazioni, come l’unica soluzione più veloce, più economica e più sicura.

Le indagini indirette, o non invasive, possono costituire un primo utile approfondimento nelle fasi iniziali dell’elaborazione del progetto, ma devono in ogni caso considerarsi propedeutiche e preliminari a una più efficace progettazione delle indispensabili e più esaustive indagini dirette.

Daniela Rizzo

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

31 marzo 2025

vai a Delibera di Adozione Modifiche Piano Regolatore 11 12 2024

Scarica 102a Proposta (Dec. G.C. n. 53 del 13 giugno 2023) Adozione, ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 1150/1942 e L.R. n. 19/2022, della variante parziale alle Norme Tecniche di Attuazione del PianoRegolatore Generale vigente, approvato con Deliberazione di Consiglio Comunale n. 18 del 12 febbraio 2008.

vai a Modifiche al PRG cronologia materiali

Vai alle informazioni per inviare osservazioni alla delibera adottata con le modifiche alle Norme Tecniche del Piano Regolatore di Roma

NOTE

(1) Art. 28, comma 4 del D.Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii., Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In caso di realizzazione di lavori pubblici ricadenti in aree di interesse archeologico, anche quando per esse non siano intervenute la verifica di cui all’articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all’articolo 13, il soprintendente può richiedere l’esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree medesime a spese del committente.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 28 del Codice, il D.Lgs. n. 50/2016, all’art. 25, impone, nell’ambito della realizzazione di opere pubbliche,  la verifica preventiva dell’interesse archeologico sulle aree oggetto di intervento, al fine di accertare, prima di iniziare i lavori, la sussistenza di giacimenti archeologici ancora conservati nel sottosuolo e di evitarne la distruzione.
Ciò consente di prevedere eventuali variazioni progettuali, in attuazione del disposto dell’art. 20 del D.Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii: “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione“.
Gli elenchi degli Istituti e degli operatori abilitati al rilascio della relazione archeologica preliminare, di cui all’art. 25, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016, stilati dalla Direzione Generale Educazione e Ricerca e Istituti culturali del Ministero della Cultura, sono visibili per le stazioni appaltanti sul sito: http://www.ic_archeo.beniculturali.it/it/275/archeologia-preventiva


Per approfondimenti:

D.Lgs. 50/2016Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (G.U. n. 91 del 19 aprile 2016).

Circolare n. 53 del 22.12.2022  Verifica preventiva dell’interesse archeologico. Aggiornamenti normativi e procedurali e indicazioni tecniche.

Allegato 1 Circolare 53 / 2022

Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 Codice dei contratti pubblici (G.U. n. 91 del 19 aprile 2016)

Art. 25. (Verifica preventiva dell’interesse archeologico)

1. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 28, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per le opere sottoposte all’applicazione delle disposizioni del presente codice, le stazioni appaltanti trasmettono al soprintendente territorialmente competente, prima dell’approvazione, copia del progetto di fattibilità dell’intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici, ivi compresi gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, con particolare attenzione ai dati di archivio e bibliografici reperibili, all’esito delle ricognizioni volte all’osservazione dei terreni, alla lettura della geomorfologia del territorio, nonché, per le opere a rete, alle fotointerpretazioni. Le stazioni appaltanti raccolgono ed elaborano tale documentazione mediante i dipartimenti archeologici delle università, ovvero mediante i soggetti in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia. La trasmissione della documentazione suindicata non è richiesta per gli interventi che non comportino nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate dai manufatti esistenti.

2. Presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è istituito un apposito elenco, reso accessibile a tutti gli interessati, degli istituti archeologici universitari e dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione. Con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita una rappresentanza dei dipartimenti archeologici universitari, si provvede a disciplinare i criteri per la tenuta di detto elenco, comunque prevedendo modalità di partecipazione di tutti i soggetti interessati. Fino alla data di entrata in vigore di detto decreto, si applica l’articolo 216, comma 7.

3. Il soprintendente, qualora sulla base degli elementi trasmessi e delle ulteriori informazioni disponibili, ravvisi l’esistenza di un interesse archeologico nelle aree oggetto di progettazione, può richiedere motivatamente, entro il termine di trenta giorni dal ricevimento del progetto di fattibilità ovvero dello stralcio di cui al comma 1, la sottoposizione dell’intervento alla procedura prevista dai commi 8 e seguenti. Per i progetti di grandi opere infrastrutturali o a rete il termine della richiesta per la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico è stabilito in sessanta giorni.

4. In caso di incompletezza della documentazione trasmessa o di esigenza di approfondimenti istruttori, il soprintendente, con modalità anche informatiche, richiede integrazioni documentali o convoca il responsabile unico del procedimento per acquisire le necessarie informazioni integrative. La richiesta di integrazioni e informazioni sospende il termine di cui al comma 3, fino alla presentazione delle stesse.

5. Avverso la richiesta di cui al comma 3 è esperibile il ricorso amministrativo di cui all’articolo 16 del codice dei beni culturali e del paesaggio.

6. Ove il soprintendente non richieda l’attivazione della procedura di cui ai commi 8 e seguenti nel termine di cui al comma 3, ovvero tale procedura si concluda con esito negativo, l’esecuzione di saggi archeologici è possibile solo in caso di successiva acquisizione di nuove informazioni o di emersione, nel corso dei lavori, di nuovi elementi archeologicamente rilevanti, che inducano a ritenere probabile la sussistenza in sito di reperti archeologici. In tale evenienza il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo procede, contestualmente, alla richiesta di saggi preventivi, alla comunicazione di avvio del procedimento di verifica o di dichiarazione dell’interesse culturale ai sensi degli articoli 12 e 13 del codice dei beni culturali e del paesaggio.

7. I commi da 1 a 6 non si applicano alle aree archeologiche e ai parchi archeologici di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, per i quali restano fermi i poteri autorizzatori e cautelari ivi previsti, compresa la facoltà di prescrivere l’esecuzione, a spese del committente dell’opera pubblica, di saggi archeologici. Restano altresì fermi i poteri previsti dall’articolo 28, comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio nonché i poteri autorizzatori e cautelari previsti per le zone di interesse archeologico, di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m), del medesimo codice.

8. La procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico si articola in fasi costituenti livelli progressivi di approfondimento dell’indagine archeologica. L’esecuzione della fase successiva dell’indagine è subordinata all’emersione di elementi archeologicamente significativi all’esito della fase precedente. La procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico consiste nel compimento delle seguenti indagini e nella redazione dei documenti integrativi del progetto di fattibilità:

a) esecuzione di carotaggi;
b) prospezioni geofisiche e geochimiche;
c) saggi archeologici e, ove necessario, esecuzione di sondaggi e di scavi, anche in estensione tali da assicurare una sufficiente campionatura dell’area interessata dai lavori.

9. La procedura si conclude in un termine predeterminato dal soprintendente in relazione all’estensione dell’area interessata, con la redazione della relazione archeologica definitiva, approvata dal soprintendente di settore territorialmente competente. La relazione contiene una descrizione analitica delle indagini eseguite, con i relativi esiti di seguito elencati, e detta le conseguenti prescrizioni:

a) contesti in cui lo scavo stratigrafico esaurisce direttamente l’esigenza di tutela;
b) contesti che non evidenziano reperti leggibili come complesso strutturale unitario, con scarso livello di conservazione per i quali sono possibili interventi di reinterro, smontaggio, rimontaggio e musealizzazione, in altra sede rispetto a quella di rinvenimento;
c) complessi la cui conservazione non può essere altrimenti assicurata che in forma contestualizzata mediante l’integrale mantenimento in sito.

10. Per l’esecuzione dei saggi e degli scavi archeologici nell’ambito della procedura di cui al presente articolo, il responsabile unico del procedimento può motivatamente ridurre, previo accordo con la soprintendenza archeologica territorialmente competente, i livelli di progettazione, nonché i contenuti della progettazione, in particolare in relazione ai dati, agli elaborati e ai documenti progettuali già comunque acquisiti agli atti del procedimento.

11. Nelle ipotesi di cui al comma 9, lettera a), la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico si considera chiusa con esito negativo e accertata l’insussistenza dell’interesse archeologico nell’area interessata dai lavori. Nelle ipotesi di cui al comma 9, lettera b), la soprintendenza determina le misure necessarie ad assicurare la conoscenza, la conservazione e la protezione dei rinvenimenti archeologicamente rilevanti, salve le misure di tutela eventualmente da adottare ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, relativamente a singoli rinvenimenti o al loro contesto. Nel caso di cui al comma 9, lettera c), le prescrizioni sono incluse nei provvedimenti di assoggettamento a tutela dell’area interessata dai rinvenimenti e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo avvia il procedimento di dichiarazione di cui agli articoli 12 e 13 del predetto codice dei beni culturali e del paesaggio.

12. La procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico è condotta sotto la direzione della soprintendenza archeologica territorialmente competente. Gli oneri sono a carico della stazione appaltante.

13. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro il 31 dicembre 2017, sono adottate linee guida finalizzate ad assicurare speditezza, efficienza ed efficacia alla procedura di cui al presente articolo. Con il medesimo decreto sono individuati procedimenti semplificati, con termini certi, che garantiscano la tutela del patrimonio archeologico tenendo conto dell’interesse pubblico sotteso alla realizzazione dell’opera.
(linee guida adottate con d.p.c.m. del 14 febbraio 2022, in G.U. n. 88 del 14 aprile 2022)

14. Per gli interventi soggetti alla procedura di cui al presente articolo, il soprintendente, entro trenta giorni dalla richiesta di cui al comma 3, stipula un apposito accordo con la stazione appaltante per disciplinare le forme di coordinamento e di collaborazione con il responsabile del procedimento e con gli uffici della stazione appaltante. Nell’accordo le amministrazioni possono graduare la complessità della procedura di cui al presente articolo, in ragione della tipologia e dell’entità dei lavori da eseguire, anche riducendo le fasi e i contenuti del procedimento. L’accordo disciplina, altresì, le forme di documentazione e di divulgazione dei risultati dell’indagine, mediante l’informatizzazione dei dati raccolti, la produzione di forme di edizioni scientifiche e didattiche, eventuali ricostruzioni virtuali volte alla comprensione funzionale dei complessi antichi, eventuali mostre ed esposizioni finalizzate alla diffusione e alla pubblicizzazione delle indagini svolte.

15. Le stazioni appaltanti, in caso di rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto per il territorio o di avvio di attività imprenditoriali suscettibili di produrre positivi effetti sull’economia o sull’occupazione, già inseriti nel programma triennale di cui all’articolo 21, possono ricorrere alla procedura di cui al regolamento adottato in attuazione dell’articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in caso di ritenuta eccessiva durata del procedimento di cui ai commi 8 e seguenti o quando non siano rispettati i termini fissati nell’accordo di cui al comma 14.

16. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano disciplinano la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico per le opere di loro competenza sulla base di quanto disposto dal presente articolo.