Mondiali in Qatar: la FIFA ha svenduto sé stessa per soldi
Autore : Redazione
Pubblichiamo l’articolo da The Good Lobby del 24 novembre 2022
Ancora una volta la FIFA ha svenduto i suoi stessi valori e le sue stesse regole per soldi. Dobbiamo pretendere un’autentica riforma dalle organizzazioni sportive affinché smettano di essere strumenti dello “sportwashing”.
di Miguel Poiares Maduro, Alberto Alemanno, Viola Von Cramon-Taubadel, Josepgn Weiler e Jamil Chade
Tutti sanno perché questi mondiali di calcio si stanno svolgendo in Qatar – soldi.
È stata la sola ragione per cui il torneo è stato assegnato a una minuscola città-Stato che non solo non ha nessuna tradizione calcistica, ma ha anche le peggiori condizioni naturali possibili per ospitarlo. E, nonostante i numerosi scandali che hanno tormentato questo evento – dalla corruzione alle violazioni dei diritti umani, la Federazione Internazionale del calcio associativo (FIFA) ha mantenuto saldamente la sua decisione del 2010 di organizzare la Coppa del Mondo in Qatar.
La giustificazione? Il torneo ha migliorato e continuerà a migliorare la condizione del Paese e quella dei suoi cittadini. Ma è davvero così?
Per i regimi autocratici ospitare grandi eventi sportivi come questo ha un obiettivo primario: guadagnare capitale politico in patria e all’estero. Se da un lato gli autocrati sperano di guadagnare popolarità in patria mentre continuano a soffocare il dissenso, dall’altro sperano di proiettare il loro Paese sulla scena internazionale attirando leader mondiali, celebrità e personaggi del mondo degli affari. E se è vero che l’occasione può aver reso pubbliche le violazioni dei diritti umani da parte del Qatar, solo una minoranza della popolazione mondiale – anche se in crescita – vi presterà davvero attenzione.
È per tutte queste ragioni che i regimi autocratici sono così ansiosi di ospitare grandi eventi sportivi e sono disposti a pagare una fortuna per farlo – in altre parole: “sportwashing”. E, in ultima analisi, tali eventi non fanno altro che rafforzare ulteriormente il regime.
La FIFA sostiene giustamente che, in quanto organizzazione globale, deve essere in grado di trattare con regimi molto diversi e con soggetti provenienti da molte culture diverse. Tuttavia, allo stesso tempo, sostiene di essere libera da qualsiasi interferenza politica e di essere organizzata in modo democratico e coerente secondo una serie di valori e principi che proteggono i diritti umani e proibiscono qualsiasi forma di discriminazione.
Si può quindi ragionevolmente pretendere che sia l’attribuzione dei suoi eventi sia il loro svolgimento avvengano in modo coerente con questi valori. Quindi, sebbene sia concepibile che, data la natura globale del calcio, anche regimi non democratici possano ottenere il diritto di ospitare eventi calcistici, nessuno Stato dovrebbe ottenere il diritto di organizzare una Coppa del Mondo in violazione dei principi che la FIFA proclama di difendere.
La FIFA si è dotata di una policy sui diritti umani che ogni Paese ospitante deve impegnarsi a rispettare, ma questo diventa semplicemente un altro esempio di “vetrinizzazione” quando l’organizzazione non mostra alcun reale impegno nell’attuazione di tale politica.
Quando è stato chiaro che l’assegnazione della Coppa del Mondo al Qatar poteva essere frutto di corruzione, la FIFA avrebbe dovuto dare seguito alle indagini dei pubblici ministeri e del proprio comitato etico. Invece, ha insabbiato il rapporto per evitare di subire un contraccolpo.
Poi, quando il Qatar ha iniziato a costruire gli stadi e le altre infrastrutture della Coppa del Mondo, la FIFA avrebbe dovuto insistere sulla tutela dei diritti dei lavoratori. Invece, ha negato qualsiasi responsabilità nei confronti di questi lavoratori.
La FIFA ha anche un obbligo nei confronti dei suoi tifosi. Sebbene i tifosi non godano del diritto di essere trattati come se fossero nel loro Paese d’origine mentre si trovano in Qatar, non dovrebbero comunque – secondo i principi della FIFA – essere discriminati in base alla loro razza, al loro sesso o per qualsiasi altra ragione. Invece, la FIFA ha chiesto loro, in particolare alle donne e alla comunità LGBTQ+, di adattarsi alle regole del Qatar.
Naturalmente, la FIFA non può cambiare il regime di ogni Paese che ospita una Coppa del Mondo, ma deve assicurarsi che l’evento si svolga – dall’inizio alla fine – in conformità con i propri valori e principi. La FIFA chiede alle nazioni ospitanti di introdurre disposizioni fiscali speciali per la Coppa del Mondo. Perché non può fare lo stesso per i diritti dei lavoratori o dei tifosi?
La triste verità è che la FIFA ha venduto le proprie regole e i propri valori in cambio di denaro. E a questo punto non c’è molto da fare per salvare la FIFA da se stessa. Tuttavia, c’è ancora qualcosa che si può fare per trasformare questo evento da sportwashing a “sportcalling”.
Per prima cosa, dobbiamo chiedere ai nostri capi di Stato e di Governo di prendere le distanze. Anche se devono mantenere le relazioni con il Qatar, non devono chiudere gli occhi e contribuire allo sportwashing che si sta verificando.
Dovremmo anche chiedere ai dirigenti e ai calciatori di dimostrare che si preoccupano dei lavoratori morti durante i preparativi per la Coppa del Mondo e delle donne e delle persone LGBTQ+ discriminate durante la manifestazione.
Durante EURO2020 (Gli Europei di calcio), gli atleti sono stati liberi di esprimere la loro solidarietà con il movimento Black Lives Matter inginocchiandosi all’inizio delle partite. Ora, in Qatar, devono dimostrare di essere disposti a prendere posizione quando è più difficile farlo. Dovrebbero inginocchiarsi a sostegno del movimento Women’s Lives Matter o in memoria dei lavoratori deceduti, e i capitani (e le loro FA) dovrebbero sfidare il divieto illegale della FIFA e indossare la fascia arcobaleno.
Infine, come tifosi, anche noi dovremmo dimostrare che ci teniamo: non solo esigendo quanto scritto sopra dai nostri atleti e funzionari, ma anche agendo in prima persona e, soprattutto, chiedendo una vera riforma alle organizzazioni sportive, in modo che non continuino a essere strumenti di sportswashing.
Questa è la traduzione di un articolo pubblicato su Politico.EU, scritto da Miguel Poiares Maduro (preside della facoltà Católica Global School of Law, Professore aggiunto ed ex direttore della EUI School of Transnational Governance), Alberto Alemanno (Professore della cattedra Jean Monnet di diritto dell’Unione europea presso la HEC di Parigi e fondatore di The Good Lobby), Viola Von Cramon-Taubadel (membro del Parlamento europeo che ha recentemente proposto la creazione di un’Agenzia mondiale anticorruzione per lo sport), Josepgn Weiler (titolare della cattedra Jean Monnet alla NYU) e Jamil Chade (giornalista investigativo e autore brasiliano).
Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com