Pubblichiamo il rapporto dell’Osservatorio Copnti Pubblici diretto da carlo Cottarelli sui costi del trasporto pubblico locale italiano, messi a confronto con vari scenari.
I sussidi nel trasporto pubblico locale[1]
(da Osservatorio CPI Università Cattolica)
Il settore dei trasporti pubblici locali (TPL) è caratterizzato in Italia da un basso livello di copertura dei costi di produzione con ricavi da traffico. Sulla base dei dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale sulle Politiche per il Trasporto Pubblico Locale (2015), il grado di copertura medio dei costi operativi a livello nazionale è del 37 per cento. Il resto è coperto da trasferimenti pubblici, che nel 2014 ammontavano a più di sei miliardi di euro (si veda Tavola 1). Un quadro analogo si registra per il settore delle ferrovie e degli altri impianti fissi con una spesa complessiva intorno ai nove miliardi ed entrate tariffarie poco sopra i tre.[2]
Questa bassa copertura dei costi è un fenomeno strutturale ed è del tutto in linea con la normativa attualmente in vigore: il rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi previsto dal D.Lgs. n. 422 del 1997 è infatti pari al 35 per cento. Un sussidio pubblico al TPL è anche coerente con finalità di massimizzazione del surplus collettivo, soprattutto in relazione al contenimento dei costi di congestione della mobilità individuale. Tuttavia, che la situazione attuale sia anomala in termini di entità del sussidio è reso evidente sia dai confronti tra diverse regioni italiane sia dai confronti internazionali.
I confronti regionali
Dall’analisi dei dati su scala regionale emerge un’ampia varianza del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi. Le ultime rilevazioni disponibili sono relative al 2014. A quella data (e non ci sono motivi per pensare che la situazione sia fondamentalmente cambiata da allora), sei regioni avevano un rapporto ricavi da traffico-costi operativi superiore alla media: il grado massimo di copertura, pari al 51 per cento, era quello del Veneto. Seguivano la Sicilia con il 46 per cento e la Lombardia con il 43 per cento. L’elevato grado di copertura della Sicilia riflette probabilmente un modello di esercizio particolare dei trasporti extraurbani che sono affidati a privati.[3] Toscana, Marche, Lazio e Piemonte si attestavano su un livello intorno al 36 per cento.
Quattro Regioni avevano un rapporto fra il 25 per cento ed il 30 per cento: Puglia, Friuli-Venezia Giulia, Campania e Umbria; quattro tra il 20 e il 25 per cento (Calabria, Valle d’Aosta, Sardegna e Abruzzo). Due, la Basilicata e il Molise, avevano un livello di copertura inferiore al 15 per cento.[4]
Queste forti differenze non sono facilmente riconducibili a considerazioni e politiche di carattere ambientale. Si noti infatti che, sul lato dei ricavi, un confronto sui prezzi dei biglietti, pur difficoltoso a causa del differente tipo di servizio offerto, non suggerisce differenze tariffarie rilevanti: a Milano, Roma e Torino il biglietto di corsa singola costa 1,5 euro mentre il prezzo degli abbonamenti mensili è di 35 euro per Roma e Milano, 38 per Torino. Differenze marcate emergono invece riguardo il grado di evasione nel pagamento di biglietti, generalmente più elevato nelle regioni del Sud.[5]
Il livello di sussidio dipende naturalmente oltre che dei livelli tariffari anche dall’efficienza produttiva cioè dai costi di produzione. Fare un confronto regionale sui costi unitari di produzione è complesso a causa delle differenti condizioni di produzione del servizio (come la velocità dei mezzi che dipende dal grado di congestione) oltre che delle quote delle diverse modalità di trasporto (bus, tram, metropolitana, treni) rispetto all’offerta totale del servizio di trasporto pubblico. Tuttavia, restringendo l’analisi alle maggiori aree urbane, si notano ampi divari di efficienza: in particolare, il costo unitario di produzione dei servizi di metropolitana è del 38 per cento più alto a Roma rispetto a Milano e del 54 per cento più alto rispetto a Torino. Per quanto riguarda il servizio di superficie, a Milano i costi unitari sono del 27 per cento più bassi rispetto a Roma, mentre rispetto a Torino il divario di efficienza è solamente del 4 per cento (si veda l’appendice).
Il confronto internazionale
Il confronto con i principali paesi europei mostra un quadro poco lusinghiero. Nel 2015 (e anche qui non sembrano essere intervenuti fondamentali cambiamenti in termini di politiche tariffarie) i ricavi da traffico in Italia erano fra i più bassi in Europa, specialmente nella capitale: a Roma coprivano il 26 per cento dei costi, rispetto al 65 per cento di Parigi, al 55 per cento di Londra e al 48 per cento di Berlino. Queste differenze sono dovute principalmente a due fattori: l’elevata evasione tariffaria, che incide specialmente sul trasporto su gomma, e tariffe relativamente basse con poche discriminazioni di prezzo. In particolare, i biglietti di corsa singola – quelli maggiormente usati da non residenti – hanno prezzi inferiori rispetto alle principali capitali europee (si veda figura 2).
Tuttavia, anche quando si guarda ai prezzi degli abbonamenti il risultato non cambia in modo sostanziale: i prezzi degli abbonamenti mensili per le aree urbane variano dai 59 euro di Madrid ai 127 di Londra (dati EMTA Eurobarometro 2016). A Roma e Milano il prezzo è di 35 euro, in linea con Copenaghen (36 euro). Madrid si rivela la capitale più virtuosa, con tariffe relativamente basse e un alto valore di ricavi da traffico per passeggero, pari a 1,2 euro (come Londra), rispetto agli 0,26 di Roma e gli 0,76 di Milano. Il risultato complessivo di biglietti e abbonamenti meno costosi e di maggiore evasione è che il ricavo per passeggero a Roma è di gran lunga il più basso tra quelli delle principali città europee (Figura 2), mentre Milano si colloca in una posizione intorno alla media.[6]
Come si è detto, le differenze nel grado di copertura dipendono anche dal diverso livello di efficienza produttiva. In proposito, i costi unitari di produzione del servizio nelle maggiori aree urbane del nostro Paese risultano essere significativamente superiori rispetto a quelli che si registrano in altri paesi, come il Regno Unito, nei quali è stato attuato un piano di privatizzazione e liberalizzazione integrale del settore. Infatti, nel 2012 (purtroppo anche qui dati più recenti non sono disponibili), i costi unitari di produzione erano del 45 per cento più alti in Italia rispetto al Regno Unito e del 16 per cento più alti rispetto alla media dei maggiori paesi europei.[7]
Oltre ai costi unitari, un altro indicatore utile per il confronto è dato dalla produttività del trasporto pubblico su gomma. La Figura 3 mostra come Berlino e Vienna siano le città più efficienti, con il più alto numero di chilometri percorsi per autobus. Roma è in penultima posizione, appena prima di Parigi. Roma, inoltre, è ultima per quanto riguarda l’età media dei veicoli (8,75 anni), quasi tre anni più alta della media per le capitali europee. Abbiamo quindi un parco autobus piuttosto vecchio e poco utilizzato. Per quanto riguarda la produttività del personale, quella di Roma è inferiore del 64 per cento rispetto alla media delle maggiori capitali europee.[8]
Possibili linee di riforma
Come detto in precedenza, sussidiare il TPL può essere giustificato dalla necessità di ridurre la congestione del traffico, specialmente nei centri urbani.[9] Ma in Italia, soprattutto al centro-sud, il sussidio è molto più elevato che nel resto dell’Europa, il che suggerisce spazio per risparmi agendo sia sul lato delle tariffe che sul lato dei costi.
Sul lato delle tariffe, occorre anche tener conto che il basso livello corrente riflette probabilmente anche il desiderio di fornire un sussidio a chi, avendo un reddito più basso, usa il trasporto pubblico per motivi di lavoro. In proposito, però, occorrerebbe avere politiche più mirate che riescano effettivamente a sussidiare la domanda delle fasce più svantaggiate, aumentando le tariffe per le fasce della popolazione con livelli di reddito più elevati. Nel nostro paese, e seppure con qualche eccezione, vi è invece una tendenza generale a non differenziare le tariffe per classi di reddito, il che ovviamente genera altre distorsioni. Un esempio lampante è la detrazione per gli abbonamenti del TPL introdotta con la legge di bilancio 2018. Questa misura ha infatti previsto la possibilità di inserire negli oneri detraibili i costi sostenuti per il trasporto pubblico fino a 250 euro l’anno. Ciò significa che si può avere uno sconto di circa 50 euro all’anno per il trasporto pubblico e questa detrazione è possibile indipendentemente dal livello del reddito.
Sul lato dei costi, bisognerebbe migliorare drasticamente l’efficienza dei trasporti pubblici in Italia. Infatti, qualora si conseguissero livelli di efficienza paragonabili a quelli di altri paesi, l’entità dei trasferimenti pubblici potrebbe essere radicalmente ridotta in assenza di riduzioni del livello dell’offerta.
Appendice
I casi di Milano, Roma e Torino
L’ultimo contratto di servizio stipulato con il Comune di Milano, con durata 1° maggio 2010 – 30 aprile 2017 (ora in proroga), prevede la fornitura dei seguenti servizi su base annua:
• esercizio metropolitana: 57.157.200 vetture-km
• esercizio superficie: 76.050.264 vetture-km
Il corrispettivo totale fissato inizialmente era pari a 671 milioni annui nel 2010 (IVA inclusa) cresciuto poi progressivamente fino ai 779,7 milioni del 2015, a causa di aumento sostanziale dell’offerta. I passeggeri trasportati complessivamente erano nel 2015 intorno ai 2 milioni al giorno.
Il costo unitario di produzione era pari a 4,7 per la metropolitana e 5,2 per i servizi di superficie, mentre gli introiti da tariffa erano pari 423 milioni nel 2015 e il rapporto ricavi da traffico / importo del contratto di servizio a 0,46. Il ricavo medio per passeggero si attesta a 0,76 euro.
Nella capitale la fornitura dei servizi di trasporto pubblico locale è affidata a due gestori:
• ATAC, società pubblica di proprietà di Roma Capitale (80 per cento dei servizi di superficie, metropolitana, tre ferrovie ex-concesse di competenza regionale);
• Roma Tpl s.c.a r.l., consorzio di aziende private (linee di bus periferici, circa il 20 per cento dell’offerta).
L’offerta di servizi risultava nel 2015 pari a: 93,4 milioni di vetture-km per i servizi di superficie ATAC, 28,7 milioni di vetture-km per i servizi di superficie Roma Tpl e 41,9 milioni di vetture-km per la metropolitana.
Il costo complessivo dei servizi di superficie era pari a 739 milioni, quello della metropolitana a 273 milioni per un totale di oltre un miliardo di euro.
I passeggeri trasportati erano pari a 2,6 milioni sui mezzi di superficie e a 780mila per la metropolitana.
Il costo unitario di produzione per la metropolitana era pari a 6,5, mentre ammontava a 6,7 per i servizi di superfice gestiti da ATAC. I ricavi da traffico si attestavano a 258 milioni e coprivano il 26 per cento dei costi operativi complessivi, mentre il ricavo medio per passeggero era pari a 0,26 euro – circa un terzo di quello di Milano – che risente negativamente di un più elevato livello di evasione tariffaria.
Il divario più rilevante rispetto a Milano è quello relativo alla rete della metropolitana. Si evidenzia come, con riferimento alla rete di superficie il livello di copertura dei costi sia solo marginalmente inferiore a quello calcolato per la città di Milano mentre è molto ampio il divario per quanto riguarda la rete di metropolitana. I costi operativi per le due reti sono analoghi ma i ricavi da traffico stimati sono a Milano pari a quasi tre volte quelli di Roma.
Antecedentemente all’anno 2006 nella città di Torino il servizio di trasporto pubblico era offerto solo con mezzi di superficie. Nel febbraio del 2006 è stata aperta all’esercizio la prima tratta di 7 km della linea metropolitana “M1” prolungata a 9,6 km nel 2007 ed infine a 13,2 km nel 2011.
Nel 2011 il costo di produzione è risultato pari a 384 milioni (349 milioni per il servizio di superficie e 35 milioni per la metropolitana), che comporta un costo unitario di produzione pari a 4,2 per la metropolitana e a 6,4 per i servizi di superficie. I ricavi da traffico si sono attestati sui 79 milioni con un ricavo medio unitario per passeggero pari a 0,45 €.
Nel periodo analizzato il rapporto ricavi da traffico – costo totale di gestione è rimasto sostanzialmente invariato: dal 21% del 2006 si è passati al 20,7% del 2010. Quello della metropolitana, cui erano riconducibili nel 2010 circa il 9% dei costi di produzione e l’11% dei ricavi, è cresciuto dal 22,2% al 26,0%. Non sono disponibili dati di costo e ricavi per gli anni successivi.
Tra il 2010 ed il 2015 il numero di passeggeri della linea metropolitana è cresciuta dell’80% passando da 22,9 a 41,1 milioni di passeggeri/anno.
Assumendo, in prima approssimazione, che i costi di produzione siano cresciuti proporzionalmente al prolungamento della linea completato nel 2011 si determinerebbe nel 2015 un aumento del 37,5% rispetto al 2010; ipotizzando, inoltre, che i ricavi siano aumentati proporzionalmente all’utenza, il rapporto ricavi da traffico si attesterebbe attualmente intorno al 34%.
Si rileva un divario molto ampio rispetto al dato sopra indicato per la città di Milano.
Le due realtà presentano inoltre livelli di frequentazione diversi: nel caso delle tre linee “storiche” di Milano si registra un numero medio di passeggeri per km di linea di poco superiore ai 4,9 milioni.
La metropolitana di Torino ha una frequentazione di circa 3,1 milione di passeggeri: a parità di domanda con le linee di Milano e con offerta invariata, il rapporto ricavi da traffico- costi di gestione salirebbe a 0,53.
[1] A cura di Piergiorgio Carapella (Osservatorio CPI), Marco Ponti e Francesco Ramella (Bridges Research). Una versione più estesa della presente nota sarà pubblicata all’interno del volume “Trasporti. Conoscere per decidere” di prossima pubblicazione con Egea.
[2] Gli impianti fissi si riferiscono a mezzi che hanno una via di corsa predefinita, come la metropolitana, le tramvie o le funicolari. Le spese inserite sotto questa voce nella Tavola 1 riguardano solamente la manutenzione e gli investimenti, mentre la voce Trasporto pubblico locale si riferisce ai contributi d’esercizio. Tale classificazione è ripresa dal Conto Nazionale dei Trasporti elaborato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT).
[3] Il modello del trasporto extraurbano in Sicilia è basato su un ridotto numero di dipendenti non addetti alla guida, cioè non direttamente produttivi, su una struttura di servizi flessibile e molto legata al territorio, in cui gli addetti hanno un rapporto diretto con gli utenti, garantendo da un lato così le corse, le frequenze e le fermate più a loro necessarie, dall’altro un buon riempimento dei mezzi.
[4] Purtroppo non esistono dati più aggiornati, infatti l’ultima relazione disponibile dell’Osservatorio Nazionale sulle Politiche del Trasporto Pubblico Locale (organo afferente al MIT) risale al 2015, su dati 2014. Peraltro, negli obiettivi dichiarati dell’Osservatorio si legge “L’Osservatorio si riunisce almeno due volte l’anno e relaziona annualmente alle camere sullo stato del Trasporto pubblico locale.” Auspichiamo quindi che vi siano presto aggiornamenti del rapporto.
http://www.mit.gov.it/mit/site.php?p=cm&o=vd&id=2915
[5] Un’indagine dell’agenzia Adnkronos stimava che nel 2014 l’evasione tariffaria era del 29 per cento a Roma mentre toccava picchi del 37 per cento a Napoli. A Bari la media era del 30 per cento, mentre a Bologna il valore era inferiore all’8 per cento e a Torino del 4 per cento.
[6] Una parte di questo scostamento è dovuto anche alla maggiore offerta di servizi di metropolitana di Milano rispetto a Roma. Come si può notare in appendice, i servizi di metropolitana sono tendenzialmente più efficienti e hanno ricavi medi per passeggero superiori, grazie anche ad una minore evasione.
[7] Si veda la relazione di Bain & Company, “L’efficienza nel Trasporto Pubblico Locale in Italia”, 2014. Lo studio presenta il confronto fra l’Italia, il Regno Unito, la Germania, la Francia e la Spagna. Non ci sono dati più aggiornati, tuttavia, dato che gli affidamenti dei servizi di TPL sono piuttosto lunghi, è improbabile che la situazione si sia modificata in modo significativo.
[8] La produttività del personale è misurata dal rapporto vetture km/numero di addetti. Tale indicatore è però influenzato anche dalla velocità commerciale dei mezzi che è più bassa in Italia rispetti agli altri paesi. Per vetture-km si intende il numero complessivo di chilometri percorsi in un anno da tutte le vetture in dotazione.
[9] Peraltro, sarebbe in linea di principio preferibile, piuttosto che utilizzare sussidi, internalizzare i costi esterni generati dalla mobilità attraverso strumenti di tassazione, utilizzando eventualmente parte dei ricavati per compensare i percettori di redditi più bassi per il maggior costo del trasporto.