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Periferie, di Giancarlo Storto

Pubblichiamo l’intervento al convegno di Carteinregola “la città delle persone” di Giancarlo Storto del direttivo di Carteinregola

Condivido la lettura proposta da Carlo Cellamare nel recente convegno alla Sapienza dal convincente titolo “Roma é/e le periferie”. Racconta bene le tante periferie che nel loro insieme circondano la città consolidata. Roma, nella sua fascia esterna, è un contenitore di una pluralità di situazioni abitative diverse che, seppur adiacenti e assai spesso in stretta continuità, sono distinguibili perché ciascuna possiede una identità ben precisa. E, forse, proprio in quanto la qualità degli insediamenti e la conseguente vivibilità sono assai disomogenee, è più opportuno (come suggerisce Francesco Erbani) parlare di condizioni periferiche se si vuole connotare quella parte di territorio che soffre i maggiori disagi (per carenza di servizi, per le difficoltà nei collegamenti, per un abitare in edifici residenziali e in contesti che si allontanano di molto da una concezione di città strutturata, facilmente accessibile e dotata dei servizi e delle infrastrutture proprie della condizione urbana). In questo senso la distanza dal centro non è il solo parametro da considerare: a Genova, prima degli interventi di riqualificazione avviati dalle Giunte di sinistra alla fine degli anni Novanta, la condizione periferica coincideva con l’intero centro storico.

Ha scritto Marc Augè: Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale né storico definirà un non luogo.

Una definizione che descrive bene numerose situazioni periferiche: in alcuni casi sembra che le previsioni urbanistiche e le decisioni amministrative abbiano voluto concentrare in particolari ambiti quanto la politica presume non gradito alla maggioranza dei cittadini (edilizia degradata, campi rom, inceneritori, fabbriche dismesse), vere e proprie discariche urbanistiche.

Territori difficili da governare: come progettare un futuro per gli insediamenti abusivi condonati sparsi nell’Agro romano? Sono di dimensioni tali, per la ridotta estensione e per il basso rapporto abitanti/superficie territoriale, che sono condannati a una condizione spuria, certamente non urbana e resteranno per sempre privi di servizi elementari e di trasporto pubblico efficiente. Stessa sorte per alcuni insediamenti di edilizia pubblica, i piani di zona, che sono stati irragionevolmente localizzati (variante al 2° Peep del 2006) a distanza siderale dal resto della città e sono tuttora privi non solo di servizi ma anche delle urbanizzazioni primarie.

Ma scelte sciagurate proprie del decisore pubblico nei territori a margine della città costruita hanno avuto ripercussioni sull’intera area urbana. Mi riferisco alla localizzazione dei centri commerciali in prossimità del Raccordo anulare che hanno di fatto marginalizzato il commercio di vicinato, impoverito e reso più insicuri i quartieri dove sempre con più frequenza si assiste alla chiusura di negozi (fenomeno che coinvolge anche strade centrali come Via Nazionale). I primi 10 centri commerciali occupano una superficie lorda di 480mila mq (479.817) con Porta di Roma che si estende per 130mila mq.

E che dire di alcune importanti strutture pubbliche realizzate in posti impervi, senza un trasporto pubblico decente e quindi difficoltose da raggiungere? Alcuni esempi di estemporanee scelte localizzative: l’Ufficio del Catasto è a Tor Cervara e l’Ufficio del condono edilizio a Decima, in posti improbabili, lontano da tutto, mentre le aree dello Sdo di Pietralata, espropriate da più di venti anni, rimangono misteriosamente vuote, forse ora in attesa dello stadio della Roma, un utilizzo che comunque contraddice le finalità per cui si era proceduto all’esproprio.

Se queste sono le condizioni, che fare? Occorre tornare indietro, ripartire dalla lucida e prospettica intuizione del Sindaco Petroselli che rimane non solo valida ma da attuare con maggiore urgenza e determinazione. “La sua idea, la sua idea obiettivo, era l’unificazione di Roma”, come hanno scritto Ella Baffoni e Vezio De Lucia nel volume a lui dedicato. Ogni azione amministrativa dovrebbe essere conformata a questa priorità.

Sinora poco o nulla si è fatto in questa direzione. Dall’inizio degli Anni Duemila lo Stato, rinunciando colpevolmente a finanziare l’edilizia residenziale pubblica, ha promosso diversi programmi che avevano la dichiarata finalità di migliorare le condizioni di vita nelle periferie. A Roma, come quasi dappertutto, le risorse ottenute, peraltro scarse e utilizzate con la consueta lentezza, hanno inciso in modo del tutto trascurabile, essendo destinate a realizzare qualche attrezzatura pubblica che, già dotata di progetto, era in attesa del finanziamento. Nessuna visione d’insieme, nessuna possibilità di riscatto ai residenti degli insediamenti più disagiati (solo a Corviale qualcosa in più è stato avviato).

Se si vuole incidere realmente, è indispensabile concentrarsi non su singole opere (anche se necessarie) ma sul territorio, verificare con l’assidua partecipazione degli abitanti i “mali” che affliggono il loro quartiere e intervenire non solo per migliorare la scarsa qualità residenziale o per superare la carenza dei servizi, ma ampliando l’orizzonte alla sfera sociale e occupazionale. Con i Contratti di quartiere, alla fine degli Anni Novanta, si era avviato questo percorso non più ripreso in seguito in altri programmi. Un’esperienza che era opportuno recuperare e, semmai, correggere sulla base dei risultati conseguiti. Niente di questo è avvenuto e si è preferito ripartire con altri programmi improvvisati, ognuno diverso dall’altro, senza avvantaggiarsi delle competenze acquisite.

Mancano politiche coraggiose a favore degli svantaggiati. Come ha scritto Walter Tocci, “le strategie urbane sono rivolte allo sviluppo economico, ma trascurano la vita quotidiana”. Con qualche rara eccezione: a Milano, l’Amministrazione comunale ha previsto il recupero coattivo degli edifici degradati che costituisce “attività di pubblica utilità ed interesse generale”. A Roma nulla del genere: si potrebbero convertire i molti edifici ormai in disuso nelle zone periferiche ma non solo (San Lorenzo) in strutture per servizi o alloggi di edilizia residenziale sociale.

Nelle periferie andrebbero messe in campo energie della stessa qualità e spessore di quelle che hanno reso possibile la stagione dell’impegno per i centri storici durante  la quale sono state condotte indagini specifiche, formulate appropriate normative, sperimentate e affinate le tecniche di intervento.

Giancarlo Storto

28 novembre 2022

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

Vai a La città delle persone o la città della rendita? – il Convegno dei 10 anni di Carteinregola con le nostre richieste alla politica 15 novembre 2022

Vai alle Richieste di Carteinregola per le periferie: PeriferieLa città di tutti i cittadini/ Tante città disuguali

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