L’intervento di Barbara Pizzo, docente di urbanistica alla Sapienza, Università di Roma Presidente di Roma Ricerca Roma alla conferenza No Bus Turistici in Centro – Sì a una Mobilità Sostenibile in Città 16 maggio presso la Stampa Estera
Roma, lo sanno tutti quelli che la studiano, ma anche tutti coloro che la conoscono per esperienza diretta, è una città piena di contraddizioni, e anche sorprendente.
È la città con il patrimonio storico-artistico più ricco al mondo in termini quantitativi, per numero di beni: archeologici, storici, architettonici; per il loro livello di concentrazione, e per varietà di tipologie ed epoche storiche. Alcuni, più spesso singolarmente, sono ben conservati.
Tuttavia, complessivamente aumenta la percezione di un crescente stato di abbandono e di un diffuso degrado.
Esito di una stratificazione ininterrotta di quasi tre millenni di storia – riconoscibile negli assemblaggi di palazzi, chiese, sistema viario e tessuti edilizi, rintracciabile nell’intero territorio comunale, fino alle sue estreme propaggini dove, in particolare lungo le vie consolari, si trova una percentuale importante dei beni e molti siti di notevole interesse storico-archeologico –, il patrimonio romano testimonia una realtà urbana complessa.
In questo lunghissimo arco temporale, i beni sono stati progettati, costruiti, usati, modificati, a volte abbandonati, spoliati, e poi di nuovo riusati e reintegrati nella vita della città – ma questa fondamentale operazione di continua risignificazione e (re)integrazione sembra essere sempre più complicata, forse addirittura interrotta: il patrimonio è interpretato come risorsa da sfruttare o come ostacolo, come impedimento allo svolgimento della vita quotidiana degli abitanti, che sono spesso esasperati, mentre la città nel suo complesso diviene progressivamente meno invitante e meno accogliente anche per i turisti.
In un recente rapporto dell’Ufficio statistica di Roma Capitale, si legge infatti che: “Con 121 strutture, Roma ospita il numero più alto di musei, aree archeologiche e monumenti (statali e non statali–comunali o privati, esclusi i musei vaticani) [rispetto a quelli] dislocati in tutti i comuni italiani, pari al 2,5% del totale. In media negli altri grandi comuni questa percentuale è dello 0,7%”. Rispetto al numero di visitatori, di musei, aree archeologiche e monumenti “Il numero annuo di visitatori delle strutture museali e monumentali romane è pari ad oltre 25 milioni 542 mila persone, pari al 21,2% dei visitatori di tutte le strutture espositive situate in Italia. La media degli altri grandi comuni è di 3,0%.
Però, in termini di spesa corrente Roma spende 33,3 euro pro capite per la valorizzazione del proprio patrimonio culturale, contro 41,1 euro pro capite spesi in media dagli altri grandi comuni italiani (particolarmente elevata la distanza con Firenze che spende 101 euro pro capite). Quindi, si investe poco nel patrimonio che abbiamo ereditato, rischiando di non essere in grado neppure di mantenerlo, di prolungarne la vita.
Peculiare espressione, questa del “paesaggio del luogo di vita” in cui parzialmente risuona la definizione di paesaggio contenuta nell’omonima Convenzione Europea (datata 2000), peraltro mai davvero presa in considerazione, ma che lascia intendere quale è il problema.
Il problema sono le condizioni che (impropriamente) potremmo definire “al contorno”, l’ambiente urbano del quale musei e monumenti sono inestricabilmente parte.
I dati ci aiutano a leggere una realtà che conosciamo: i turisti arrivano a Roma come “meta da non perdere”, visitano tutto quello che sanno di dover vedere, a volte come fossero prescrizioni mediche, o punti-elenco da spuntare, e si affrettano a ripartire. Di solito non ritornano.
In un documento elaborato all’interno di un gruppo di lavoro dell’Associazione Roma Ricerca Roma, che rappresento, ragionando sul patrimonio scrivevamo che “Per definizione, il patrimonio (culturale) è politico, in quanto implica scegliere tra alternative, che ci sono sempre, rispetto a cosa-come conservare e progettare l’esistente. La concezione patrimoniale sottesa alla sua interpretazione e gli approcci operativi che ne derivano, sono un banco di prova decisivo per le politiche cittadine, perché le scelte che si prendono possono essere irreversibili, e sempre dicono del sistema valoriale che le ha prodotte” [https://www.ricercaroma.it/patrimonio/].
Roma è una città piena di contraddizioni, si diceva.
Si discute da tempo della “modernità anti-moderna” di Roma, e delle qualità che connetterebbero direttamente il suo passato con il futuro – non saprei dire che ciò sia possibile. Quello che è certamente problematico è però il suo presente.
Le scelte di tutela storico-archeologica, ora intrecciate strettamente con quelle ambientali-ecologiche, hanno bisogno di un quadro di senso condiviso di lungo periodo, che ad oggi sembra mancare.
In assenza di un tale quadro condiviso, si procede per iniziative singole, dei vari assessorati, dei vari uffici, che non trovano coerenza.
Si pensa, e giustamente, di limitare il traffico privato nel centro, ma da un lato si tralasciano e sottovalutano le condizioni di grave insufficienza e inefficienza del servizio pubblico, dall’altro sembra si ignori che lo stesso centro è attraversato dai sempre più numerosi SUV, ormai modello di auto dominante, auto ad elevato “consumo di suolo pubblico” e comunque totalmente incompatibile con le stradine strette dell’area più centrale quali quelle dell’ansa barocca, ma per i quali evidentemente sono stati rilasciati i permessi.
Si propone l’allargamento della ZTL all’intero anello ferroviario, ma si permette ai bus turistici di penetrare la città da ogni direzione, e di sostare, spesso a motore acceso, per ore, in aree semi-centrali e centrali, con impatti negativi in termini di inquinamento dell’aria e acustico, particolarmente per i residenti delle aree nelle quali sono presenti gli stalli (i parcheggi autorizzati), e sul patrimonio storico-architettonico.
Tipicamente si giustifica l’estrema difficoltà (quando non l’impossibilità) di costruire nuove metropolitane con la presenza dei molti strati archeologici, ma intanto si permette ai bus turistici di occupare interi tratti delle mura aureliane, dell’area limitrofa a quella archeologica delle terme di Caracalla, e di numerosi altri luoghi ad altissimo valore testimoniale, che risultano a rischio di compromissione, anche per danni chimici e fisici alle strutture.
La questione dei pullman turistici facilmente si presta ad essere etichettata come tipica espressione di un atteggiamento NIMBY, ma le ragioni che portano tantissime associazioni, comitati e singoli abitanti ad esprimere il loro malcontento è la preoccupazione per una evidente mancanza di prospettive di medio-lungo periodo sia rispetto ai flussi turistici che alle politiche del turismo più complessivamente.
Roma viene sempre più spesso presentata come una città turistica. Uno dei 4 progetti integrati del PNRR per Roma, quello che fa capo al Ministero del Turismo ed è noto con il nome di “Caput Mundi”, ruota precisamente su questa idea di città. Potremmo discutere tale idea di futuro, che non è necessariamente condivisibile e infatti non è da tutti condivisa, ma se vogliamo puntare sul turismo come settore economico trainante, dobbiamo quantomeno affrontarlo nella sua multidimensionalità e con una prospettiva seria di lungo periodo, perlomeno che non metta a rischio lo stesso patrimonio dal quale trae origine.
È assolutamente necessaria una riflessione a partire da dati aggiornati sul turismo: i dati attualmente disponibili, se incrociati, evidenziano incongruenze e lacune che non permettono alcuna politica seria di governo del fenomeno.
Lo stesso vale, nello specifico, per la questione dei pullman turistici. Non si hanno dati certi e aggiornati sul numero complessivo dei pullman che entrano a Roma.
Attualmente sappiamo che gli stalli disponibili nei 55 parcheggi dedicati sono 670, sembrano un’enormità, ma sappiamo, dallo studio elaborato per il Giubileo del 2000, che già in quello studio le previsioni erano per numeri anche maggiori. Tale pressione non può essere sostenuta dai tessuti storici, e neppure dai quartieri abitati più recenti, sia perché, come prima accennato, la vita del patrimonio storico non è indipendente dalla vita quotidiana dei cittadini, sia perché sappiamo che, almeno nelle condizioni attuali, lo scambio con il trasporto pubblico è irrealistico e improponibile.
Come uscire da questa impasse? Come superare l’ennesima emergenza?
La proposta di ripartire dal piano elaborato per il Giubileo del 2000 è una strada, che va intesa prima di tutto nel senso di riprendere quel tipo di approccio e quel metodo di lavoro.
Le politiche del turismo (o meglio, l’assenza di una politica del turismo organica e di lunga durata), devono essere affrontate con un confronto tra tutte le parti in vario modo coinvolte, e certamente con un confronto interistituzionale aperto alle forze sociali per superare efficacemente almeno i problemi più urgenti – tra i quali la relazione attualmente molto problematica tra industria turistica, transizione ecologica e lotta al cambiamento climatico –, e le più palesi incongruenze che emergono proprio mettendone a confronto obiettivi e strategie.