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Piano casa e villini abbattuti. Per orientarsi sui percorsi possibili

demolizione della palazzino di Via Ticino - foto Nathalie Naim

demolizione della palazzino di Via Ticino – foto Nathalie Naim

Una disamina di Paolo Gelsomini sul complesso quadro normativo in cui si è inserito il Piano casa regionale e su quali leggi  e normative potrebbero offrire la possibilità di “limitare i danni”

Piano casa e villini abbattuti. Un tentativo di orientarsi su percorsi possibili

 di Paolo Gelsomini

Gli ultimi sviluppi degli effetti del Piano Casa regionale, la lunga fila dei villini per i quali è stato richiesto il permesso di demolizione e ricostruzione con premio di cubatura in deroga al PRG, alcune interviste rilasciate dagli assessori all’Urbanistica regionale e comunale e dal Soprintendente Prosperetti, l’acceso dibattito in corso, ci inducono ad approfondire ancora lo studio sulla complicata vicenda degli effetti del Piano Casa regionale e sulle reali possibilità di intervento da parte del Comune, della Soprintendenza statale e della Sovrintendenza capitolina per controllare ed indirizzare le azioni e le conseguenze delle demolizioni e delle ricostruzioni di villini nelle aree di pregio della Città Storica prodotte dal Piano casa regionale in vigore fino a giugno 2017.

Si tratta di verificare se, come sostenuto da alcuni, per le domande di rilascio del permesso a costruire già avanzate, il Comune abbia competenza e possibilità di intervenire per indirizzare gli interventi del Piano casa e per limitare almeno in parte le deroghe al PRG, o se tali deroghe siano automatiche. E contemporaneamente si tratta di capire se le Soprintendenze statali, ognuna per la propria competenza, e la Sovrintendenza comunale possano condizionare con i loro pareri le azioni del Comune nel rilascio dei permessi di costruire in deroga.

Come è noto, il cosiddetto “Piano Casa” nato nel 2009 e modificato successivamente durante la presidenza Polverini e ancora dal Presidente Zingaretti nel 2014, che ne ha prorogato gli aspetti edilizi mantendendone sostanzialmente inalterato l’impianto, dopo averlo liberato da alcuni aspetti oggettivamente illegittimi, agisce in deroga al PRG del 2008 introducendo criteri, ambiti di applicazione, regole, premialità non sottoposti alla pianificazione e alle decisioni dei Comuni.

Che cosa può fare il Comune sul permesso di costruire in deroga
Ma è proprio vero che il Comune non possa fare nulla? Dopo i casi di via Ticino, Villa Paolina e piazza Caprera, sono stati dati altri sei permessi per demolire e ricostruire e decine sono le richieste simili nei quartieri storici, da Prati a Coppedè, dal quartiere Trieste ai Parioli, al Pinciano.
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall’articolo 14 D.P.R. 380/01 e mediante la specifica procedura.

Al di fuori dei limiti indicati dalla disposizione contenuta nell’art. 14 D.P.R. n.380/01 (Testo Unico dell’Edilizia), viene a configurarsi un’ipotesi di variante urbanistica la cui approvazione è soggetta alla specifica disciplina.

Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali, normalmente è un’”eccezione alla regola”, rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (ora decreto legislativo n. 42 del 2004 meglio conosciuto come Codice dei Beni Culturali) e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.

Con le modifiche al Piano Casa della Regione Lazio operate dall’amministrazione Polverini nel 2011 e nel 2012, viene invece introdotta – in ben 6 articoli del Piano – la possibilità, per i casi contemplati, di derogare “alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti o adottati”. Deroghe rimaste invariate nei corrispondenti articoli del Piano Casa varato dall’amministrazione Zingaretti.

La deroga (fermo restando il rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza), non può però riguardare i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

Il decreto ministeriale n.1444/68 fissa infatti i limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi.

Inoltre fissa i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi e le quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee.

Quindi il DM 1444/68 rappresenta un importante “paletto”, in quanto impone dei limiti negli art.7,8 e 9 (1) che non possono essere superati da una Legge regionale e dei quali l’Assemblea comunale che rilascia il permesso di costruire in deroga, in base all’art.14 del DPR 380/01, deve tener conto.

Inoltre,   un altro strumento che il Comune può utilizzare per il governo del territorio , è costituito dalla Carta per la Qualità di cui all’art.16 delle NTA (Norme Tecniche Attuative) del Piano Regolatore.

Alcuni dei villini da abbattere sono contenuti nella Carta della Qualità del PRG di Roma, dove sono individuati gli elementi che presentano particolare valore urbanistico, architettonico, archeologico e monumentale, culturale, da conservare e valorizzare.

Se gli elementi inseriti nella Carta per la Qualità sono tutelati per legge, l’approvazione dei relativi progetti è subordinata al parere favorevole delle Soprintendenze statali competenti o della Regione, secondo le rispettive competenze. (art.16 comma 9 delle NTA di PRG).

Se gli elementi inseriti nella Carta per la Qualità non sono tutelati per legge, l’approvazione dei relativi progetti è subordinata al parere favorevole della Sovrintendenza comunale. (art.16 comma 10 delle NTA di PRG).

C’è quindi un filo che lega l’azione del Comune a quella della Soprintendenza statale ed alla Sovrintendenza comunale. Intanto spetta al Comune aggiornare l’elenco degli edifici da inserire nella Carta della Qualità ed è compito della Soprintendenza tutelare gli edifici in conformità al Codice dei Beni culturali.

Vincoli e tutele

All’interno dell’articolo 2 del Piano casa regionale riguardante gli Ambiti di applicazione per gli interventi di ampliamento, ristrutturazione e di sostituzione edilizia degli edifici, è specificato che il Piano non si applica, oltre che per gli edifici abusivi, anche per gli edifici situati nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal PTPR (Piano Territoriale Paesistico Regionale del Lazio) il quale, a sua volta, all’art. 43 esclude il centro storico di Roma dall’obbligo di richiedere per gli interventi edilizi l’autorizzazione paesaggistica in quanto nelle “parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco è prescritta la redazione del Piano Generale di gestione per la tutela e la valorizzazione previsto dalla Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale”.

Tutto ciò malgrado il Piano di Gestione del Sito UNESCO , approvato con delibera del Commissario Straordinario del 29 aprile 2016 n. 62, affermi esplicitamente (pag 28 primo paragrafo): “Il PTPR ha rinviato al Piano di Gestione la formulazione delle indicazioni relative all’insediamento urbano storico corrispondente al sito UNESCO di Roma, attribuendo impropriamente al Piano di Gestione un ruolo di sorgente normativa. Compito del Piano di gestione è svolgere un coordinamento tra diversi i livelli di pianificazione per mantenere nel tempo l’integrità dei valori che hanno consentito l’iscrizione sulla lista del Patrimonio Mondiale. Risulta pertanto necessario eliminare tale rinvio, integrando il PTPR con le specifiche disposizioni di tutela previste per l’insediamento urbano storico e le relative procedure (….)”.

Il Piano Casa non si applica agli edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.

Secondo il D.lgs.vo 42/2004 art.146 c.5 “sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la Regione dopo aver acquisito il parere vincolante del Soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla Legge”.

Ma nel PTPR, si legge all’art.5 c.3 che “non sono beni paesaggistici quelli derivanti da individuazioni di natura urbanistica ovvero originati da destinazioni degli strumenti urbanistici comunali”.

Sembra quindi che la salvaguardia del vincolo paesaggistico in insediamenti urbani storici sia alquanto debole, senza un intervento deciso della Soprintendenza che riconosca una valenza storico-architettonica a particolari aree della città storica.

Il Piano casa non si applica neanche per gli immobili vincolati ai sensi della parte II del D. Lgs.vo 42/2004 dove gli interventi sono consentiti previa autorizzazione dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo secondo quanto previsto dall’art.146 dello stesso Decreto.

Ebbene, è accertato che queste aree e questi immobili vincolati sono pochi e male distribuiti, rispetto all’omogeneità dei contesti urbanistici e storico-architettonici, di fronte alle esigenze di tutela dell’area storica più grande e più pregiata del mondo ed alle impellenti urgenze derivanti proprio da strumenti come i Piani Casa.

A questo aggiungiamo il fatto che nel 2012 il Comune di Roma – allora era Sindaco Gianni Alemanno – non sfruttò pienamente la possibilità che veniva offerta dal Piano Casa del 2011, che all’art.2 comma 4 accordava ai Comuni la facoltà di individuare, entro il termine perentorio del 31 gennaio 2012, “ambiti del proprio strumento urbanistico ovvero immobili nei quali, in ragione di particolari qualità di carattere storico, artistico, urbanistico e architettonico, limitare o escludere gli interventi previsti dal presente articolo…”.

Allora con una Delibera (9/2012) “Disposizioni in ordine all’attuazione del Piano Casa della Regione Lazio“, l’Assemblea Capitolina escluse dall’applicazione del Piano casa, in ragione delle particolari qualità di carattere storico i tessuti di origine medievale (T1), i tessuti di espansione rinascimentale e moderna preunitaria (T2), i tessuti di ristrutturazione urbanistica otto-novecentesca (T3), e i Nuclei storici isolati (T10) pur se esterni all’insediamento urbano storico individuato nel PTPR ed anche alcune aree comprese nella Carta per la Qualità. Proprio riguardo alla Carta per la Qualità, nelle more della sua revisione, la delibera 9/2012 dispose di evitare l’applicazione incondizionata ed indiscriminata della Legge Casa per quegli edifici, per i quali permaneva comunque l’esigenza della loro tutela, ancorché subordinata ad una valutazione tecnica circa l’attualità del loro valore artistico ed architettonico.

Insomma questa facoltà concessa allora al Comune di controllare e limitare l’applicazione del Piano Casa venne sfruttata molto parzialmente ed i fatti dei villini da abbattere che oggi vengono alla luce, lo stanno a dimostrare.

E comunque non fu più offerta al Sindaco Marino in occasione della proroga approvata dal Consiglio regionale nell’ottobre 2014 che ha permesso di mantenere vigenti le norme derogatorie fino al 31 gennaio 2017 e poi ancora giungo 2017.

 

Compito della Soprintendenza, oltre a quello di condurre la fase istruttoria di una dichiarazione di interesse culturale, è quello di curare l’aggiornamento dell’elenco dei beni per cui è intervenuta tale dichiarazione e di avviare il procedimento anche su motivata richiesta della Regione e di ogni altro Ente territoriale interessato o su richiesta del proprietario.

Tra gli immobili oggetto di presunzione di interesse culturale sono compresi, secondo l’art.136 del Codice dei Beni Culturali, anche “le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza” (comma b); “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale inclusi i centri e i nuclei storici” (comma c); le bellezze panoramiche ed i punti di vista o di belvedere accessibili al pubblico dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze” (comma d).

E’ vero che l’attribuzione di un valore di contesto scaturisce da un dibattito culturale, ma come si fa a negare che piazza Caprera costituisce un ambiente unico fatto di architetture e di equilibri di masse, volumi, stili, colori? E così per via Ticino, per villa Paolina e per tutti quei villini che compongono la lunga lista degli edifici soggetti al Piano Casa.

 

Quindi non ci resta che augurarci che il Mibact e la Soprintendenza Speciale Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Roma estendano l’elenco dei Beni d’interesse culturale negli ambiti storici della Capitale e che il Comune faccia valere le prerogative ad esso assegnate dalla nuova Legge Regionale n.7 del 18 luglio 2017 sulla Rigenerazione Urbana e sul Recupero Edilizio e che aggiorni ed adegui rapidamente la Carta della Qualità prevista dal PRG.

Si deve assolutamente mantenere vivo il discorso della tutela del patrimonio architettonico, urbanistico, archeologico e paesaggistico spingendo tutte le istituzioni ad operare in questa direzione almeno per il futuro prossimo, a cominciare dall’applicazione della citata Legge Regionale sulla Rigenerazione Urbana.

Le possibilità da parte del Comune di orientamento della L.R.7/2017

Mentre rimandiamo a un paragrafo precedente che parla di che cosa possa fare il Comune sui permessi di costruire in deroga, ricordiamo che, secondo il comma 1 dell’art.3 della nuova Legge Regionale n.7/17 sulla Rigenerazione Urbana, i comuni, con una o più deliberazioni di consiglio comunale, individuano, anche su proposta dei privati, ambiti territoriali urbani nei quali, in ragione delle finalità di cui all’articolo 1, sono consentiti, previa acquisizione di idoneo e valido titolo abilitativo di cui al d.p.r. 380/2001 o del permesso di costruire convenzionato di cui all’articolo 28 bis del d.p.r. 380/2001, interventi di ristrutturazione edilizia e urbanistica o interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con il riconoscimento di una volumetria o di una superficie lorda aggiuntive rispetto a quelle preesistenti nella misura massima del 30 per cento.

Sarà importante stabilire i criteri di individuazione di questi ambiti territoriali. Da notare che mentre nel piano Casa i Comuni potevano escludere alcuni ambiti dall’applicazione di quella Legge, ora individuano gli ambiti di applicazione per gli interventi di questa Legge.

Il Comune avrà più potere e responsabilità nel trovare ambiti possibili di riqualificazione. Inoltre, è stato istituito dal Campidoglio il Co.qu.e. (Comitato per la qualità urbanistica ed edilizia). Con il compito di verificare la qualità dei progetti rispetto ai luoghi dove si inseriscono.

Conclusione

Bisogna rompere questo improduttivo cerchio di scarico di responsabilità e competenze che serpeggia tra le istituzioni, dalla Soprintendenza, alla Regione, al Comune. Crediamo che tutti a parole vogliano conservare e tutelare gli aspetti caratterizzanti degli spazi urbani che sono fatti di tante cose, dalla geometria e dalla pavimentazione di strade e marciapiedi, dallo stile dei lampioni e dalla qualità delle luci, dagli alberi, dai giardini e, naturalmente, dalla quinta degli edifici che delimitano e racchiudono questi spazi. Certo è che l’individuazione di Beni oggetto di presunzione culturale o della qualità dell’architettura è frutto del dibattito culturale che è mancato o si è svolto all’interno di ristretti cenacoli, ma è compito precipuo delle Soprintendenze, ognuna per la propria competenza, stabilire. Ed anche questo è mancato. Nei paragrafi precedenti abbiamo provato a delineare qualche strada su che cosa possa fare la Soprintendenza in termini di vincoli e tutele, semplicemente interpretando ed attuando quanto scritto nel d.l. 42/2004.

Anche il Comune dovrebbe fare di più in questa fase di gestione degli esiti della decaduta Legge Casa Zingaretti-Civita. Anche se il PRG è subordinato alla Legge Regionale, la Carta della Qualità, pur facendo parte del PRG, può richiamare interventi della Soprintendenza. Basta implementarla in fretta anche se il lavoro di individuazione di edifici ed aree non è semplice.

Ed inoltre, finchè esiste il D.M. 1444/68 (da più parti si levano voci per mutarlo profondamente e non è un caso), il Comune può verificare il rispetto intransigente degli standard previsti.

Il Comune può quindi utilizzare questi strumenti prima di accordare il permesso di costruire in deroga al PRG che, ricordiamo, deve essere deliberato dall’Assemblea capitolina secondo l’art.14 del DPR 380/2001.

Inoltre, come per la discussione di una variante urbanistica, anche un permesso di costruire in deroga deve avere la massima pubblicità.

Infine la Regione ha ancora tempo di migliorare la nuova Legge n.7/17 sulla Rigenerazione urbana anche sulla spinta del Comune di Roma che fino ad ora non ha neanche iniziato a delimitare gli ambiti di intervento di riqualificazione dove applicare la Legge.

Ma la Regione ha ancora tempo per modificare l’art.43 del PTPR (Piano Territoriale Paesistico Regionale) che, come scritto in precedenza, demanda il compito di tutelare il Centro Storico di Roma al Piano di Gestione del sito Unesco approvato con delibera del Commissario Straordinario del 29 aprile 2016 n. 62. Ripetiamo, quanto già scritto in un paragrafo precedente, che Il testo di questo Piano di Gestione afferma esplicitamente (pag 28 del primo paragrafo): “Il PTPR ha rinviato al Piano di Gestione la formulazione delle indicazioni relative all’insediamento urbano storico corrispondente al sito UNESCO di Roma, attribuendo impropriamente al Piano di Gestione un ruolo di sorgente normativa. Compito del Piano di gestione è svolgere un coordinamento tra diversi i livelli di pianificazione per mantenere nel tempo l’integrità dei valori che hanno consentito l’iscrizione sulla lista del Patrimonio Mondiale. Risulta pertanto necessario eleminare tale rinvio, integrando il PTPR con le specifiche disposizioni di tutela previste per l’insediamento urbano storico e le relative procedure (….)”.

Insomma, ci pare da questa disamina che ognuno abbia il suo ruolo e le sue possibilità per intervenire nel quadro istituzionale per la tutela dei Beni di interesse culturale di questa Città.

Fare polemiche e lanciarsi reciproche accuse non è un bel segnale, soprattutto di fronte a fatti che hanno sconcertato la pubblica opinione come l’abbattimento dei primi villini ai quali, purtroppo, altri ne seguiranno.

Conservare contesti urbani e paesaggistici non vuole dire ingessare la Città ma valorizzarla e lasciare gli interventi di demolizione e ricostruzione solo a quegli ambiti da risanare, da riqualificare, da densificare, da adeguare agli standard.

E non è certo il caso di via Ticino o di piazza Caprera o di villa Paolina.

Infine, per adeguare un edificio agli standard energetici o alle prescrizioni antisismiche, non sempre è necessario demolire e ricostruire. Si può intervenire in altro modo, altrimenti dovremmo demolire e ricostruire tutta Roma.

> vedi anche Piano casa storia cronologia e materiali

> Vedi anche Tutto quello che avreste voluto sapere sulle demolizioni del Piano Casa 8 febbraio 2018

NOTE:

(1)

art. 7. Limiti di densità edilizia

I limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone territoriali omogenee sono stabiliti come segue:

1) Zone A):

– per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni conservative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico;
– per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della zona e, in nessun caso, i 5 mc/mq;

2) Zone B): le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli artt. 3, 4 e 5.
Qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai seguenti limiti:

– 7 mc/mq per comuni superiori ai 200 mila abitanti;
– 6 mc/mq per comuni tra 200 mila e 50 mila abitanti;
– 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50 mila abitanti.
Gli abitanti sono riferiti alla situazione del Comune alla data di adozione del piano.
Sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando esse non eccedano il 70% delle densità preesistenti.

3) Zone C): i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla combinata applicazione delle norme di cui agli artt. 3, 4 e 5 e di quelle di cui agli artt. 8 e 9, nonché dagli indici di densità fondiaria che dovranno essere stabiliti in sede di formazione degli strumenti urbanistici, e per i quali non sono posti specifici limiti.

4) Zone E): è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc 0,03 per mq.

art. 8. Limiti di altezza degli edifici.

Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A):

– per le operazioni di risanamento conservativo non è consentito superare le altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture;
– per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l’altezza massima di ogni edificio non può superare l’altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico;

2) Zone B):

– l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all’art. 7.

3) Zone C:

– contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A): le altezze massime dei nuovi edifici non possono superare altezze compatibili con quelle degli edifici delle zone A) predette.

4) Edifici ricadenti in altre zone: le altezze massime sono stabilite dagli strumenti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i fabbricati di cui al successivo art. 9.

art. 9. Limiti di distanza tra i fabbricati

Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.
Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

– ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7.
– ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
– ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

 

 

 

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