Quali regole per il #PatrimonioComuneRoma – 1. Per un uso pubblico dei beni
Autore : Redazione
Villino Leopardi, sulla Nomentana, un immobile in stato di abbandono
Con la bozza di Proposta di delibera di iniziativa consiliare dal titolo: “Regolamento delle concessioni dei beni immobili appartenenti al patrimonio demaniale e indisponibile di Roma Capitale” a firma dei consiglieri M5S Ardu, Iorio, Sturni, Simonelli, Spampinato, Diario, Catini, presentata in Commissione Patrimonio il 31 gennaio 2020 (1), si apre un confronto su uno dei tanti “rimossi” di questa città, che possiede un patrimonio sterminato che, non va dimenticato, è anche la base del bilancio della Capitale. Una proprietà pubblica che può esser vista, a seconda dello sguardo, come un “peso” – per la mancanza di fondi per la manutenzione e la gestione -, come un giacimento economico per “fare cassa”, come un’occasione per i privati di ricavare profitti, oppure come un’opportunità per migliorare la vita degli abitanti e “fare comunità” nei tanti territori, preservando l’eredità pubblica per le generazioni future.
Proponiamo una serie di approfondimenti in parallelo al percorso avviato dalla Commissione per l’analisi e le modifiche della bozza di Regolamento, augurandoci che il dibattito sul tema si allarghi a tutta la città, per coinvolgere le tante realtà della società civile, e arrivare a un risultato che sappia dare risposte secondo giustizia per gli immobili inutilizzati, ma anche per quelli gestiti a vario titolo da privati. Sapendo riconoscere, per questi ultimi, il valore sociale di chi si è impegnato al servizio delle comunità, dall’arbitrio di chi ha utilizzato beni comuni per fini meramente privatistici o commerciali.
Ormai 4 anni fa, in piena campagna elettorale comunale, avevamo inviato un elenco di punti ai candidati Sindaco – 12 “patate bollenti” che il primo cittadino si sarebbe trovato sul tavolo all’indomani dell’elezione (2) – chiedendo di conoscere prima del voto come intendevano affrontarli. Virginia Raggi non ci aveva risposto (3). La “patata bollente numero 6” era il patrimonio pubblico, un tema che in questi tre anni e mezzo di consiliatura pentastellata è diventato di estrema attualità e ha creato non pochi conflitti, e che ora, a un anno dalle prossime elezioni, si affaccia in un Regolamento per iniziativa di alcuni consiglieri di maggioranza.
Ma in realtà il tema “patrimonio pubblico demaniale e indisponibile ” – non solo comunale – è composto a sua volta da innumerevoli patate bollenti, che solo in parte sono affrontate con la dovuta consapevolezza e lucidità, nonostante il dibattito in corso, che comprende anche quello aperto dalla Delibera di iniziativa popolare di un Regolamento mutuato dal modello di Labsus (4), che è anche alla base del recente Regolamento regionale (5) .
Proviamo a porre alcuni spunti di riflessione che come Carteinregola stiamo affrontando nel nostro laboratorio, per capire il percorso migliore per coniugare l’uso e le destinazioni del patrimonio collettivo con l’uso e l’interesse pubblico, il valore sociale e le regole uguali per tutti.
In particolare tre sono i nodi da affrontare con scelte democratiche e trasparenti:
- USO PUBBLICO DEI BENI: come garantire l’uso pubblico del patrimonio (impiegandolo per scopi sociali, culturali ecc), considerando che molti immobili pubblici richiedono investimenti consistenti per il loro utilizzo (con il corollario di quali modalità possono essere adottate per garantire l’uso pubblico e nello stesso tempo una sostenibilità economica degli interventi)
- QUALI REGOLE PER IL FUTURO: con quali modalità e a quali condizioni (compresa la durata della concessione) gli immobili devono essere affidati a privati (categoria in cui sono compresi i soggetti non profit)
- QUALI REGOLE PER IL PRESENTE con quali criteri affrontare la situazione – riportandola nel perimetro di regole condivise – degli immobili attualmente gestiti da soggetti privati, aventi formalmente titolo e non aventi titolo
La storia infinita
Ne La Storia infinita, un mondo fantastico è attaccato dal Nulla, una sorta di buco nero che risucchia le sue terre pezzo dopo pezzo. Così sta accadendo da anni nella Capitale (e non solo), dove il patrimonio pubblico, un pezzo alla volta, passa inesorabilmente in mani private, mentre il percorso opposto è un evento sempre più raro (6). L’eredità conquistata dal lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto e che dovremmo conservare per restituirla alle generazioni che abiteranno la città dopo di noi, si sta sempre più riducendo, non per una nuova redistribuzione di spazi e risorse che incrementano – o quantomeno mantengono invariato – il patrimonio collettivo, ma per una rincorsa perdente a un debito sempre incolmabile o per la cronica mancanza di fondi che obbliga l’amministrazione pubblica a cedere beni che non è in grado di mantenere, restaurare, utilizzare.
Ma contemporaneamente aumentano anche le proprietà pubbliche vuote o sottoutilizzate, spesso abbandonate al degrado, con il perpetuarsi della paradossale situazione dei tanti immobili (non solo comunali) inutilizzati, o impropriamente destinati, a fronte degli esorbitanti affitti pagati a privati per uffici e locali ad uso dell’amministrazione, o a fronte dell’emergenza abitativa, che in realtà riguarda un numero di famiglie che potrebbe essere drasticamente ridimensionato varando politiche della casa diverse (7), per non parlare dei tanti bisogni della cittadinanza che non può permettersi servizi man mano privatizzati, o l’assenza di spazi di incontro e di scambio che sarebbero preziosi per una capitale sempre più dispersa e individualista.
Quale città pubblica
Del patrimonio pubblico presente a Roma fanno parte anche beni di proprietà regionale e statale, da sempre oggetto di propositi di censimento ma in realtà mai arrivati a un vero database completo e consultabile agevolmente dai cittadini (8).
E qualunque iniziativa positiva di utilizzo del patrimonio in funzione dell’interesse pubblico non può che partire dalla trasparenza e da un censimento dei beni pubblici, delle loro destinazioni, dei soggetti pubblici e privati a cui è affidato, delle condizioni e della reale gestione.
E questo vale per tutte le proprietà pubbliche: gli edifici dismessi, le aree verdi, gli appartamenti, gli impianti sportivi, i locali commerciali, i cinema, i mercati rionali, i chioschi, lo spazio pubblico.
Ma anche e soprattutto per gli immobili pubblici che possono essere utilizzati per migliorare la vita e il benessere della cittadinanza
A cosa serve il Patrimonio Pubblico
Il patrimonio pubblico non è tutto uguale. C’è un patrimonio demaniale che non può nè potrà mai essere ceduto a privati , e un patrimonio che si divide in “disponibile” (che può essere concesso, affittato e anche ceduto se non serve più) e “indisponibile” (che non può essere venduto perchè destinato a fini pubblici)(9); il confine di queste ultime due categorie è divenuto nel tempo sempre più labile, dato che, con una decisione istituzionale o un provvedimento amministrativo, si può trasformare un bene indisponibile in una fonte di ricavo economico (10), i cui proventi finiscono poi facilmente dispersi nel mare dei debiti, dei costi e degli sprechi della pubblica amministrazione.
Ma mai come nel caso di un Regolamento del patrimonio pubblico indisponibile, si manifesta con evidenza la visione politica di chi lo promuove, perchè si concretizzano, senza schermi retorici, le scelte amministrative che riguardano il rapporto pubblico/privato e lo spostamento dell’ago della bilancia in una direzione o in un’altra.
In particolare, riguardo all’uso degli immobili, si possono individuare due fronti. Il primo è quello che si conforma allo “status quo” , cioè che si pone l’obiettivo di una regolazione “semaforica” tra i vari soggetti in campo, dando per scontata la mancanza di risorse pubbliche per ristrutturazioni e manutenzioni dei beni, e anche la burocrazia e la carenza di personale che “rendono inefficiente” o addirittura “impossibile” la gestione pubblica, il cronico bisogno di fondi dell’amministrazione, l’ammaloramento del patrimonio pubblico non utilizzato. Un fronte che di fatto promuove l’affidamento di una quota sempre maggiore di patrimonio collettivo a privati, con una vendita vera e propria, o con una concessione per fini commerciali, magari per un lunghissimo lasso di tempo (11), o tramite “soluzioni contentino”, come per esempio l’affidamento di un intero immobile per attività a fini di lucro in cambio di una stanzetta da destinare a qualche associazione caritatevole o a un comitato di quartiere.
Anche il Regolamento dei beni comuni mutuato dal modello di Labsus sembrerebbe rientrare, in parte, in questo fronte (4), dato che lascia in sospeso un aspetto fondamentale che riguarda l’uso pubblico di beni di grande valore economico: infatti, se si fa un tutt’uno, nella definizione di “cittadini attivi”, della società civile e delle “realtà imprenditoriali”, e si prevede, con i “patti complessi” che l’Amministrazione possa affidare a quei “cittadini attivi/raeltà imprenditoriali” beni pubblici importanti che richiedono consistenti finanziamenti per la loro ristrutturazione e gestione, ci si può chiedere quale soggetto imprenditoriale potrebbe voler finanziare con consistenti fondi il recupero di un bene pubblico e la sua gestione senza contropartite di profitto (12).
L’altro fronte vede invece nel patrimonio pubblico come un’opportunità straordinaria per migliorare la vita dei cittadini, offrire un tetto o un’opportunità di lavoro a chi non ce l’ha, colmare le disuguaglianze, ricostruire il tessuto sociale dei quartieri con centri di incontro, di servizio, di cultura.
Una prospettiva che non è un’utopia, e non dovrebber esserlo almeno per quella parte della classe politica che si impegna per un Paese, e per una Capitale, migliore.
Gli strumenti e le strategie si possono trovare, per trasformare questo enorme patrimonio inutilizzato nel volano di una nuova rinascita della città, partendo dai bisogni dei cittadini e coinvolgendo la cittadinanza in un dibattito ben più ampio di quello finora avviato dalle amministrazioni che hanno messo mano alle regole.
In casi particolari e limitati, si può operare una valutazione degli immobili non più utili (13) – da cedere o mettere a reddito – con criteri chiari e trasparenti – così da poter utilizzare i ricavi per i lavori di restauro e rimessa in uso degli immobili destinati all’uso sociale, affidando agli enti di prossimità, come già avviene in parte in alcuni Municipi di Roma (14) gli immobili sul territorio che non siano sottoposti a vincoli particolari.
La sostenibilità economica, il mantra che spesso ferma ogni proposta, deve essere declinata in funzione dell’interesse pubblico e del valore sociale, non il contrario. E l’affermazione che “il patrimonio immobiliare capitolino costituisce una fondamentale risorsa economica, strumentale a garantire l’autonomia finanziaria della comunità locale” non può essere la premessa di un regolamento che si occupa di quella grandissima parte di patrimonio comune gestito da soggetti privati che svolgono un servizio per la collettività, che non possono fornire contropartite finanziarie, ma che costituiscono importanti presidi sociali, spesso in supplenza dell’Amministrazione.
Molte realtà che utilizzano o utilizzeranno immobili comunali sono gestite da volontari, che non sono in grado di sostenerne economicamente gli oneri di attività ad alto valore sociale che saranno sempre inevitabilmente in perdita, tanto che, oltre all’abbattimento del canone, avrebbero bisogno di altre forme di sostegno pubblico, mentre altre realtà si possono mantenere con piccole attività commerciali. Per tutte, il metro economico non può essere il parametro più indicato, se non gli si affianca – o sostituisce – il valore sociale.
Ma solo rimettendo al centro l’uso pubblico e la destinanzione senza fini di lucro del patrimonio indisponibile si possono costruire delle regole che permettano di mettere i beni al servizio dei cittadini e dei territori. Cittadini e territori che devono essere informati e coinvolti nell’attuale dibattito sul Regolamento, che potrà avere effetti benefici sulla collettività solo nella misura in cui la collettività ne sarà stata protagonista.
(1. continua)
14 febbraio 2020
Anna Maria Bianchi Missaglia e il Gruppo Patrimonio di Carteinregola
> Scarica la bozza di Regolamento dal link profilo Facebook del Presidente della Commisione patrimonio Ardu (dal 4 febbraio 2020) https://drive.google.com/file/d/1Fvp48-pgzgSPvx18yN95xL1xieDRIn87/view?fbclid=IwAR3lT1YeoAezx6jM2RZWow8HPXSHB7jdqyIvJ4NGZmsBS4GS6LMqBXGfvWI
> Vai a Patrimonio Comune – cronologia e materiali
> Vai a Regolamento patrimonio indisponibile: la proposta di CILD per le premesse (bozza) 24 febbraio 2020
NOTE
(1) vedi il nostro report e commento della Commissione del 31 gennaio 2020: Il Regolamento per la concessione dei beni indisponibili di Roma non è un tema di routine
Punto 6) Proprietà pubbliche. L’enorme patrimonio pubblico della città di Roma appare completamente fuori controllo. Le informazioni non sono accessibili, spesso neanche alla stessa amministrazione; i privati a cui sono stati affidati appartamenti, locali, immobili, terreni, impianti sportivi, etc spesso pagano canoni ben al di sotto del valore di mercato, in molti casi hanno concessioni che prevedono servizi alla cittadinanza mai attivati e/o sono morosi da anni e soprattutto quasi sempre hanno avuto l’assegnazione di un bene pubblico senza alcun procedimento di evidenza pubblica. Nello stesso tempo vengono sfrattati da proprietà pubbliche cittadini e associazioni che hanno utilizzato quei beni, spesso in abbandono, per offrire servizi alla collettività. Come pensa la nuova amministrazione di riportare il patrimonio pubblico all’interno di un sistema di regole eque e trasparenti, rendendo le proprietà pubbliche un patrimonio al servizio dei cittadini e non degli speculatori privati?
(3) In realtà – abbiamo appreso un anno dopo – un documento era stato predisposto dal Tavolo della Libera urbanistica, a noi mai inoltrato. vedi
Quelle risposte mai arrivate … “
RISPOSTE REFRIGERANTI PER PATATE BOLLENTI“, scarica
patate refrigerate
(4) vedi
(6) Sono una virtuosa eccezione i beni confiscati alle mafie e ai soggetti normalmente dediti a traffici delittuosi
e molti altri
(8) Uno dei censimenti annunciati, ma in realtà ancora mancati è stato quello della “carta della Città pubblica” lanciata dall’allora Assessore Caudo, che a oggi risulta poco utilizzabile e incompleta vedi
Ecco la Città Pubblica – 5 febbraio 2015
(11) Poichè nella stragrande maggioranza dei casi i tempi della concessione, in partenza limitati, possono essere ampliati in funzione dell’equilibrio economico che il concessionario deve raggiungere per i lavori di manutenzione straordinaria dei beni, la durata può raggiungere decine di anni (e anche quel “non oltre tot anni…”, talvolta inserito nei regolamenti è un limite assai flebile)
(12) la possibilità che un imprenditore privato finanzi opere pubbliche è prevista da molte fattispecie, dal mecenatismo, al project financing, senza che si debba ricorrere a un regolamento dei beni comuni classificando impropriamente “cittadino attivo” un soggetto che investe sull’immagine del suo marchio o che fa un’operazione che risponde, almeno in parte, alle sue strategie aziendali
(13) Non tutto il patrimonio immobiliare, può essere utilizzato a fini pubblici e sociali. Ad esempio sia durante la consiliatura Alemanno, sia durante la Consiliatura Marino, si erano lanciati allarmi per la possibile svendita di immobili comunali anche in luoghi di pregio. In realtà, con delle differenze (come ad esempio la sciagurata intenzione della Giunta di centro destra di vendere i terreni su cui insistevano le pompe di benzina), come ha potuto accertare chi scrive con un’indagine non sistematica ma abbastanza significativa, si trattava in grandissima parte di immobili difficilmente utilizzabili o di scarso valore immobiliare, spesso di pochi metri quadri (persino piccoli antri per depositare gli attrezzi di lavoro dei netturbini).