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Ri-conoscersi come comunità a Roma

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Tor Sapienza Foto ambm

Dalla testata on line  Comune Info proponiamo questo intervento di Antonio Castronovi*  del 10 agosto 2016

Una delle patologie più gravi di cui soffre Roma, soprattutto per effetto del dissennato consumo di suolo e della riduzione della città a merce, è un gigantismo urbano che è riuscito a snaturarla svilendone la sfera pubblica e il tessuto democratico. La politica è stata impotente o al servizio degli interessi privati e speculativi. Oggi c’è bisogno di una nuova democrazia popolare, capace di uscire dalla logica centro-periferia e di offrire alle molte città invisibili contenute nella capitale e ai loro cittadini la possibilità e la responsabilità di ri-conoscersi come comunità con proprie istituzioni di autogoverno a scala urbana e di quartiere. Perchè una nuova democrazia urbana non potrebbe fondarsi su un’articolazione policentrica di poteri comunali e su una diffusa rete di democrazia di quartiere?
Le elezioni sembrano già lontane. I cittadini romani hanno sancito la vittoria ampia e scontata dei 5S ma per la giunta Raggi i dolori sono già piuttosto intensi e, di certo, si tratta solo dei primi. Roma è invasa da cumuli di rifiuti come non mai e per ora non si intravedono segni riconoscibili del cambiamento promesso. Di quel che resta della sinistra politica, che dire? Forse sarebbe meglio non parlarne, ma sarà utile rammentare qualche antecedente che potrebbe forse aiutare a capire alcune delle ragioni della sua scomparsa e dell’impopolarità attuale.

Nel 2007, Veltroni ancora  imperante, con Bruno Amoroso, Enzo Scandurra, Paolo Berdini, Giovanni Caudo e altri amici e compagni pubblicammo un libro di critica sul Modello Roma. Intendeva svelare le fragilità sociali di quel modello di sviluppo,  molti si voltarono dall’altra parte e, soprattutto nei gruppi dirigenti della sinistra romana, non scattò alcun segnale di allarme capace d’imprimere una sterzata politica e programmatica nel governo della città. Quel Modello  – fondato su edilizia, terziario, turismo e tanta precarietà del lavoro – pur con qualche riserva, rimaneva saldamente la linea strategica su cui attestarsi. Non fu colta la contraddizione di un modello di sviluppo che aveva sacrificato la città periferica per promuovere l’immagine della Città-Vetrina del centro storico, utilizzata come veicolo internazionale per stimolare il turismo culturale e quello legato ai grandi eventi. Chi non si ricorda dei grandiosi mega concerti di grandi star internazionali sulle magnifiche vie dei Fori? Oppure delle Notti Bianche con musei e spettacoli gratuiti fino all’alba?

Quando Veltroni optò per assumere la guida dei DS e si candidò a Palazzo Chigi, la scelta che fu fatta per sostituirlo fu quella della continuità, ripescando Rutelli, convinti che quella fosse la scelta giusta, ma soprattutto vincente per Roma. Ci furono dissensi marginali, compreso il mio, per quello che valeva. Tutti salirono sul carro del redivivo Rutelli e non ho memoria di dissensi davvero clamorosi nelle galassie della sinistra romana. I risultati li conosciamo. Alemanno vinse nelle periferie, raccogliendo il malcontento popolare che la sinistra non seppe vedere rimanendone travolta, fino a scomparire dalle aule del consiglio comunale di Roma.

L’esplosione di Mafia Capitale è stata forse il detonatore che ha fatto scoppiare definitivamente gli equilibri nel rapporto della politica con i sentimenti popolari. Il PD è stato identificato come il partito della corruzione e del malaffare e quel che restava a sinistra ha perso credibilità nei lunghi anni di governo con il PD. Per una città stremata dalla crisi e dai mille problemi d’invivibilità, è stato così inevitabile rifugiarsi nelle braccia accoglienti dei 5S, che hanno raccolto l’indignazione e la rabbia di un popolo che per anni aveva coperto di voti e di consensi i candidati e i sindaci del centro-sinistra.

Purtroppo questa città è messa proprio male. Riuscirà la nuova sindaca a eliminare almeno alcuni dei suoi mali? Difficile a dirsi. Per il bene di Roma me lo auguro. Per adesso, però, al di là delle buone intenzioni e della promessa di più onesta e più trasparenza, non si intravede ancora una idea-guida, né alcuna visione della nuova città da edificare.

Basta l’onestà per governare al meglio una città come Roma?  L’emergere di Mafia Capitale non è solo il sintomo della presenza di amministratori disonesti e di politici corrotti. È anche, e soprattutto, il manifestarsi di un’economia che non può fare a meno di un’amministrazione pubblica corruttibile cui è legata. Non parlo solo di Buzzi e Carminati, ma anche di quella parte di cooperazione sociale che si è fatta coinvolgere in questi meccanismi perversi. Roma è una città devastata da un’urbanistica sciagurata che ha arricchito immobiliaristi, costruttori e proprietari di suoli, devastando la campagna con enormi e diffuse periferie brutte e senza qualità. È la città delle grandi opere inutili rimaste incompiute, degli spazi e degli edifici pubblici abbandonati.

È la città in cui una metro, la C, pensata per il Giubileo del 2.000, è ancora incompiuta. Dopo 16 anni non è arrivata a San Giovanni.  Ma è anche la città dell’abusivismo vario e diffuso, ognuno si aggiusta da sé le sue “cose” e si arrangia come può. Roma è la città dove le varie mafie controllano interi territori alimentando un’economia illegale e criminale col traffico di droga, i furti e le rapine, senza contare il mercato della prostituzione, e di cui si nutrono tanti giovani senza prospettiva di lavoro e tante famiglie delle periferie più estreme. I cittadini sono disamorati e il loro senso civico, in certi casi, è vicino allo zero. Manca il senso di comunità e di appartenenza ai luoghi e ai quartieri in cui si vive e si abita.

È difficile vedere un cittadino prendere una scopa e pulire il marciapiede davanti al portone di casa sua o tagliare le erbacce che spesso impediscono anche il normale passaggio sui marciapiedi. Non parliamo poi del rapporto con la gestione dei rifiuti e dei cassonetti dell’immondizia, ricolmi di rifiuti impropri o abbandonati per strada, o del proliferare delle discariche abusive. Tanto poi qualcuno passa e li porta via… Oppure dei parchi cittadini  e dei  marciapiedi sporchi di escrementi di cani non raccolti.  Più facile prendersela con i Rom che rubano e sporcano o con i migranti che tolgono il lavoro.

Non è che il comportamento dei gestori dei servizi pubblici sia da meno. I lavoratori di ATAC, AMA, oppure i Vigili Urbani spesso si limitano, nel migliore dei casi, a fare il compitino; mai qualche strappo in più rispetto al dovuto. Manca, pur sicuramente con qualche lodevole eccezione, quella passione civile e quel rispetto verso i cittadini che dovrebbe caratterizzare l’impegno di questi lavoratori nell’espletare le loro funzioni di servizio pubblico. Risparmio la citazione di casi cui ognuno può attingere con la cronaca quasi quotidiana e col suo vissuto. Quando Marino con i suoi ci ha provato, ha trovato ad ostacolarlo un muro contrario  e invalicabile. Questa è purtroppo la filosofia imperante. Prima viene l’“Io”, l’interesse privato o corporativo, che si contrappone a “loro”, cioè a tutti gli altri, e all’interesse pubblico, cioè al “noi”.

Roma è sì una città corrotta. Ma non solo nel senso che i suoi politici siano corrotti o che la politica sia corrotta per definizione. Roma è una città corrotta perchè la politica, cioè la Polis intesa come bene e spazio pubblico, è stata corrotta, devastata e colonizzata dall’interesse privato. La soluzione, quindi, non può essere nella ricetta “grillina” di fare uscire la politica dalle istituzioni. Ma, al contrario, nel farla rientrare dopo essere stata cacciata via dalla cattiva politica e dagli interessi privati.

Non intendo perorare la causa dei politicanti di mestiere disoccupati, che Dio me ne guardi… Vorrei però perorare l’esigenza  di ri-nobilitare la sfera pubblica della partecipazione popolare alle scelte di governo  in una grande metropoli come Roma. Le grandi metropoli soffrono non solo del gigantismo urbano che le rende complicate e difficili da vivere. I grandi agglomerati urbani tendono anche, e soprattutto, a distruggere il senso di comunità e di appartenenza e a rendere alienante il rapporto tra istituzioni e partecipazione democratica. Roma non sfugge a questo rischio. Il gigantismo urbano di cui Roma soffre – effetto e conseguenza del dissennato consumo di suolo e della riduzione della città a merce – ha stravolto e snaturato la nostra città, e con essa la nostra democrazia trasformandola progressivamente in oligarchia.

La politica è stata impotente o al servizio di questi interessi privati e speculativi. Come rispondere alla crisi della città pubblica?  Come riconvertire la  politica in uno strumento al servizio degli ultimi e del bene comune? È questa la sfida politica aperta da raccogliere da parte della cultura democratica della città, ma anche del suo vasto tessuto associativo. Questa straripante città, grande undici volte Parigi, oggi è governata sulla carta da un Sindaco con la sua Giunta, da quindici minisindaci di municipi enormi praticamente senza poteri, e fa parte di un sistema metropolitano di cui il sindaco di Roma è anche Presidente.

Ma Roma non è solo la città del suo meraviglioso centro storico. E’ anche un insieme di tante città senza identità  disperse nel suo sterminato territorio, che hanno bisogno di ri-fondare un rapporto tra istituzioni pubbliche e cittadini.  I luoghi istituzionali sono lontani dalla disperazione e dalla rabbia impotente che promana quotidianamente dalle difficoltà della vita nei quartieri periferici più lontani dal centro. Occorre offrire a queste città invisibili e ai loro cittadini la possibilità e la responsabilità di ri-conoscersi come comunità con proprie istituzioni di autogoverno a scala urbana e di quartiere, uscendo dalla logica centro-periferia.

I municipi di Parigi, più numerosi e più piccoli di quelli romani, prevedono l’elezione nei propri quartieri dei Consigli eletti dai cittadini, che partecipano del governo e delle scelte della loro comunità. Perchè in una città come Roma non può essere considerato normale ciò che lo è in un’altra grande città europea? Perchè una nuova democrazia urbana non potrebbe fondarsi su un’articolazione policentrica di poteri comunali e su una diffusa rete di democrazia di quartiere?

Roma può rinascere, dai suoi quartieri e dalle sue periferie, se i suoi cittadini si prenderanno  direttamente cura della città in cui vivono e abitano, dei suoi spazi e dei suoi beni pubblici; se si avvicinerà il governo del territorio ai cittadini e alle loro sofferenze, ai lori disagi e alla loro precarietà del vivere; se si punterà sulla loro responsabilità e sulla diffusione del loro senso civico, ma anche sulla loro capacità di autogoverno e di mobilitazione. Questa è la sfida da lanciare al nuovo governo della città: metterlo a confronto con  un movimento civico e popolare, sottratto al controllo del blog di Grillo e Casaleggio e dei loro staff, per rigenerare la nostra asfittica democrazia e innervare la città di luoghi di ascolto e di iniziativa politica e sociale, oggi drammaticamente assenti.

Non può essere l’attuale galassia dei resti della sinistra a svolgere questo compito. La sinistra che conosciamo ha fallito. Pensare di resuscitarla rimettendo insieme i cocci delle sue macerie, al massimo servirà  per occupare qualche strapuntino nelle istituzioni. Per agire la politica come forza trasformatrice, occorrono ben altre risorse politiche e morali  che possono venire solo dalla rifondazione di una nuova democrazia popolare radicata nella città e nei territori, oltre che nei movimenti per il diritto alla città e al lavoro. I suoi  generosi militanti, messe da parte le vecchie e gloriose bandiere, insieme all’associazionismo democratico  dovrebbero concentrare il loro impegno  contribuendo a questo processo di riorganizzazione della partecipazione popolare e della democrazia nei quartieri e nei comuni urbani per restituire la dignità perduta alla politica  nei sentimenti e nella coscienza del popolo e dei cittadini romani.

Fare questo sarebbe già tanto. E sarebbe pure una cosa di sinistra.

*Antonio Castronovi è responsabile del Progetto sulle Politiche urbane della CGIL di Roma e del Lazio. È coautore del libro Modello Roma. L’ambigua modernità, edizioni Odradek (2007).

 

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