Ricordiamo Antonio Cederna
Autore : Redazione
consulta nella modalità interattiva a http://paesaggi.archiviocederna.it/
Venti anni fa, il 27 agosto del 1996, moriva Antonio Cederna. Ma la sua voce – la voce di colui che per decenni è stato il più lucido, coraggioso, efficace difensore del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale degli italiani – è oggi più viva che mai. Pubblichiamo un regalo dell’archivio Cederna, proposto da Eddyburg, come l’articolo di Stefano Erbani e l’articolo di Tomaso Montanari, entrambi su La Repubblica, oltre alla presentazione e ai primi due paragrafi di un saggio sulla figura e l’opera di Antonio Cederna di Walter Tocci.
(da Eddyburg– )I paesaggi di Antonio Cederna
Nel 20° anniversario della scomparsa di Antonio Cederna regaliamo a tutti i frequentatori di Eddyburg, in aggiunta ai numerosi articoli già pubblicati su queste pagine e a quelli raccolti nel nostro archivio, un appassionante strumento di lettura della produzione del grande intellettuale e attivista.
L’Archivio Cederna ha voluto ricordare 20° anniversario della sua scomparsa di Antonio realizzando, a cura di Giulio Cederna e Antonio Natale, un’opera di grande interesse ed utilità: se non per tutti, per i moltissimi che condividono o condivideranno gli ideali, principi e obiettivi che animarono il grande intellettuale e attivista che era Antonio. Oltre a materiali inediti sulla sua vita (tra cui alcune lettere scritte dal campo di lavoro in Svizzera nel 1944, lette da Giuseppe Cederna) la mappa rende direttamente accessibili in chiave geografica più di 2 mila articoli scritti tra il 1949 e il 1996. Tutti possono consultarla a questo indirizzo: I paesaggi di Antonio Cederna
Pubblichiamo di seguito l’introduzione alla mappa e una nota di Giulio Cederna
LA TUTELA E LE MAPPE
La consapevolezza dell’importanza strategica delle mappe attraversa tutta l’opera di Antonio Cederna. “Non si può conservare e difendere ciò che non si conosce: è questa ignoranza che favorisce la degradazione che ogni giorno lamentiamo del patrimonio storico, artistico e ambientale”, scrive nel 1976 sul Corriere della Sera, in un articolo dal titolo programmatico: “E’ una difesa dal saccheggio la mappa dei beni culturali”.
All’esigenza di catalogare e di conoscere i territori, di mappare le minacce che gravano sul paesaggio, sul patrimonio storico e artistico, sull’assetto delle città, Cederna ha dedicato migliaia di articoli tra il 1949 e il 1996, gran parte dei quali sono conservati presso l’Archivio Cederna, donato dalla famiglia allo Stato, collocato dalla Soprintendenza archeologica di Roma presso la sede di Capo di Bove, nel cuore dell’Appia Antica (www.archiviocederna.it), e divenuto negli anni fonte di ricerche, pubblicazioni e mostre rivolte al pubblico.
Oggi, l’Archivio Cederna affida a una MAPPA il compito di documentare le principali tappe dell’impegno di uno dei pionieri dell’informazione sull’ambiente, l’urbanistica e i beni culturali. Uno strumento innovativo, ideato e realizzato da TeamDev in collaborazione con Regesta.exe, che raccoglie materiali inediti e rende accessibili in chiave geografica oltre duemila articoli, valorizzando ulteriormente l’opera di digitalizzazione e di costante cura dell’archivio promossa dalla Soprintendenza in questi anni. Un modo nuovo per prendere visione della vastità dell’impegno di Cederna e per osservare da vicino le violente trasformazioni che hanno sconvolto, e reso spesso irriconoscibili, geografie e paesaggi dagli anni del dopoguerra ai giorni nostri. Un punto di partenza per aggiornare a vent’anni di distanza le mappe dell’Italia da salvare.
Nota di Giulio Cederna
Tengo particolarmente a ringraziare tutti coloro che hanno collaborato a questa impresa, a cominciare da chi è di gran lunga più testarda di me, ovvero Rita Paris, che ha reso possibile la sistemazione dell’Archivio a Capo di Bove, e ne cura da anni lo sviluppo e la digitalizzazione con il prezioso supporto di Maria Naccarato e di Regesta.exe, e che in un momento di grande difficoltà e incertezza per il futuro dell’Appia non ha fatto mancare il suo supporto a questo progetto; passando per tutti coloro che hanno letto e riletto gli articoli per individuare una corretta base geografica (Emanuela Mazzina, Annalisa Cipriani e Linda Giacummo per Roma). Un ringraziamento speciale meritano infine Antonio Natale di TeamDev, giovane software house umbra che crede nell’economia di comunità e ha sviluppato materialmente l’applicazione senza percepire un solo euro, e Velia Sartoretti che ha georiferito oltre 2 mila articoli. Perché, vorrei ricordarlo, questa story map è stata realizzata senza budget, senza contributi di nessun genere.
Riferimenti
Numerosi documenti di e su Antonio Cederna sono raggiungibili in eddyburg nel vecchio archivio (2003-2013) e nel nuovo archivio (dal 2013)
di Francesco Erbani (La Repubblica 24 agosto)
Vent’anni fa l’addio allo studioso ambientalista che seppe coniugare tutela e sviluppo sostenibile. Dal “Mondo” a “Repubblica” una vita dedicata alle campagne contro l’urbanizzazione selvaggia
È stato un archeologo? Un giornalista? Un intellettuale e un politico? Un militante ambientalista? Vent’anni dopo la sua morte, è ancora difficile stringere Antonio Cederna in una sola definizione. Forse è più probabile ragionare su cosa non è stato. A differenza di un’etichetta rimastagli incollata, non è stato un nostalgico, un laudator temporis acti. Voleva che si conservasse l’eredità di storia e di bellezza che il passato ha trasmesso, ma non è stato un conservatore. Sottolineava che la tutela dell’antico era una scienza moderna, nata in età moderna. E l’aggettivo “moderno” rimbalza nei suoi scritti sempre per qualificare e mai per denigrare. Non è moderna, insisteva, la città che nel dopoguerra si sviluppa trascinata dagli interessi speculativi. È moderna, all’opposto, la città che salvaguarda integralmente il suo centro storico e che si espande correttamente pianificata. E ancora: gli piace la piramide di Pei al Louvre e se l’Auditorium di Renzo Piano a Roma è lì dov’è, lo si deve anche a lui.
Cederna si spegne nella sua casa di Ponte in Valtellina il 27 agosto del 1996. Il suo primo articolo lo scrive sul Mondo di Mario Pannunzio nel luglio del 1949 (il settimanale era al quinto numero) e da allora, per quasi cinquant’anni, sul Corriere della sera poi su Repubblica e sull’Espresso, racconta che cosa accade nell’Italia alle prese con la più tumultuosa trasformazione mai avvenuta prima sul suo territorio: stando a una stima assai attendibile, i nove decimi di quel che vediamo costruito risalgono a questi cinquant’anni. Nel 1956 raccoglie nel libro I vandali in casa gran parte degli articoli del Mondo.
E nell’introduzione compare un’esauriente radiografia di come l’Italia vada smarrendo secoli di buona urbanistica, proseguendo a demolire pezzi pregiati nei centri storici e allestendo alcune fra le più disumane periferie del mondo occidentale.
Non è solo uno scandalo urbanistico, per usare il titolo del libro con il quale alcuni anni dopo Fiorentino Sullo avrebbe raccontato la fine del suo progetto di riforma del regime dei suoli. Ma è, appunto, il capitolo di una controstoria d’Italia. Ancora nel 1991 sulle pagine di questo giornale, Cederna esprime la convinzione che a spingere il piano Solo, il tentativo di colpo di Stato del 1964 (svelato da l’Espresso nel 1967), ci sia anche la mano della proprietà fondiaria e dei suoi referenti politici contrari a ogni legge, del tipo di quella proposta da Sullo, che preveda l’esproprio delle aree sulle quali far crescere le città. Crescita che invece deve essere dettata da chi le aree possiede.
Nei primi anni Sessanta Cederna studia con metodo il piano regolatore di Amsterdam e ne scrive su Casabella. Piene di ammirazione sono le descrizioni di come la capitale olandese, dagli anni Trenta in poi, abbia costruito quartieri esemplari per qualità edilizia, spazi pubblici e verde grazie al controllo pubblico delle aree. Qui Cederna misura la modernità di Amsterdam (come di altre capitali nordeuropee, socialdemocratiche o anche conservatrici) rispetto all’arretratezza italiana, dove invece svettano “palazzine e palazzate”, i cosiddetti intensivi nei quali abitano i “murati vivi”, “senza prati né campi sportivi” (Cederna è anche un po’ poeta: questi versi sono tratti da una composizione burlesca, in cui prende in giro un fantomatico architetto comunista – siamo a metà anni Sessanta – che detesta “i pubblici giardini / olandesi svizzeri svedesi / danesi tedeschi inglesi”, “oppio capitalistico” che distrarrebbe da impeti rivoluzionari).
Così si ingrossavano Milano, Napoli, Palermo, ma soprattutto Roma, la città in cui Cederna sbarca a fine anni Quaranta e che, con la Società generale immobiliare, il Vaticano, il marchese Gerini e la pletora sguaiata dei palazzinari, diventa l’esemplare di un’Italia che crede nella rendita e nell’edilizia come motori di sviluppo. Criticare questo modello porta Cederna sulla linea liberaldemocratica del Mondo e poi dell’Espresso, più che dei comunisti.
È un’Italia che sui temi urbanistici discute, litiga. E rischia, insiste Cederna, di rimetterci nientemeno che la democrazia. Cederna si occupa di paesaggio minacciato, di parchi nazionali, di beni culturali in pericolo (memorabili i suoi ripetuti articoli sulla collezione Torlonia, che solo ora potrebbe tornare a veder le stelle). Scrive, trascina Italia Nostra, che nel 1955 contribuisce a fondare, è eletto consigliere comunale, poi parlamentare indipendente nel Pci, mobilita intellettuali, diventa il riferimento del nascente ambientalismo, non c’è comitato o associazione che non lo tempesti per un appello o È laureato in lettere classiche, con una tesi in archeologia. Però è soprattutto l’urbanistica il terreno del suo impegno. Di tanti urbanisti è amico, divora quel che si pubblica in materia non solo in Italia. Quando avvia due fra le più coinvolgenti battaglie condotte a Roma, il Progetto Fori e il salvataggio dell’Appia Antica che sta per trasformarsi in un quartiere residenziale, due battaglie strettamente connesse, fa opera di tutela e insieme persegue un’idea di città. All’Appia Antica dev’essere risparmiato l’oltraggio del cemento sia per i monumenti lì custoditi sia per scongiurare l’infernale saldatura edilizia che distruggerebbe il “cuneo verde” di campagna che si spinge al cuore della città creando una connessione fra il centro e la periferia orientale. Connessione che si completerebbe con l’eliminazione di via dei Fori Imperiali, lo stradone mussoliniano che da piazza Venezia porta al Colosseo, cioè la vera essenza del Progetto Fori (spesso ambiguamente rimpicciolito a semplice pedonalizzazione); e con un moderno centro direzionale in cui trasferire ministeri, sedi di banche e di aziende che asfissiano il centro storico. Appia Antica e Progetto Fori agli occhi di Cederna sono due programmi per la città, la bellezza coniugata al suo moderno funzionamento, non solo per il turismo. L’Appia Antica è salva (e se non ci fosse stato Cederna non lo sarebbe), il Progetto Fori è in un cassetto, di centri direzionali ne sono sorti diversi, per lo più a casaccio.
Antonio Cederna è vivo
di Tomaso Montanari
(dal Blog autore di Repubblica Articolo 9) 27 agosto 2016
Esattamente venti anni fa, il 27 agosto del 1996, moriva Antonio Cederna. Ma la sua voce – la voce di colui che per decenni è stato il più lucido, coraggioso, efficace difensore del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale degli italiani – è oggi più viva che mai.
E oggi – grazie a Giulio Cederna, Antonio Natale, Maria Naccarato e Rita Paris – possiamo udirla ancora meglio attraverso lo splendido sito Paesaggi di Antonio Cederna.
Questo anniversario non poteva cadere in una giornata più simbolica: una giornata di lutto nazionale per i morti dell’ennesimo terremoto italiano. Una giornata di lacrime di coccodrillo da parte di una classe dirigente e di una classe politica che quei morti avrebbero potuto evitarli. E allora il modo migliore per onorare e ringraziare Cederna è rileggere un suo articolo pubblicato sul «Corriere della sera» nel novembre del 1980, all’indomani del terremoto dell’Irpinia (lo si trova in pdf sul sito che ho appena citato).
Un articolo che, dopo trentasei anni, è in alcuni passaggi sconvolgentemente attuale:
L’abusivismo e il disprezzo delle norme hanno ingigantito gli effetti del sisma.
di Antonio Cederna, «Corriere della sera», 25 novembre 1980
Che fossero zone sismiche lo si sapeva da un pezzo, anche in seguito agli studi condotti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: ma da noi la ricerca pura tale rimane, e non viene di regola mai applicata, ovvero, come dicono, “trasferita” alla realtà del Paese. Il problema immediato sarà quello di vedere se sono stati presi in considerazione i sintomi premonitori, se sono state prese le precauzioni necessarie: e di vedere se, nell’edificazione selvaggia degli ultimi decenni sono state osservate le norme antisismiche dettate dalle leggi. Non c’è da farci troppo conto, anche perché si sa qual è la situazione edilizia e urbanistica italiana, e nel Mezzogiorno in particolare, lo scarso rispetto per leggi e regolamenti, la renitenza dei Comuni a dotarsi di ragionevoli piani regolatori, l’abusivismo dilagante.
Da indagini recenti risulta che su duemila e passa Comuni, solo 159 hanno un piano regolatore e che oltre il 40 per cento di quanto si costruisce è abusivo.
In queste condizioni si può dire solo una cosa: e cioè che il rifiuto ormai trentennale di ogni seria pianificazione del territorio ha portato allo sfacelo del medesimo, e che questo sfacelo ha reso, rende e renderà sempre più catastrofiche le conseguenze dei terremoti e delle altre calamità.
E infatti cosa può fare un Paese come il nostro per contenere gli effetti di terremoti e alluvioni e risanare fisicamente il territorio, se per la ricerca a fini ambientali si spende lo 0,5 per cento del prodotto lordo nazionale, se per la difesa del suolo spendiamo mille volte meno di quello che si spende negli Stati Uniti se per condurre a termine la carta geologica in scala uno a cinquantamila occorreranno seicento anni, se i geologi di Stato a tempo pieno sono solo sette, uno ogni otto milioni di abitanti, mentre nel Ghana ce n’è uno ogni 70.000 e in Turchia ce ne sono in tutto 1.800? Se l’unica legge che prescrive l’impiego del geologo è quella sull’ampliamento dei cimiteri, e se le stesse leggi per le zone sismiche prevedono l’impiego non di geologi ma di misteriose «persone di riconosciuta competenza in materia»?
Succede coi terremoti quello che succede con le alluvioni, grazie al cronico rifiuto di ogni programmazione e intervento preventivi. Morte e distruzione, nella loro tremenda entità, si devono alle case costruite sui pendii friabili, alle industrie costruite nelle golene dei fiumi, agli alberghi costruiti sul tracciato di antiche valanghe, a strade costruite sopra terreni di riporto, alle bonifiche insensate di zone umide, che sono lo sfogo naturale dei corsi d’acqua, al prelievo rapinoso di materiali dai fiumi, con sconvolgimento del loro alveo, della loro portata e conseguente erosione delle coste.
Il terremoto è dunque un aspetto di quell’autentico sisma permanente che è il saccheggio generalizzato del territorio e delle sue risorse; e l’espressione di circostanza sulla faccia dei ministri e sottosegretari che visitano le zone disastrate nasconde un’antica colpa: quella di non aver mai portato in porto i provvedimenti indispensabili a ridare un minimo di sicurezza fisica al Paese.
Dov’è finita la legge per la difesa del suolo (il cui dissesto ci costa circa duemila miliardi l’anno)? E la legge per regolare la rapina dei corsi d’acqua, quella per i parchi e le altre zone naturali da proteggere, quella contro l’abusivismo, quella per i beni culturali, e quella, tutta da rifare, contro l’inquinamento atmosferico? (A proposito della quale c’è da osservare che le scosse di terremoto a Roma di due anni fa avrebbero fatto meno danni ai monumenti antichi se questi non fossero già stati corrosi dall’inquinamento dell’aria).
Il disprezzo per il territorio, per il suolo, per l’ambiente naturale è un vizio che risale molto indietro nella nostra cultura, oltre che essere una precisa responsabilità politica: purtroppo ci vogliono le catastrofi perché ci se ne renda conto appieno, salvo poi dimenticarsene in seguito.
La Roma moderna di Antonio Cederna
di Walter Tocci
Riprendiamo la presentazione e i primi due paragrafi di uno splendido saggio sulla figura e l’opera di Antonio Cederna. Il saggio è stato presentato nell’ambito di una conferenza organizzata dall’associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli alla Camera dei Deputati il 17 marzo 2016. In calce il collegamento al testo integrale e ai documenti audiovisivi della conferenza.
Vedi anche
Cederna addomesticato
di Vezio De Lucia 20 Agosto 2016(scritto per Eddyburg)
Vent’anni fa scompariva Antonio Cederna. Col passare del tempo il suo pensiero è più necessario che mai ed è sempre più forte l’assenza del suo sdegno per la rovina delle città. Ma il torto maggiore alla sua memoria è di banalizzarla o distorcerla. È quello che sta succedendo a Roma riducendo il complesso e geniale disegno di Cederna per i Fori Imperiali a una modesta proposta di pedonalizzazione. (> leggi tutto)
Le politiche per Roma di Antonio Cederna (Vezio De Lucia)
Le politiche per Roma di Antonio Cederna di Vezio De Lucia 19 Marzo 2016 Presso il Salone Aldo Moro della Camera dei Deputati, l’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli ha promosso una cerimonia…
Redazione –26 marzo 2016Continua#
Il saggio di Walter Tocci: La Roma moderna di Antonio Cederna
di Walter Tocci (dal blog di Walter Tocci) Sono passati venti anni senza Antonio Cederna. Quanto ci manca? E perché ci manca? Il ricordo, la stima e l’affetto prendono il…
Redazione –18 marzo 2016Continua#