Riforma MIBACT: ma cosa stanno facendo?
Autore : Redazione
foto ambm
Tre interventi sui discussi progetti del Ministro Franceschini riguardo la riforma delle soprintendenze e la “valorizzazione” del nostro patrimonio artistico e culturale, di Maria Pia Guermandi, Vittorio Emiliani e Tomaso Montanari. Domani, lunedì 25 gennaio si terrà un’assemblea pubblica “Una nuova riorganizzazione del MIBACT: A chi serve?” dalle ore 16,30 alle 18.30 a Palazzo Massimo a Roma (*).
.Il 19 gennaio il Ministro Franceschini ha esposto il progetto di completamento della riorganizzazione del Mibact nel corso della riunione congiunta delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, già presentato alle Parti sociali e al Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Nel rtealtivo comunicato (1) il Ministro definisce “un passo avanti nella riorganizzazione del MiBACT“, che questa volta riguarda le Ssoprintendenze, che vengono ridisegnate a livello territoriale, in nome della semplificazione e della “valorizzazione del patrimonio” [nel senso economico del termine NDR]. Sulla riforma proponiamo l’accorato articolo di Maria Pia Guermandi (pubblicato da Eddyburg), che lancia l’allarme per “un’operazione strutturale, che, per quanto attuata con strumenti legislativi e amministrativi impropri, poco coerenti nel loro insieme, e a forte rischio di anticostituzionalità, persegue obiettivi non di semplice aggiustamento – ammodernamento di un sistema, ma di un suo radicale ridimensionamento-mutazione“. Con “la soppressione delle stesse Soprintendenze Archeologiche che seguono la sorte di quelle storico artistiche…in cui un solo dirigente dovrà occuparsi dell’intero patrimonio culturale e paesaggistico dell’area assegnata (pari almeno al territorio di due o più province)“. Con il rischio di “un appiattimento verso il basso del livello della tutela, con una inevitabile evoluzione della figura del Soprintendente Unico in quella di un mediatore fra le diverse esigenze e pressioni politiche del territorio di competenza…” E l’articolo di Vittorio Emilinai, che mette in guardia dallo “scindere i Musei dal territorio (e questa per l’archeologia è una misura mortale)” che “approfondisce sempre più il solco devastante fra valorizzazione (esaltata) e tutela (depressa)“, rivelando un “Ministero bipolare: con la parte, dominante, della Valorizzazione che lo trasforma in una grande Agenzia di Viaggi e Turismo in base al criterio che “i Musei devono finanziarsi da soli” con gli ingressi, il merchandising, ristoranti, buffet, matrimoni, eventi, eventi, eventi (commerciali, s’intende…“. Aggiungiamo un commento di Tomaso Montanari (La Repubblica 24 gennaio 2016) sull’intenzione del Ministro di introdurre un biglietto a pagamento per la visita del Pantheon e di altri monumenti. Lo storico dell’arte/giornalista avanza un’ idea solo all’apparenza provocatoria: rendere gratuito l’accesso ai grandi musei statali. Anche perchè “nel 2013 il gettito di questi ultimi è stato pari a 125.826.333 euro, ma allo Stato ne sono arrivati 104.333.063 (la differenza è andata agli oligopolisti delle concessioni): che è il costo di un singolo bombardiere F35… E l’economia indotta da un aumento del movimento dei cittadini verso il patrimonio darebbe frutti, anche fiscali, assai superiori al gettito dei biglietti” (AMBM)
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ASSEMBLEA CITTADINA “Una nuova riorganizzazione del MIBACT: A chi serve?”
Lunedì 25 gennaio 2016, dalle ore 16,30 alle 18.30
al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, Largo di Villa Peretti, Roma
per discutere il decreto e programmare le azioni comuni di contrasto (incontro organizzato dalle sigle sindacali FP CGIL di Roma e Lazio, CISL FP Roma Capitale e Rieti, UIL PA Roma e Lazio)
(da Eddyburg 24 Gennaio 2016)
Archeologia e territorio: l’ultima spallata
di MARIA PIA GUERMANDI
Dal sito del MIbact
La seconda ondata di riforma del Mibact ha sinora ottenuto l’insospettato risultato di mettere d’accordo fautori e critici su di un aspetto determinante: considerati nel loro insieme, il precedente decreto del luglio scorso e l’attuale, configurano non un semplice adeguamento a precedenti provvedimenti legislativi di altro soggetto (spending review, riforma della PA, legge di stabilità), ma un vero e proprio stravolgimento del Ministero creato da Giovanni Spadolini nel suo assetto generale e del sistema della tutela in Italia.
È chiaro a tutti, dunque, che siamo di fronte ad un’operazione strutturale, che, per quanto attuata con strumenti legislativi e amministrativi impropri, poco coerenti nel loro insieme, e a forte rischio di anticostituzionalità, persegue obiettivi non di semplice aggiustamento – ammodernamento di un sistema, ma di un suo radicale ridimensionamento-mutazione.
In estrema sintesi, questi obiettivi possono essere riassunti come: la definitiva cesura fra tutela e valorizzazione, a tutto vantaggio di quest’ultima in termini di risorse di ogni livello; la gerarchizzazione del sistema, finalizzata ad un più facile controllo politico del processo decisionale; la compressione dei residui meccanismi di controllo e monitoraggio sul territorio, tale da comprometterne radicalmente l’efficacia nel contrasto allo sfruttamento speculativo del paesaggio.
In questa direzione vanno dunque interpretati, sia la nuova ondata di supermusei, cui si affiancano ora anche alcune preziosissime aree archeologiche, sia la soppressione delle stesse Soprintendenze Archeologiche che seguono la sorte di quelle storico artistiche. Si ritorna così alle Soprintendenze miste, di sabauda memoria, in cui un solo dirigente dovrà occuparsi dell’intero patrimonio culturale e paesaggistico dell’area assegnata (pari almeno al territorio di due o più province).
Dal sito del MIbact
Lo immmaginereste mai? La giustificazione politica – per questa seconda tranche della riforma – è la “semplificazione”, la parola d’ordine che scandisce almeno da vent’anni lo smontaggio sistematico dell’apparato statale e la distruzione delle sue capacità di riequilibrio sociale e di regolazione democratica.
Le nuove Soprintendenze “olistiche” dovrebbero in sostanza meglio sostenere la pressione del silenzio – assenso e dell’incardinamento all’interno delle prefetture: misure entrambe partorite dallo stesso Governo che ora si inventa questi contrappesi.
Viene ripresa, a sostegno dell’unificazione, la tesi tanto cara a politici, stampa ed amministratori locali, secondo la quale gli organi di tutela sarebbero spesso in contrasto l’uno con l’altro, portatori, insomma di istanze diverse e per questo causa di ritardi incompatibili con le superiori ragioni dello sviluppo territoriale.
Che si tratti di competenze diverse e che la stessa area-monumento, addirittura oggetto possa avere esigenze diverse a seconda di queste competenze, non è frutto del relativismo soggettivistico di singoli Soprintendenti o funzionari, ma semplice dato di fatto oggettivo. Altrettanto semplice – e rapidissima – la soluzione: laddove esistano dei contrasti di fronte a richieste di trasformazioni territoriali di ogni tipo, deve prevalere l’istanza di tutela più ampia e quindi il parere conformato al principio di massima precauzione.
Con questa riforma, invece, a decidere su queste richieste – qualunque sia il monumento /area interessata – sarà un unico Soprintendente di competenze fatalmente non adeguate alla complessità dei casi e, nella totalità delle situazioni territoriali attuali, privo di idonei strumenti, in termini di personale, archivi, laboratori, risorse economiche. E, per sovrannumero, a sua volta dipendente da un’autorità superiore – il Prefetto – del tutto ignaro dei contenuti tecnico scientifici e dei meccanismi che governano l’esercizio della tutela.
Il risultato finale sarà – inesorabilmente – quello di un appiattimento verso il basso del livello della tutela, con una inevitabile evoluzione della figura del Soprintendente Unico in quella di un mediatore fra le diverse esigenze e pressioni politiche del territorio di competenza.
E ogni “mediazione” fatta sulla pelle del territorio è una mediazione al ribasso. Ed è anticostituzionale, come ci ha spiegato attraverso innumerevoli sentenze la Corte Costituzionale, ribadendo come il paesaggio costituisca un “valore primario e assoluto”, la cui tutela “precede e comunque costituisce un limite agli altri interessi pubblici” (sentenza n. 367/2007).
Lungi dal porre un argine al silenzio-assenso e alla subordinazione delle Soprintendenze alle Prefetture – i nuovi Uffici Territoriali Unici – questa seconda fase delle riforma rischia di condannare alla definitiva paralisi strutture che da mesi – dall’entrata in vigore del DPCM 171/2014 – si dibattono in difficoltà gestionali drammatiche: senza alcuna chiarezza quanto ad organici, suddivisione di competenze e di risorse. L’entrata in vigore della prima fase della riforma, infatti, è avvenuta nel segno dell’improvvisazione e della mancanza di regole chiare e univoche ed ha mostrato, da subito, gravi carenze d’impianto. Invece di procedere ad una revisione – correzione di rotta, con questo nuovo decreto, si accelera verso l’entropia.
L’archeologia, in particolare, è, in questa seconda fase, il settore maggiormente interessato dai cambiamenti: non solo per la soppressione delle Soprintendenze archeologiche, ma per lo smembramento della più importante (e ricca) Soprintendenza Archeologica italiana, quella di Roma, ridotta ad uno spezzatino (progetto che meriterà analisi specifica).
Non è tutto: a dir poco inquietante è la notizia, riportata da più fonti, secondo la quale nella nuova versione del Codice sugli appalti che si sta mettendo a punto**, sarebbero eliminati gli articoli relativi all’archeologia preventiva, il ridotto apparato normativo che a tutt’oggi regola oltre 6000 cantieri di scavo all’anno. Già ultimi, fra i paesi europei, per quanto riguarda la legislazione di questo settore cruciale, unici ad averne limitato la validità alle sole opere pubbliche, arrivati, con 24 anni di ritardo, ad una ratifica della Convenzione di Malta di pura facciata, ci ritroveremmo, in questo caso, in una situazione di totale deregulation.
D’altro canto, anticipando, nell’agosto 2014, il famoso SbloccaItalia, il premier l’aveva annunciato col seguente slogan: “Mai più cantieri fermi per ritrovamenti archeologici”.
Quest’accanimento verso l’ultimo, seppur debole, ostacolo alle mani libere sul territorio, sarebbe dunque di diretta ispirazione renziana, come vociferano i rumors di Palazzo.
Se davvero il Ministro Franceschini ha “subìto” questa riforma, ha ora l’occasione – l’ultima – di dimostrare quanto davvero abbia a cuore la tutela del patrimonio e la difesa delle prerogative del suo Ministero.
Blocchi quest’ultimo decreto, se non altro in nome della necessità di un confronto allargato con chi, negli ultimi decenni, ha retto sul campo – con pochi mezzi e ancor meno riconoscimenti – le sorti del nostro patrimonio culturale.
E magari – in quest’operazione di ascolto – sia affiancato da un Consiglio Superiore dei Beni Culturali, conscio del proprio ruolo.
In alternativa, ai membri del Consiglio, non rimarrebbe che una sola via d’uscita. E non sarebbe nemmeno difficile trovare modelli di riferimento, che, ad ogni buon conto, richiamiamo come ausilio alla memoria:
“Onorevole Signor Ministro,
[…] Le mie dimissioni sono dovute, in effetti, al disgusto per il modo come il Consiglio Superiore, che nel linguaggio burocratico è tuttavia designato come “Alto Consesso”, viene fatto funzionare, con discredito per questo organo; e alla volontà di non condividere più oltre, anche in parte minima, la responsabilità che l’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti è costretta ad assumersi, e si assume, nella progressiva distruzione delle caratteristiche della civiltà artistica italiana. […] Ma anche con l’attuale legislazione si potrebbe ottenere una salvaguardia molto più efficace, ove da parte della Direzione Generale e del Gabinetto vi fosse la effettiva e costante volontà di opporsi agli attentati che da tante parti vengono portati alle caratteristiche delle nostre città e del paesaggio italiano.
[…] Conosco perciò le pressioni che da parte di tutte le autorità della classe dirigente italiana (gruppi finanziari, autorità ecclesiastiche, prefetti, sindaci e parlamentari) vengono esercitate sui locali uffici e sul Ministero, sempre in un solo senso: perché, cioè, si deroghi alle leggi predisposte per la tutela artistica, storica e panoramica; so che i funzionari regionali delle nostre Soprintendenze conducono con tenacia e coscienza una lotta impari contro le pressioni e che la Direzione Generale potrebbe trovare il più valido appoggio nel Consiglio Superiore. Ma […] il Consiglio Superiore è oggi tenuto […] quale strumento per avallare e coprire decisioni già prese, spesso provocate da pressioni che possono dirsi politiche solo nel senso deteriore del termine, cioè del tutto particolaristico e clientelistico. L’esperienza , sempre più aggravata negli ultimi dieci anni, ha mostrato che nessuna seria garanzia è data ai componenti del Consiglio Superiore di trovare nell’autorità ministeriale la massima tutelatrice e interprete della legge nell’interesse comune.
[…] si pone il Consiglio Superiore dinanzi a decisioni già prese e a impegni già assunti nello stesso momento nel quale al Consiglio viene richiesto di pronunziarsi in merito. I casi del villaggio CEP di Sorgane e del cosiddetto Parco della CIA Appia sono, di tale prassi, solo gli esempi più clamorosi; […]
Ma tutti coloro che hanno sensibilità storica e artistica e senso della decenza e che si preoccupano anche dell’importanza che nel nostro Paese assume l’elemento turistico, sanno, in Italia e ormai purtroppo anche fuori d’Italia, che l’Italia si sta distruggendo giorno per giorno, e che tale distruzione solo in casi isolatissimi è inevitabile conseguenza dei mutamenti tecnici, economici, e strutturali della civiltà moderna: nella maggior parte dei casi è conseguenza del prevalere degli interessi della speculazione privata e della grossolanità culturale della attuale classe dirigente italiana.
I due anni di appartenenza al Consiglio, mi hanno convinto della assoluta inefficacia della mia appartenenza a tale organismo e quindi ne traggo le logiche e oneste conseguenze.”
Queste righe di inalterata attualità, quasi alla lettera, risalgono al 28 maggio 1960. Ed era un archeologo.
Ma soprattutto, era RANUCCIO BIANCHI BANDINELLI
(Maria Pia Guermandi)
** leggi il decreto http://www.carteinregola.it/wp-content/uploads/2016/01/Testo_senato_terza_lettura.pdf
(da Patrimonio SOS)
Con la decima “riforma” dal ’74 i Beni culturali corrono verso la dissoluzione in pieno caos
22-01-2016 di Vittorio Emiliani
Diamo alla decima riforma del MiBACT da quando nacque per decreto nel 1974 e la fase 2 della “riforma” Franceschini, la decima appunto, suona come il Requiem al Ministero voluto da Giovanni Spadolini. Di Renzi si conosce da anni la totale avversione per le Soprintendenze e da lì viene certamente questo Requiem. Il funerale però lo sta organizzando il suo ministro stando a cassetta come becchino o vespillone. Ha un bel dire Franceschini che l’accorpamento delle varie Soprintendenze in una sola faciliterà la tutela e la renderà più presente e coordinata sul territorio. In realtà basta guardare cosa va a succedere a Roma per convincersi dell’esatto contrario. Qui la Soprintendenza archeologica speciale aveva mostrato di funzionare anche se le risorse pompate dal Colosseo (appena 27 custodi, in realtà 21, per una marea di turisti al giorno) non venivano granché ripartite sul territorio. Ma Roma e Ostia formavano un formidabile complesso di insediamenti antichi sui quali potevano operarsi interventi strategici. Ora, si scindono altri Musei dal territorio (e questa per l’archeologia è una misura mortale), ma si approfondisce sempre più il solco devastante fra valorizzazione (esaltata) e tutela (depressa). Un Ministero bipolare: con la parte, dominante, della Valorizzazione che lo trasforma in una grande Agenzia di Viaggi e Turismo in base al criterio che “i Musei devono finanziarsi da soli” con gli ingressi, il merchandising, ristoranti, buffet, matrimoni, eventi, eventi, eventi (commerciali, s’intende). Mentre la tutela verrà esercitata da Soprintendenze uniche (archeologia, belle arti, paesaggio, tutte insieme), ancor più facili così da sottomettere – come prevede il grottesco disegno di legge Madia – ai Prefetti, tutori dell’ordine pubblico. In sostanza una soluzione sabauda ante 1861, con le Sovrintendenze declassate, anche nell’immaginario collettivo, a Sottoprefetture. Preceduta da una confusione funzionale disperante di uffici e archivi che- come nota polemicamente Assotecnici – renderanno più difficile e complicata la tutela.
Sull’Appia Antica – dove coesistono la Soprintendenza archeologica di Stato e il Parco regionale a dominanza “naturalistica” – si crea un Parco Archeologico Nazionale nel quale esercitare essenzialmente la valorizzazione, magari con biglietto d’ingresso. Il MiBACT viene così incontro ai progetti della Società Autostrade sulla Regina Viarum? Probabilmente sì. Il Parco Archeologico nasce sotto il segno della valorizzazione, del mettere a reddito quello straordinario comprensorio (per la verità pubblico soltanto per il 5 % o poco più). Dalle funzioni del Parco Nazionale esula infatti la tutela in senso proprio. Quella stessa che, fra mille difficoltà, ha consentito per esempio di recuperare in modo esemplare Capo di Bove e la gigantesca Villa dei Quintili e di acquisire e restaurare il complesso di Santa Maria Nova, combattendo un abusivismo insidioso. Tutto inutile visto che “non frutta soldi”.
A Taranto, indiscussa capitale della Magna Grecia con un Museo acheologico strepitoso, sarà “valorizzato” (si vedrà) il Museo ma viene sottratta una Soprintendenza Archeologia di grande merito e prestigio, esistente da oltre un secolo, per accorpare tutto a Lecce e crearne un’altra a Brindisi. Ma con quale razionalità? Con quali criteri? Se uno obietta che la geografia delle Soprintendenze divise per competenze scientifiche era stata studiata e sperimentata da grandi esperti come Corrado Ricci, Adolfo Venturi e altri, si risponde con un sorrisino ironico che difatti “sono strutture ottocentesche che incatenano la modernizzazione” opera di “professoroni”…E di chi dovrebbero essere opera, forse di manager della Banca Etruria?
Del resto era tutto scritto. La responsabile della Cultura della Confindustria Maria Grazia Asproni aveva proposto pochi anni or sono in un pubblico convegno di sbaraccare il Ministero per i Beni Culturali e di passare tutto al Ministero dell’Economia e dello Sviluppo. Ci siamo quasi. Era già tutto scritto nel manifesto della turbo-cultura renziana, nel libretto ideologico intitolato con grande umiltà da Renzi “Stil Novo” in cui scrive che la parola “sovrintendente è una delle le più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Sono “strutture ottocentesche” che mettono “le catene alla modernizzazione”. A cominciare da quelle archeologiche. Mettetele in un ufficio a far meno danni, a occuparsi delle loro polverose scartoffie. Come bibliotecari e archivisti: di questi ultimi ve ne sono pochissimi ormai, ma per loro in una grande Soprintendenza si prevede la divisione in tre “aree funzionali”. “Ma se siamo soltanto in sette…”, ha obiettato il soprintendente. Fra poco, essendo tutti vicini e magari oltre i sessant’anni, non ci sarà più nessuno e Renzi si sarà tolto definitivamente il fastidio.
La modernizzazione, ai suoi occhi (e altro) vuol dire evidentemente lasciar correre senza penetranti controlli tecnico-scientifici, paesaggistici, ambientali, le grandi opere, l’edilizia speculativa, i centri commerciali e quanto devasta un paesaggio già fortemente intaccato, con tutto il cemento e l’asfalto che esse comportano e che ci già regala il record europeo di consumo di suolo: 70 ettari al giorno. Il doppio e oltre del consumo medio europeo.
Di tutto ciò compare qualcosa di veramente approfondito sulla grande stampa nazionale, nelle televisioni, nel servizio pubblico Rai? Pochissimo e per giunta distorto. La Rai ha soppresso tanti spazi dedicati a beni culturali e ambientali. Da ultimo ha rattrappito “Ambiente Italia” a mezz’ora, a metà mattina, senza più dirette… Era un ultimo baluardo contro la disinformazione. Su grandi quotidiani il piano Società Autostrade per l’Appia Antica viene applaudito in partenza. Ci si lagna che i Bronzi di Riace restino a Reggio Calabria dove a vederli ci va poca gente. Si getta la croce sulla inamovibilità dei custodi dei musei siciliani ignorando che la Sicilia “gode” di una specialissima autonomia dallo Stato. Questi sarebbero i grandi problemi. Mentre nei salotti o nelle arene televisive ci si duole per il fatto che “in questo Paese ormai nessuno si oppone più”…Detto da chi in quei salotti e in quelle arene ci sta quasi ogni giorno e poco o nulla denuncia di questa autentica catastrofe che sta travolgendo la tutela del nostro patrimonio storico-artistico-paesaggistico. Compresi i Parchi Nazionali e Regionali abbandonati a se stessi e minacciati da leggi sempre più permissive o da finanziamenti tagliati a metà (vedi la Regione Marche un tempo in testa all’ambientalismo) che assicurano il dissesto del bilanci e la fine della tutela.
E noialtri che pure riusciamo a far sottoscrivere i nostri appelli al Presidente della Repubblica da centinaia di intellettuali coraggiosi e appassionati, da migliaia di cittadini? Non ci opponiamo forse? Anche ai parlamentari che hanno a cuore il Belpaese diciamo: non ci servono più le singole interrogazioni, ci serve una presa di posizione collettiva, di un numero significativo di voi, che prenda a cuore questa battaglia. Lo diciamo anche ai dipendenti dei Beni Culturali, di quelle imprese culturali vitali per il Paese. unitevi nella protesta oggi perché domani queste leggi avranno irreparabilmente distrutto il comune lavoro di decenni, di secoli.
(Vittorio Emiliani)
Il biglietto della discordia sulla nostra storia
di Tomaso Montanari La Repubblica, 24 gennaio 2016
La domanda: ci conviene mettere a biglietto tutto il Patrimonio storico e artistico della Nazione?(articolo 9 della Costituzione) é saggio far pagare chi desidera andare a deporre una rosa sulla tomba di Raffaello, o un pensiero su quella di Vittorio Emanuele II, entrambi sepolti nel Pantheon di Roma, che contemporaneamente un monumento archeologico, una chiesa consacrata, un sacrario civile? La modernizzazione comporta necessariamente biglietterie all’ingresso di tutte le chiese storiche, dei conventi, delle biblioteche, degli archivi, degli ospedali monumentali, e domani magari alle porte di intere città, come Venezia?
I dubbi sono leciti. Perchè così facendo rischieremmo di spingere ancor di più l’economia culturale verso la passività della rendita.
Forse sarebbe preferibile fare esattamente il contrario, rendendo gratuito l’accesso ai grandi musei statali. Nel 2013 il gettito di questi ultimi è stato pari a 125.826.333 euro, ma allo Stato ne sono arrivati 104.333.063 (la differenza è andata agli oligopolisti delle concessioni): che è il costo di un singolo bombardiere F35. Il presidente del Consiglio ha giustamente detto di voler allineare la spesa militare e quella culturale: con meno di un terzo di quanto destinato all’assegno indiscriminato per il consumo culturale dei neo diciottenni, potremmo far entrare tutti gratis nei nostri musei. E l’economia indotta da un aumento del movimento dei cittadini verso il patrimonio darebbe frutti, anche fiscali, assai superiori al gettito dei biglietti.
Ma, soprattutto, nel nostro Paese come in nessun altro, il patrimonio culturale è fuso con lo spazio pubblico. Non c’è un vero confine tra il Pantheon e la sua piazza, ed eè vitale che si possa continuare a varcare liberamente quella porta bronzea: anche solo per continuare a passeggiare al coperto, anche solo per cinque minuti. Dobbiamo poter respirare liberamente la nostra storia: non possiamo spezzare questa quotidiana intimità diventando clienti anche nel cuore della nostra casa.
È difficile capirlo in un momento in cui l’unica bussola delle riforme dei Beni culturali, che si accavallano senza il tempo per valutarle, sembra l’espansione della valorizzazione, a spese della tutela e dell’educazione. Ma in gioco c’è l’idea stessa di cittadinanza: rendere più difficile l’accesso dei cittadini a un monumento identitario significa in qualche modo annullarne la forza.
Quando Urbano VIII Barberini portò via il bronzo dal tetto del Pantheon per farci cannoni (1625), disse che era “un tesoro nascosto, senza utile e senza uso”. Il popolo di Roma, visceralmente legato al monumento, si oppose alla messa a reddito, esclamando che quel che non fecero i barbari, avevano fatto i Barberini. Credo che oggi ci convenga pensare non come il papa, ma come il popolo: che guardava più lontano.
(Tomaso Montanari)
(1) (dal sito del MIBACT) FRANCESCHINI, PROSEGUE LA RIFORMA DEL MIBACT, È LA VOLTA DELLE SOPRINTENDENZE
Aumentano i presidi di tutela archeologica e nascono nuovi parchi archeologici autononomi “10 nuovi direttori saranno selezionati con un bando internazionale” Da Ostia Antica a Ercolano, dal Parco archeologico dell’Appia a quello dei Campi Flegrei, dal complesso monumentale della Pilotta al Castello di Miramare ecco la mappa dei nuovi istituti autonomi
Nel corso della riunione congiunta delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, il Ministro Franceschini ha esposto il progetto di completamento della riorganizzazione del Mibact presentato ieri alle Parti sociali e al Consiglio Superiore dei Beni Culturali.
“Ancora un passo avanti nella riorganizzazione del MiBACT, è la volta delle soprintendenze” – ha dichiarato il ministro Franceschini, sottolineando come – “il ministero viene ridisegnato a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. La riorganizzazione prosegue nella strada di valorizzazione del patrimonio. Vengono per questo istituiti 10 nuovi musei e parchi archeologici autonomi retti da altrettanti direttori che saranno selezionati con un nuovo bando internazionale”.
Il nuovo assetto del ministero presentato oggi dal ministro Franceschini prevede la creazione delle ‘Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio’. Con questo intervento aumentano i presidi di tutela sul territorio nazionale, che, proprio per l’archeologia, passano dalle attuali 17 Soprintendenze Archeologiche alle nuove 39 soprintendenze unificate (a cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei).
La nuova articolazione territoriale, che realizza una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente, è stata definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori.
Ogni nuova Soprintendenza parlerà con voce unica ai cittadini e verrà articolata in sette aree funzionali (organizzazione e funzionamento; patrimonio archeologico; patrimonio storico e artistico; patrimonio architettonico; patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio; educazione e ricerca) che garantiscono una visione complessiva dell’esercizio della tutela, assicurando anche la presenza delle specifiche professionalità. Per cittadini e imprese sarà così più semplice e rapido rapportarsi con l’amministrazione con una notevole riduzione degli oneri burocratici. Ciascuna soprintendenza costituirà un riferimento univoco per la valutazione di qualunque aspetto di ogni singolo progetto, dalla tutela di beni archeologici per arrivare all’impatto paesaggistico, passando per gli aspetti di carattere artistico e architettonico: a un’unica domanda corrisponderanno un unico parere e un’unica risposta. Al centro ci sarà una sola Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio, che garantirà il coordinamento delle soprintendenze su tutto il territorio nazionale.
La riorganizzazione affida inoltre alle Soprintendenze archivistiche la tutela del patrimonio librario, che pertanto vengono denominate Soprintendenze archivistiche e bibliografiche. Nell’esercizio di questa nuova funzione esse risponderanno anche alla Direzione Generale Biblioteche e potranno avvalersi del personale delle biblioteche statali.
L’intervento completa la riforma del ministero e prosegue lungo il percorso di una più decisa valorizzazione del patrimonio, specialmente archeologico, attraverso la costituzione di dieci nuovi istituti autonomi retti da altrettanti direttori che saranno selezionati con un nuovo bando internazionale.
Ecco i 10 nuovi istituiti autonomi:
– il Complesso monumentale della Pilotta di Parma (che unifica in un’unica gestione la Biblioteca palatina, la Galleria Nazionale, il Museo Archeologico Nazionale);
– i Musei delle Civiltà all’EUR (che unifica in una sola gestione il Museo Nazionale Preistorico e Etnografico, il Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari e il Museo dell’Alto Medioevo);
– il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma);
– il Museo Nazionale Romano;
– il Museo storico e il Parco del Castello di Miramare a Trieste;
– il Parco Archeologico dell’Appia Antica
– il Parco archeologico dei Campi Flegrei (Bagnoli, Baia, Bacoli e Pozzuoli);
– il Parco archeologico di Ercolano;
– il Parco archeologico di Ostia Antica;
– Villa Adriana e Villa d’Este (Tivoli)
Roma, 19 gennaio 2016
Ufficio Stampa MiBACT
Redattore: RENZO DE SIMONE