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Scandurra: Tav e non solo, la discontinuità che non si vuole vedere

Vignetta di Sergio Staino

Vignetta di Sergio Staino

Tav e non solo, la discontinuità che non si vuole vedere 

di Enzo Scandurra  Da Il manifesto de 13.09.2019

Grandi opere. Se io fossi la neoministra De Micheli, i polsi mi tremerebbero al pensiero di sacrificare territori e ambiente – il futuro – in nome del mantenimento di equilibri economici globali

Tutti gli studi, scientificamente e tecnicamente, più accreditati in tema di trasporti oltre i più autorevoli esperti (ingegneri, tecnici) in materia, hanno ampiamente dimostrato che la tratta Torino-Lione ad alta velocità non serve, è assolutamente inutile, tanto più per il trasporto passeggeri.

Non serve a migliorare il sistema nazionale di trasporti, a fronte di un dispendio di risorse economiche e del massacro di un territorio. Tanto che i suoi sostenitori la difendono con la motivazione disperata che ormai “costa di più non farla che farla”. Il che non è poi vero dal momento che non farla gioverebbe molto all’ambiente e alla salvaguardia di quel territorio vallivo.

Detto in altri termini, sarebbe come dire che bruciare la foresta amazzonica costa meno che proteggerla, il che forse è vero (in termini economici) se non si considerassero gli enormi benefici in termini di sottrazione di CO2 e produzione di ossigeno che ne vengono al pianeta, ovvero a noi tutti.

Ma allora perché la sinistra è così determinata a portare a termine questa opera, così come ogni altra Grande Opera? Non basta il fallimento dichiarato dell’insulso meccanismo già arrugginito del Mose (Bettin, il manifesto del 7 settembre), così come il danno arrecato per il passaggio delle mega navi nella lacuna di Venezia? Si dirà è la modernità bellezza! È l’Europa che ce lo chiede, è la Globalizzazione che lo esige, è il Progresso che ce lo impone; altrimenti che Paese saremmo?

Pure retoriche, ma se fosse vero che l’economia è un gioco a somma zero, ovvero che se tiri la coperta da una parte se ne scopre l’altra, con quei soldi potremmo mettere in regola le molte scuole in condizioni fatiscenti (nella sola Capitale 8 su 10 sono insicure), costruire o ripristinare tratte di ferrovie minori che collegano i centri dei nostri appennini e rivitalizzare così i tanti paesi in abbandono, potremmo migliorare la vita di tanti pendolari che passano ore su treni scassati sempre pronti a cedere il passo a quelli dell’alta velocità, potremmo migliorare il nostro servizio sanitario nazionale in via di dismissione che, ancora, molti paesi ci invidiano, potremmo realizzare un vero e proprio piano di accoglienza dei migranti. Così pensa la gente, le persone in carne ed ossa abituate e rassegnate al disagio del vivere quotidiano, quelle che su quel treno alta velocità non saliranno mai.

Non siamo ingenui, sappiamo bene che ci sono forze potentissime, interessi economici, logiche di potere, sodalizi e lobbie che premono perché la Grande Opera si realizzi. Ma anche dietro l’incendio della foresta amazzonica ci sono altrettanto forze e interessi a utilizzare quelle terre disboscate per altri usi.

Quando finiremo col dare priorità su tutto, sulla stessa vita, a questo mercato economico globale che ha messo in ginocchio la Grecia e immiserito l’Europa? In un mondo finito la crescita illimitata è sostenuta solo da due categorie di individui: i pazzi e gli economisti.

Se io fossi la neoministra De Micheli, mi tremerebbero i polsi al pensiero di sacrificare territori e ambiente, ovvero le nostre riserve di futuro, in nome del mantenimento di equilibri globali e a spese di devastazioni ambientali.

Ci si può opporre a livello di governo a questa insulsa gara di distruzione di beni comuni in nome di un predominio economico che fa strage del mantenimento di ecosistemi di supporto alla vita e di altri possibili usi di risorse economiche a beneficio collettivo? Se i cambiamenti climatici nei prossimi anni avranno la virulenza vista in questa lunga torrida estate – la più calda di sempre -, la Torino –Lione rimarrà solo una sinistra archeologia, testimonianza di quanto scellerata è stata la miopia di una classe dirigente che non ha saputo o voluto intercettare i segnali della catastrofe incombente.

Ripeteremmo, dopo secoli, la tragedia dell’Isola di Pasqua e dei suoi idoli di pietra dove i clan dominanti iniziarono una competizione sfrenata sul piano della costruzione di simboli del potere deforestando l’intera isola e riducendola alla miseria, fino a regredire nel cannibalismo (Diamond, Collasso, Einaudi). Ma l’economia non è un gioco a somma zero come vogliono farci credere le élite per mascherare il contenuto sociale della situazione economica e sterilizzare le istanze di cambiamento.

C’è una speranza, un cambio di traiettoria è possibile: i movimenti di Fridays for Future e Extinction Rebellion, i soli che, insieme a papa Francesco, vedono il pericolo imminente e si battono concretamente per una svolta che non può che essere la conversione ecologica di questa folle economia.

Se fossi la neoministra De Micheli li ascolterei con attenzione, osserverei i loro comportamenti e le loro pratiche virtuose e ne terrei in massimo conto perché è là che si manifesta la vera discontinuità col passato, che altrimenti resta solo un buon proposito.

La discontinuità è come la lettera rubata nel racconto di Poe, è davanti a tutti, eppure nessuno la vede, perché tutti la cercano altrove.

 

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