Stazione Metro dell’Amba Aradam ricordi anche le vittime del colonialismo italiano
Autore : Redazione
dal sito della Metro C
Mentre in tutto il mondo si mettono in discussione le icone eriditate da un passato antico o più recente che raccontano storie di violenza, razzismo e sopraffazione, a Roma si è aperto il dibattito sulla denominazione della nuova stazione della linea C della Metropolitana, che dovrebbe chiamarsi Amba Aradam – Ipponio, come le vie più note nelle vicinanze (1).
Ma Amba Aradam non è solo il nome esotico di una strada. Amba Aradam è il nome di una pagina di sangue del colonialismo fascista.
Si chiamava Via della Ferratella (2), il nome l’ha cambiato nel 1936 Governatorato di Roma per commemorare una battaglia decisiva per la vittoria italiana nella Guerra d’Etiopia. Gli italiani avevano invaso il paese africano pochi mesi prima, senza nessuna dichiarazione di guerra. Il generale Badoglio guidava un esercito in netto vantaggio per numero e potenza degli armamenti. E dopo aver sconfitto i nemici – ventimila i morti etiopi – per i quattro giorni seguenti aveva fatto sganciare dagli aeroplani italiani delle bombe al gas sulle colonne in rotta (3).
Noi non possiamo cancellare l’orrore della storia, ma abbiamo il dovere di ricordarlo, anche con una stazione della metropolitana costruita 85 anni dopo.
Per questo proponiamo che nella nuova stazione della metropolitana si trovino lo spazio e le parole per rendere onore a un Paese che gli italiani hanno saccheggiato, massacrandone la popolazione, come le diverse migliaia di uomini, donne e bambini innocenti uccisi in soli tre giorni ad Addis Abeba nel 1937 o le centinaia di monaci fatti uccidere per rappresaglia dal Generale Graziani a Debre Libanos.
Una prima occasione, che speriamo inauguri una lunga serie di targhe commemorative dei tanti luoghi segnati dalla toponomastica coloniale della Capitale, per fare i conti con una storia che l’Italia non ha mai voluto conoscere.
Giorgio Marincola
E ci uniamo alla proposta presentata dal giornalista Massimiliano Coccia, già approvata dal Consiglio del I Municipio, di dedicare la stazione della Metro alla memoria chi ha dato la vita per la libertà di Roma e dell’Italia: il giovanissimo – 22 anni – partigiano Giorgio Marincola, nato in Somalia da padre italiano e madre somala e ucciso dai nazisti in Val di Fiemme. In calce raccontiamo la sua storia.
il 1 luglio, in occasione della Festa d’indipendenza della Somalia, l’associazione NIBI Neri Italiani Black Italians, in collaborazione con Black Lives Matter Roma, movimento nato sull’onda del successo della manifestazione del 7 giugno scorso, ha organizzato una diretta streaming sulla questione relativa alla fermata della metro C Amba Aradam (- Ipponio)/Giorgio Marincola lanciata dal giornalista del l’Espresso Massimiliano Coccia. Neri italiani – Black italians con Massimiliano Coccia, la presidente del Municipio I Sabrina Alfonsi e padre Abba Mussie Zerai (sono stati invitati la Sindaca Raggi e il vice Sindaco Luca Bergamo)
Salvatore Monni e Carteinregola
1 luglio 2020
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(dal sito dell’ANPI)
Giorgio Marincola
Nato a Mahaddei Uen (Somalia) il 23 settembre 1923, caduto a Stramentizzo, presso Castel di Fiemme (Trento) il 4 maggio 1945, studente, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Una mostra allestita nel 2005 a Roma, al Vittoriano, ha illustrato la storia dell’unico partigiano italo-somalo decorato, alla memoria, di Medaglia d’Oro al Valor Militare. Dice la motivazione della nostra massima ricompensa al valore: “Giovane studente universitario, subito dopo l’armistizio partecipava alla lotta di Liberazione, molto distinguendosi nelle formazioni clandestine romane per decisione, per capacità, per ardimento. Dopo la liberazione della Capitale, desideroso di continuare la lotta, entrava a far parte di una missione militare e nell’agosto 1944 veniva paracadutato nel Biellese. Rendeva preziosi servizi nel campo organizzativo e in quello informativo ed in numerosi scontri a fuoco dimostrava ferma decisione e leggendario coraggio, riportando ferite. Caduto in mani nemiche e costretto a parlare per propaganda alla radio, per quanto dovesse aspettarsi rappresaglie estreme, con fermo cuore coglieva occasione per esaltare la fedeltà al legittimo governo. Dopo dura prigionia, liberato da una missione alleata, rifiutava di porsi in salvo attraverso la Svizzera e preferiva impugnare ancora le armi, insieme ai partigiani trentini. Cadeva da prode in uno scontro con le SS germaniche, quando la lotta per la libertà era ormai vittoriosamente conclusa”. Giorgio Marincola era nato presso Mogadiscio, dalla relazione tra suo padre, Giuseppe, ufficiale di fanteria in servizio nella Colonia somala, e una donna del luogo, Ashkiro. Quando il padre di Marincola torna in Italia, porta con sé Giorgio e la sorella Isabella. A Roma il ragazzo frequenta il liceo. Ha tra i professori Pilo Albertelli, che sarà poi trucidato alle Fosse Ardeatine. Nel 1941 Giorgio si iscrive a Medicina, ma non ha modo di concludere gli studi. È attivo nel Partito d’Azione, partecipa alla difesa di Roma, e si unisce poi alle prime formazioni partigiane operanti nel Viterbese. Dopo la liberazione della Capitale, Marincola si arruola, col grado di tenente, nella “Special Force” del Comando alleato. Paracadutato in Piemonte, il “tenente Giorgio” (ma utilizzerà anche gli pseudonimi di “Marcuzio”, “Mercurio” e “Marino”, dal cognome di uno zio col quale era cresciuto), organizza nel Biellese azioni di sabotaggio e attacchi contro le forze nazifasciste. È catturato dai tedeschi il 17 gennaio 1945, nei pressi di Zimone (BI), mentre era di ritorno da una missione a Milano per conto dell’organizzazione “Franchi”. Portato a Biella presso Villa Schneider, “Marino” è costretto a parlare alla nazifascista “Radio Baita”, per inviare un messaggio ingannevole che farebbe cadere in trappola i suoi compagni. Lui ne approfitta per dire: “Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica. La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli oppressori”. La trasmissione è interrotta e Giorgio è massacrato di botte. Trasportato prima all’ospedale di Biella, poi nel locale carcere e quindi a Torino, il 15 gennaio il giovane è condannato al lavoro obbligatorio presso la Lancia; ma a febbraio è prelevato per la deportazione in Germania. Gli fanno fare tappa nel campo di concentramento di Gries (Bolzano), e quando, il 30 aprile, viene liberato con gli altri prigionieri del campo, riprende le armi per liberare il Trentino ancora tenuto dai nazisti. Cade presso Cavalese, scontrandosi con un reparto di SS in ritirata che, a Stramentizzo, effettueranno l’ultima strage nazista in Italia (ventisette tra patrioti e civili inermi, massacrati tra Stramentizzo e Molina di Fiemme). Nel gennaio del 1946, l’Università di Roma ha conferito alla memoria di Giorgio Marincola la laurea “ad honorem”; nel 1964, inoltre, al partigiano italo-somalo è stata intitolata una via di Biella. La sua vicenda è raccontata nel libro, a cura di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, Razza partigiana.
NOTE
(1) https://metrocspa.it/stazione/amba-aradamipponio/
(2) si chiamava Via della Ferratella, a cui nel 1936 il Governatorato di Roma diede quel nome per commemorare la vittoria italiana nella Guerra d’Etiopia, nei pressi dell’omonimo monte, nel febbraio 1936.
(3) https://www.fanpage.it/esteri/quando-gli-italiani-in-3-giorni-massacrarono-30mila-uomini-donne-e-bambini-innocenti-in-etiopia/
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