Esattamente un anno fa, l’11 agosto del 2014, il Teatro Valle di Roma veniva sgomberato dalla forza pubblica, al termine di un estenuante trattativa.
Il teatro era stato occupato da un gruppo di lavoratori dello spettacolo e di cittadini nel giugno del 2011, quando si era fatta concreta l’eventualità che venisse privatizzato, o addirittura chiuso. Per tre anni quei cittadini hanno lavorato pacificamente, esercitando una provvidenziale supplenza rispetto a poteri pubblici immemori dei loro doveri, e raggiungendo notevolissimi traguardi professionali e politici: il Teatro Valle Bene Comune è in breve diventato un punto di riferimento per tutti coloro che credono che un altro modello di produzione e fruizione culturale (e anche di democrazia) è possibile.
Ma, appena divenuto presidente del Consiglio, Matteo Renzi sillabò che l’esperienza del Valle doveva finire: perché nemmeno questo minuscolo dettaglio potesse contraddire la parola d’ordine, TINA (There Is No Alternative). Detto fatto: il ministro Franceschini (al cui ministero appartiene lo storico immobile) e il sindaco Marino hanno eseguito, e il Teatro è stato svuotato.
Per farci cosa? Questa è la domanda, un anno dopo. Il motivo ufficiale è che bisognava fare urgenti lavori di manutenzione. Ma in questi lunghi, dodici mesi nessun lavoro è iniziato. Anzi, l’Osservatorio per i Restauri del Valle (un organismo autocostituitosi e formato da Paolo Berdini, Massimo Bray, Paolo Maddalena, Maria Rosaria Marella, Ugo Mattei, Gaia Pallottino e dal sottoscritto) non è mai riuscito ad avere una risposta ufficiale sull’andamento di questi fantasmatici lavori di restauro: dei quali non si conosce, ad oggi, nemmeno il progetto.
Se un anno fa fosse già scoppiata Mafia Capitale, con tutto quel che ne è seguito, sono sicuro che la politica romana non avrebbe avuto la forza di far calare il sipario al Valle: perché di fronte alla fogna che si è scoperchiata, quale opinione pubblica avrebbe considerato il Valle un problema? Ma invece è avvenuto prima: e oggi, ad un anno di distanza, è a tutti evidente che si è trattato di un atto gratuito, inutile, sterile.
Parafrasando Tacito, ai tempi del Vietnam si diceva degli americani :«Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace». È esattamente ciò che è successo al Valle, dove il vuoto, il buio, il nulla sono stati preferiti al lavoro delle donne e degli uomini del Teatro Valle Bene Comune. Uno dei capolavori di questo ministro per i beni e le attività culturali.
Si dirà che ha trionfato la legalità. Ma «sulla legalità abbiamo assistito ad una vera e propria manipolazione. Legalità è ormai parola abusata, svuotata a volte paravento di iniziative ambigue. Oggi c’è molta legalità di facciata, che non ha alcun legame con la giustizia. C’è il rischio di fare della legalità un idolo, uno strumento non di giustizia ma di potere». Sono parole di don Luigi Ciotti: che fotografano perfettamente ciò che è successo al Teatro Valle, esattamente un anno fa.
Tomaso Montanari
Gent.mo architetto
Francesco Scoppola
Direttore generale per le Belle Arti e il Paesaggio Ministero per Beni e le Attività culturali e il turismo
Roma, 15 gennaio 2015
Gentilissimo Architetto Scoppola,
Le scriviamo in qualità di membri dell’Osservatorio sui lavori del Teatro Valle, un comitato indipendente che si è costituito per monitorare come soggetto terzo l’andamento dei lavori del teatro, e tenerne al corrente la pubblica opinione.
In vista di una prossima assemblea pubblica – alla quale inviteremo la Fondazione Teatro Valle Bene Comune, il Teatro di Roma e tutti gli attori istituzionali, oltre ai cittadini e alla stampa – Le saremmo molto grati se potessimo ricevere la più ampia e dettagliata informazione sull’andamento dei lavori di restauro e messa a norma. E cioè sia sui progetti, che sulle gare, che su quelli eventualmente già iniziati.
Saremmo anche felici di poterLa incontrare di persona, una volta che avremo potuto ricevere e studiare questa documentazione.
Siamo certi che non Le sfugga l’importanza di una totale trasparenza, in questa delicatissima vicenda dove la tutela di un bene monumentale si intreccia in modo davvero speciale con le questioni più urgenti della nostra vita democratica: la gestione dello spazio pubblico, la politica della cultura, e soprattutto le libertà civili, l’uso dei beni comuni, i diritti costituzionali della persona.
In attesa di una Sua risposta, La ringraziamo e La salutiamo con viva cordialità,
Paolo Berdini Massimo Bray Paolo Maddalena Maria Rosaria Marella Ugo Mattei Tomaso Montanari Gaia Pallottino