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Un messaggio d’amore nella bottiglia nel mare dell’Appia Antica

Una presentazione di Enzo Scandurra del libro Lettere d’amore dalla via Appia di Rita Paris, archeologa e Direttore dell’Appia Antica per oltre 20 anni, che in questo caso si è data il compito di trascrivere le lettere ritrovate e di fare le ricerche negli archivi che hanno fornito elementi concreti alla conoscenza della storia.  (Gangemi ed. 2024, pp.141)

di Enzo Scandurra

Una intensa e tormentata storia d’amore sbuca, per incanto, dal cuore della via più famosa al mondo, la Regina Viarum.  È la mattina del 4 febbraio 1999 quando, durante i tradizionali lavori di scavo sull’Appia, compaiono le lettere, perfettamente conservate, dei due protagonisti di questa storia: Ugo e Letizia, la cui corrispondenza è affidata a due tubuli di piombo sepolti tra le tante testimonianze del passato che vengono riportate alla luce.

Una scoperta sorprendente, certamente insolita per l’archeologo abituato al ritrovamento di ben più antichi reperti. Desta, da subito, sorpresa e commozione quello scambio epistolare tra i due amanti che si sviluppa nel corso di due anni: dal 1926 al 1928. A parlarcene, col rispetto che merita la storia e con commozione, è Rita Paris, nota archeologa romana e Direttore dell’Appia Antica per oltre 20 anni (Lettere d’amore dalla via Appia, Gangemi ed. 2024, pp.141).

Perché questo ritrovamento inaspettato, tra tante e ben più importanti storiche testimonianze reperite su questa antica strada, suscita la commozione dell’Archeologa fino al punto da rendere pubblica questa corrispondenza tra i due amanti?

È trascorso del tempo” – dice nell’Introduzione Rita Paris – “altri progetti richiedevano la priorità, ma ho conservato con convinzione questo impegno, con riguardo per la storia e nella consapevolezza che avrei dovuto renderla nota con il rispetto che merita e l’attenzione propria della mia formazione di archeologa, cercando nei pochi archivi disponibili di reperire conferme e aggiungere un po’ di realtà a quello che descrivevano i documenti restituiti. Non volevo scrivere un libro sulle lettere, volevo pubblicare le lettere e il lavoro di ricerca svolto”.

Così inizia un attento lavoro sugli archivi per risalire all’identità dei due protagonisti che, per il rispetto dovuto loro, verranno, nel libro, chiamati sono per nome: Ugo e Letizia.

Della loro identità si conosce solo quella del personaggio maschile. Sposato con due figli ha partecipato alla Grande Guerra, fino ad avere il grado di Maggiore. Più volte ferito, dimesso la seconda volta dall’ospedale è posto in congedo perché riconosciuto permanentemente inabile al servizio militare. Lavora alle Ferrovie dello Stato. A dividere con lui la stessa stanza di lavoro è l’altra protagonista della vicenda: Letizia col ruolo di segretaria o assistente. Si danno del Lei, distanza formale richiesta dai protocolli dell’epoca, ma forse anche per il carattere contenuto e rispettoso di entrambi, sotto il quale si nasconde una grande passione.

Questa tragica storia d’amore, testimone di  delicatezza di sentimenti e di rispetto umano,  si impone come uno spaccato di luce e di potente bellezza in una Roma che assiste all’alba del Fascismo e che, con il delitto Matteotti (1924), annuncia la sua funesta ferocia. Tuttavia, nelle lettere non verrà mai fatto riferimento alcuno a questo tragico sfondo. Come se l’amore tra i due amanti appartenesse ad un’altra dimensione, come se volesse essere protetto da ogni intemperia esterna.

Non possono vivere una relazione (Ugo è sposato con due figli) ma nemmeno possono separarsi per quel poco che il destino ha riservato loro, come, afferma Ugo in una delle lettere, “due naufraghi avvinti l’uno all’altro”. Una situazione disperata senza vie d’uscita, senza speranza se non la consolazione di essere entrambi arsi dal sentimento d’amore: “Ma io, e come me altri nei miei panni, non debbo dare ascolto alla voce della tua bellezza, che pure è possente, per non incamminarci sulla strada che non potremmo percorrere con dignità e rispetto di noi stessi”.

Io ho nella memoria e nell’anima ogni istante di quel pomeriggio primaverile, come rimangono nella memoria e nell’anima certi istanti della vita che sembrano tracciare il nostro destino. Ricordo Piazza Farnese. Eravamo ormai lontani dalla folla e dal tumulto ma nel mio cuore era un tumulto ben più possente e incessante

Ugo nella sua innocente onestà, confiderà alla moglie, quasi da subito, quei sentimenti nutriti per la sua collega e amica, ma sempre nelle sue lettere sarà rispettoso della sua condizione e di quella dell’amante,

Come potrei aver infine mai pensato ch’Ella concepisse alcuna speranza né vicina né lontana se io stesso, giuro, mai l’ho concepita? La fiamma che ci ha arso è apparsa sempre ad ambedue, ignaro l’uno dell’altro, fiamma di sacrificio e di martirio”.

Limitandosi a godere della sua presenza, degli sguardi scambiati, delle poche passeggiate fatte insieme in una città che ai loro occhi di innamorati doveva sembrare un semplice sfondo sul quale fissare i rispettivi sentimenti.

Io ho goduto in quegli istanti il più puro amore che sia concesso di godere ad uomo; essere vicino all’oggetto del suo più ardente desiderio e vederlo con gli occhi dello spirito così in alto così incontaminabile da non parere più cosa terrena, vederne risplendere l’anima in tutta la sua divina bellezza

Non conosciamo le lettere che Letizia ha inviato a Ugo, perché quest’ultimo non le ha affidate, come le proprie, alla “bottiglia gettata nel mare” dell’appia Antica, ma dalle sue si intuisce l’amore ricambiato con la stessa tenerezza dalla donna che deciderà infine di lasciare l’ufficio per svolgere un nuovo lavoro. Né sappiamo perché Ugo abbia intenzionalmente affidato ai posteri la conoscenza di questa relazione segreta, se non, forse, per conferire immortalità, e non oblio, ad una storia personale importante; renderla pubblica come avrebbe voluto se le circostanze e le contingenze di una Storia più grande lo avesse reso possibile.

I due amanti si vedranno per l’ultima volta a Pisa. Ugo le chiede di portare con sé le lettere che lui le ha spedito per rendergliele “giacché immagino che non potrai conservarle”.

Comunque io pensi, comunque io agisca, in fondo ad ogni pensiero, ad ogni mia azione ti ritrovo, ora amica, ora nemica, non importa, ma te, e sempre te, ritrovo come l’aria stessa che mi circonda e mi fa vivere. Questa è la verità che si chiama, purtroppo per noi, amore”.

Credo ci sia da essere sommamente grati a Rita Paris, al di là dei suoi ben noti meriti di archeologa, per averci resa nota una storia d’amore che, in questi tempi di ferocia collettiva e odio, ci restituisce la sensazione di essere ancora umani.

Enzo Scandurra

17 gennaio 2025

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com