L’archeologia e i cittadini
Anna Maria Bianchi
Voglio cominciare ringraziando per l’invito, e non si tratta di un ringraziamento formale, perchè chiedere a un laboratorio di comitati cittadini come Carteinregola di intervenire in un’occasione come questa, mi sembra che dimostri l’intenzione di “partire con il piede giusto”, allargando il dibattito ai cittadini e alla città.
Cittadini e archeologia: un rapporto che si è perso?
E voglio cominciare ringraziando anche tutti coloro che prima di noi si sono battuti per salvare parti importanti di Roma: sarebbe interessante fare una mappa della città ricostruendo come sarebbe oggi, senza le battaglie dei cittadini, delle associazioni e soprattutto di alcuni personaggi illuminati come Antonio Cederna. Il caso più eclatante è quello dell’Appia Antica: senza il suo celeberrimo articolo “I gangster dell’Appia” e l’impegno di tanti intellettuali e cittadini comuni, quella che è una strada unica al mondo non ci sarebbe più.
E non saremmo qui a parlare di questo enorme spazio che parte dal cuore della città e arriva in piena campagna, in un paesaggio che ancora conserva la bellezza tramandata dai dipinti del Gran Tour. Prima del Piano Regolatore del 1965, ai lati dell’Appia Antica erano previsti 5 milioni di metri cubi di edificazioni. Grazie a Cederna, a Italia Nostra, a WWF, FAI, Legambiente, al Comitato per la Bellezza, fino al Forum Salviamo il Paesaggio, alla patologica avidità della speculazione edilizia hanno continuato a contrapporsi gli anticorpi dell’impegno della società civile.
Una partita che continua ancora oggi, con vittorie e sconfitte, tra il riconoscimento di regole più giuste e nuovi diritti, e il rischio del loro svuotamento, come è successo e continua a succedere troppo spesso.
Il progetto Fori si inserisce in questo solco. Dello spazio archeologico da riconquistare come città pubblica. Non solo “museo” per la conservazione di testimonianze importanti del passato. Non solo “patrimonio”. Specialmente non solo “risorsa turistica”, anche se ormai sembra che si possano giustificare iniziative e investimenti solo dove ci sono ricadute economiche quantificabili.
Ai tempi del Sindaco Petroselli il Progetto Fori era un progetto popolare, sia nelle intenzioni di chi lo promuoveva, sia nella risposta di una importante parte della città. A rileggere le cronache dell’epoca si prova un senso di nostalgia, come se fosse passato troppo tempo e quel mondo e quell’entusiasmo non esistessero più .
Il progetto arriva insieme all’aria nuova che investe tutta la vita della città, si salda con la visione dello spazio pubblico di Nicolini, dell’Estate Romana e del decentramento.
Il Soprintendente La Regina vuole restituire l’area archeologica alla città, trasformarla da recinto a cui si accede a pagamento a una “serie di piazze sempre aperte”. E la città accorre, comincia la tradizione delle domeniche pedonali ai Fori, il Comune organizza le visite, guidate da Italo Insolera, Filippo Coarelli, Bernardo Rossi Doria”. Sono in qualche modo “figlie” di quelle domeniche le tante iniziative che hanno continuato e continuano a fiorire nel centro come nelle periferie: le “biciclettate” al Parco degli Acquedotti organizzate dai comitati del VII municipio, le passeggiate/esplorazioni di Primavera Romana, le visite dell’Archeologia del quotidiano”dell’AIAPP , fino ai “walk show” di Urban Experience e i tanti “viaggi” sui territori.
A riproporre il “progetto Fori”, in questi tempi, si rischia di essere accusati di portare avanti iniziative élitarie, che riguardano pochi privilegiati – il “centro” – mentre la gente vera, soprattutto quella delle tante periferie, ha ben altri problemi. E la città priorità più impellenti. Ma anche allora c’era questa preoccupazione, se Petroselli scriveva:
“[su via dei Fori Imperiali] c’è un allarme della cultura nazionale e mondiale che non possiamo far cadere senza assumerci gravi responsabilità. Noi rischiamo di perdere in dieci, vent’anni quello che non si è riusciti a perdere per secoli. Non possiamo essere indifferenti a questo appello di di responsabilità; ma ancora e soprattutto c’è una domanda della città la quale, come in tutti i periodi di crisi, si interroga in modo nuovo sul passato, che è un modo per parlare del presente e del futuro, quando sono incerti; c’è la ricerca e la possibilità di conquista e di riconquista di una nuova identità cittadina e insieme l’espressione delle forme di vita associativa proprie di un processo quale è quello che noi abbiamo avviato, di unificazione della città intorno a nuovi valori. Non c’è dunque nessun contrasto, se non artificioso e bassamente strumentale tra Via dei Fori Imperiali e la prima e la seconda periferia romana. Al contrario si può partire da via dei Fori Imperiali, come si sta facendo, per andare al Forte Prenestino, negli altri luoghi storici della città e concorrere al programma di difesa dei monumenti, ma soprattutto quello che accade, e che vogliamo che accada, è che non solo il tempo di percorrenza, ma il tempo mentale e il tempo culturale si accorci tra Via dei Fori Imperiali e la periferia, tra la periferia e via dei Fori Imperiali”
E anche oggi, persino più di allora, “periodo di crisi” e “di tempi incerti”, è ancora necessario interrogarsi “in modo nuovo sul passato… per parlare del presente e del futuro”. E d è ancora forte il bisogno di una “riconquista di una nuova identità cittadina” e di una “unificazione della città intorno a nuovi valori”. E ci sono le condizioni perchè ciò accada. Anche in questi tempi di crisi, e dopo anni di “consumismo & individualismo”, il nostro patrimonio storico archeologico – come il patrimonio naturale – l’archeologia come gli alberi, fanno ancora scendere i cittadini in piazza. Le persone sono ancora disposte a investire tempo ed energie per difendere qualcosa che sentono proprio, non come “oggetto di valore” , ma come un pezzo di identità collettiva che rimane nonostante tutto.
L’anno scorso, il 21 aprile 2013, il Forum Salviamo il Paesaggio a cui fanno riferimento decine di comitati, ha organizzato la Marcia per la terra, partita da Monte Cavo, attraversando Ciampino, lungo l’Appia Antica , facendo tappa a Cecilia Metella, per poi arrivare al Colosseo. Una marcia/manifestazione di comitati per la difesa dei suoli e contro il cemento, sulle tracce della storia precedente e – non casualmente – del grande percorso archeologico del Progetto Fori. Ci sono centinaia di esempi di gruppi cittadini attivi in tutta la città metropolitana , che cominceremo a mettere on line sul nostro sito, per costruire una mappa a testimonianza della presa di coscienza dei cittadini che si va espandendo, anche se è completamente ignorata dalla maggior parte dei media.
I cittadini da ”vigilanti” a “protagonisti”
Navigando tra le testate dei siti e dei blog dei comitati , la natura e l’archeologia dei territori vengono spesso scelte come icone significative. E la nostra città in questo è assolutamente “democratica”: i reperti archeologici sono distribuiti abbastanza equamente in tutta la superficie metropolitana e oltre. Sarebbe importante creare anche una mappa archeologica con tutti i reperti disseminati nella città , accorpando quelle già create da molti comitati di quartiere, che hanno cominciato a censire puntigliosamente tutte le sopravvivenze di valore sparse nei loro luoghi. E forse c’è molta più determinazione proprio nelle periferie nel difendere quei pezzi di paesaggio e di passato, perché spesso sono le uniche fonti di orgoglio e di bellezza. Gli unici argini a un degrado urbano e sociale fatto di mancanza di spazi comuni, luoghi dove incontrarsi e stare insieme, punti di riferimento pubblici dove possono essere accolte le esigenze degli abitanti.
Le storie di molti comitati raccontano un percorso che comincia con un’emergenza, una ribellione, anche “nimby”* magari, che si sviluppa attraverso la progressiva autocostruzione di gruppi di cittadini consapevoli, che riscoprono e condividono man mano il senso del luogo strettamente connesso al senso della comunità. E questo percorso diventa anche uno spostamento dello sguardo dal problema specifico e immediato a tutto quello che c’è oltre, uno sguardo “in profondità”, che vede tutto il resto che manca, o che c’è e che non è valorizzato e che potrebbe essere rivendicato.
Ma la tutela di un luogo storico è spesso essa stessa la “molla” che fa scattare l’impegno dei cittadini. Emblematico il caso dell’area Via Giulia – Largo Perosi -Via Bravaria, dove il nel Piano Parcheggi dal 2006 ha previsto la realizzazione di un parcheggio sotterraneo di 3 piani. Durante le indagini archeologiche sono venuti alla luce i resti di quelle che sono state identificate come scuderie di età augustea. Un anno fa si è appreso che la società titolare del previsto parcheggio aveva presentato un project financing per realizzare un albergo di lusso, decine di appartamenti , un “urban center”da 1.900 metri quadrati. Il tutto per finanziare la musealizzazione dell’importante sito archeologico, che avrebbe dovuto essere inglobato negli edifici e inserito sotto un piano di parcheggi. La reazione dei cittadini non si è fatta attendere: si è costituito un comitato spontaneo ed è stato lanciato un appello, che dovrebbe aver fermato il progetto delle cubature, ma non quello del parcheggio, che non sembra escluso che possa essere costruito anche su parte dell’area archeologica, almeno a giudicare dalla recente relazione della Sovrintendenza Capitolina, che ammette la possibilità che venga realizzata una soletta sopra le scuderie.
Ma non ci interessa qui lanciare l’ennesimo appello, ma parlare di due condizioni fondamentali, che dovrebbero improntare tutte le trasformazioni urbane, comprese quelle che riguardano le scelte per gli spazi archeologici: la trasparenza e la partecipazione. Si parla da sempre di coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte che riguardano la città, ma troppo spesso le decisioni che riguardano il patrimonio storico e archeologico vengono prese nelle “segrete stanze” delle Soprintendenze e dei dipartimenti comunali.
Quando si tratta di prendere decisioni su un patrimonio così importante, che riguarda tutta la città (e non solo), sarebbe necessario aprire un dibattito pubblico, che coinvolga sì gli esperti, ma anche il mondo della cultura, le associazioni, i comitati di quartiere, fino ai semplici cittadini. E in questo senso si sta muovendo il coordinamento di Comitati per la Tutela di Via Giulia, che ha deciso di passare dalla fase di “resistenza” alla fase propositiva, e non avanzando soluzioni per la sistemazione dell’area, ma lavorando alle regole con cui l’amministrazione dovrebbe raccogliere e gestire le proposte insieme ai cittadini e prendere una decisione democratica e all’insegna dell’interesse pubblico.
Il percorso del Coordinamento di Via Giulia rispecchia quello di tanti altri comitati romani (e di altre città) che anche negli ultimi anni continuano a nascere a mobilitarsi per difendere il proprio territorio dalla speculazione, ma anche per difendere il patrimonio comune.
Esistono molte “buone pratiche”, elaborate dai cittadini, spesso in collaborazione con le istituzioni locali, le scuole e le università, che possono “dare l’esempio”. Voglio citare l’Ecomuseo promosso dal Comitato Osservatorio Casilino che – usando le parole del sito – interviene sullo spazio di una comunità, nel suo divenire storico, proponendo “come oggetti del museo” non solo gli oggetti della vita quotidiana ma anche i paesaggi, l’architettura, il saper fare, le testimonianze orali della tradizione, ecc… La portata innovativa del concetto ne ha inevitabilmente determinato la conoscenza ben oltre l’ambito propriamente museale… Può essere un territorio dai confini incerti ed appartiene alla comunità che ci vive. Un ecomuseo non sottrae beni culturali ai luoghi dove sono stati creati, ma si propone come uno strumento di riappropriazione del proprio patrimonio culturale da parte della collettività.”
Riprendiamoci la città pubblica
Molti, sentendo riparlare del “Progetto Fori” si allarmeranno per le possibili conseguenze sulla mobilità, si chiederanno dove passeranno le automobili, si preoccuperanno dell’ aumento del traffico. Questa è senz’altro una problematica da affrontare con gli strumenti giusti e con la partecipazione dei cittadini.
Ma è anche ora di cominciare a pensare alla mobilità, soprattutto qui, non solo in termini di automobili. Per la maggior parte di noi, molti angoli di Roma, anche quelli di una bellezza straordinaria, sono diventati immagini di passaggio che scorrono dietro i finestrini mentre ci spostiamo da un punto all’altro della città. Ma il Foro Romano, il Colosseo, l’Appia Antica, non possono essere ridotti a strade di attraversamento che fanno risparmiare qualche minuto negli spostamenti. Devono tornare ad essere un luogo dove la gente viene per restare, per camminare, per scoprire. Uno spazio dove ci si sposta a piedi, o in bicicletta, dove il tempo possa rallentare e si possa respirare la bellezza della città. Riprendersi la città vuol dire questo: riprendersi gli spazi, riprendersi il tempo, riprendersi un modo diverso di vivere.
Scrivono De Lucia e Baffoni in “La Roma di Petroselli”: “Impossibile non vedere il legame “sentimentale” tra Estate Romana e progetto Fori. Non la risistemazione solo archeologica della zona centrale e nemmeno solo la liberazione dalla morsa dal traffico. Ma il riappropriarsi del cuore urbano da parte di tutti i cittadini, non solo di quei pochi che hanno la ventura di viverci. Farne luogo di incontro , di vita, di amicizie e di amori”
Petroselli era orgoglioso di essere il primo sindaco ad aver cancellato una strada anziché inaugurarne una nuova.
Non è un caso che l’asse Campidoglio/Fori/Colosseo, dove sono concentrate le più importanti vestigia della grandezza della Roma Antica, sia stato scempiato dalle scenografie autocelebrative dei nuovi poteri, dal Vittoriano alla Via dell’Impero: le demolizioni per le nuove opere hanno inciso la città con violenza, come gli sciagurati turisti che incidono il proprio nome sui monumenti.
Riportare alla luce nel centro della città il suo cuore antico e aprirgli un varco che segue la sua storia, ricostruire uno spazio che non esiste e che non ha uguali nel mondo, vuol dire restituire ai cittadini romani una città nuova. Rimettere al centro della città le persone e riportare le persone a vivere il centro.
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* N.I.M.B.Y. (da Wikipedia) (acronimo inglese per Not In My Back Yard, lett. “Non nel mio cortile”) indica un atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite, che consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio