Francesco Erbani
Giornalista di la Repubblica
Il Progetto Fori è datato fine anni Settanta. I suoi protagonisti principali sono il sindaco di allora, Luigi Petroselli, l’allora soprintendente ai beni archeologici, Adriano La Regina, gli urbanisti Leonardo Benevolo e Italo Insolera, e Antonio Cederna che ne scrive sul Corriere della Sera e poi su Repubblica e L’Espresso e che, nel pieno della vicenda, pubblica anche un libro, Mussolini urbanista, un po’ libro di storia un po’ pamphlet, che però ha molto a che fare con la cronaca del progetto. Il progetto consiste certo in una sistemazione dell’area archeologica centrale di Roma, ma soprattutto nella creazione di «un sublime spazio pubblico», così l’ha definito Benevolo, che da piazza Venezia comprende i Fori, il Colosseo, il Palatino, il Circo Massimo e di lì si spinge verso l’Appia Antica, percorrendo la quale si giunge ai Castelli. Archeologia urbana e archeologia nel paesaggio della campagna romana. L’archeologia come elemento costitutivo della dimensione urbana, della dimensione quotidiana della città, non solo oggetto di contemplazione turistica. Oggetti che incutono senso di cittadinanza e di rispetto e non soggezione.
Visto oggi, a tanti anni di distanza, quel progetto rivela che in fondo all’idea di smantellare la via dei Fori imperiali voluta dal fascismo e inaugurata nel decennale della marcia su Roma – 1932 – c’è un Progetto per Roma. Un progetto basato su una diversa idea di Roma rispetto a quella coltivata da chi lascia che si espanda senza confini. L’idea di una città che faccia perno sulla propria cultura millenaria e che per il futuro si concentra sul miglior uso delle parti già edificate, senza andarne a consumare di nuove. Ed è dunque un’idea che, nonostante sia stata formulata in un’altra epoca, sotto altre stelle politiche e culturali, frutto di fermenti intellettuali che si sono assopiti e che è molto complicato ridestare, risponde a questioni e bisogni tutt’altro che soddisfatti – il rapporto irrisolto fra il centro e le periferie, la sopravvivenza non solo fisica del centro storico, la forza esercitata dalla speculazione fondiaria, pure trasferita su lidi finanziari, nel disegno complessivo della città -, questioni e bisogni che interrogano ancora Roma nella sua interezza. Ed è per questo che quel progetto non è consegnato agli archivi.
Vezio De Lucia l’ha definita «la più straordinaria invenzione urbanistica nella storia della capitale». E in effetti la dimensione urbanistica dell’operazione si affianca, fin dagli esordi, agli aspetti di conservazione e di valorizzazione di uno strabiliante patrimonio di storia e di antichità. È un progetto per tutta Roma, non solo un progetto per realizzare un parco archeologico senza paragoni al mondo – il che, ovviamente, basterebbe a impegnare tutte le energie disponibili. Così lo intende Petroselli, che ne fa un obiettivo politico sul quale chiede e ottiene il consenso dei romani, i quali nel 1981 lo rieleggono sindaco anche per questo. Il Progetto Fori, scrivono Insolera e Francesco Perego, “propone una sintesi ambiziosa quanto inedita tra il patrimonio archeologico e il tessuto urbano che lo circonda: l’antico non è più inteso come ‘monumento’, né come quinta evocatrice di illustri memorie, ma come parte storica potenzialmente equiparabile ad altre parti storiche – medievali, rinascimentali, barocche – che la città non ha mai smesso di usare”.
Il ripristino dell’integrità dell’area archeologica centrale, secondo Cederna, è parte della tutela del centro storico di Roma che deve avvenire non per emergenze individuali, ma interessare l’intero tessuto della città pre-novecentesca. E, dato che la conservazione dell’antico è la condizione per costruire la città moderna – ed entrambe le operazioni sono “vicendevolmente necessarie” – la complessa iniziativa è il frutto di una pianificazione e la pianificazione, per Cederna, va intesa come un’attività “coercitiva”, tendente cioè a “impedire che il vantaggio di pochi si trasformi in danno ai molti, in condizioni di vita faticosa e malsana per la comunità”. Secondo Cederna l’area archeologica centrale costituisce il vertice di un cuneo che appunto arriva ai Castelli, percorrendo tutta l’Appia Antica, e i cui lati si affacciano su alcune delle zone di più intensa e caotica edificazione. Offrono verde, ossigeno e cultura ai “murati vivi”. Inoltre, a sottolinearne la dimensione urbanistica e l’incidenza su tutta la città, Cederna associa il Progetto Fori, con costanza e più volte nel corso degli anni, a un altro obiettivo ai suoi occhi cruciale per il futuro di Roma, lo Sdo. Ancora nel 1989, mentre il Progetto Fori sfiorisce all’orizzonte della città, presentando alla Camera il disegno di legge per Roma capitale, Cederna insiste sull’intreccio fra la sistemazione archeologica e il trasferimento dal centro storico delle pesanti funzioni amministrative che gravavano, e gravano oggi ancora di più, sul tessuto edilizio rinascimentale e barocco. Trasferimento che, contemporaneamente, avrebbe dovuto portare qualità e servizi nella periferia.
La questione è ripresa in termini analoghi a quelli di Cederna da Benevolo, secondo il quale l’area archeologica centrale propone un confronto fra la città morta e quella viva, un confronto diacronico, fra la magnificenza del passato e la rovina del presente, e sincronico “fra una dimensione urbana colossale, perduta e silenziosa” e una dimensione normale, quella della vita quotidiana. Questo confronto è tuttora decisivo, aggiunge Benevolo, sia in senso intellettuale che fisico: “Conserva l’identità storica della città in cui viviamo oggi e rende possibile, con la sua sistemazione, il riordinamento di tutto l’organismo urbano, con l’enorme periferia cresciuta intorno”.
Il Progetto Fori ha una storia recente e una più remota. L’idea ha origini in epoca napoleonica, durante i cinque anni dal 1809 al 1814 in cui Roma è parte dell’impero francese. Fra i decreti emanati dal prefetto de Tournon, pubblicati nella nuova edizione di Roma moderna di Insolera, uno riguarda un grande parco archeologico che comprende il Foro, il Colosseo e il Palatino. Il progetto è inteso in termini di collegamento fra la grandezza antica e la città contemporanea. Il concetto viene ripreso alla fine dell’Ottocento e smentito dagli sventramenti fascisti e dalla realizzazione, nel 1932, della strada che attraversa i Fori. Su questi episodi torneremo, ma intanto proviamo a riannodare i fili della storia recente.
Nel 1971 esce il libro di Benevolo Roma da ieri a domani che avvia la riflessione su un assetto dell’area archeologica centrale a partire dalla soppressione della via dei Fori imperiali. Pochi giorni prima del Natale 1978 Adriano La Regina, da alcuni anni soprintendente ai Beni archeologici, lancia l’allarme per le condizioni dei monumenti nell’area centrale, l’Arco di Costantino, quello di Settimio Severo e la Colonna Antonina, i cui marmi si sfarinano, affetti da una specie di lebbra, e diventano come gesso, corrosi dagli scarichi delle auto. O i monumenti o le auto, incalza il sindaco Argan. Gli interventi di La Regina si moltiplicano. In occasione delle celebrazioni per il Natale di Roma, il 21 aprile del 1979, il soprintendente ricorda lo studio di Benevolo del 1971 e rilancia la proposta dell’urbanista. Sono maturi i tempi, dice, per procedere alla soppressione della via dei Fori imperiali, almeno nel tratto da piazza Venezia all’imbocco di via Cavour, per riunificare il complesso archeologico e per evitare che il centro storico della città sia il luogo che attrae più di ogni altro, perché sede di tutte le attività politiche, amministrative e direzionali. Si muove anche il ministero, che incarica una commissione presieduta dallo storico dell’arte Cesare Gnudi, la quale concorda con le posizioni di La Regina.
Si ipotizza intanto la distruzione di via della Consolazione, la strada ai piedi del Campidoglio fra i templi di Saturno e di Vespasiano. Cederna torna ripetutamente sulla questione dalle pagine del Corriere. I suoi non sono articoli di cronaca e neanche di commento. Sono un pressante incitamento ad agire. Il sindaco Luigi Petroselli, subentrato ad Argan a fine settembre 1979, «si faccia coraggio, stimoli e metta d’accordo i suoi assessori e si decida a brandire il piccone per distruggere, smantellare, eliminare quella strada (…) che corre per un centinaio di metri alle spalle del Campidoglio. (…) Non ci sono controindicazioni di sorta. Problemi di traffico? Nessuno: la via in questione è chiusa al traffico e nessuno se n’è accorto». Trascorrono appena otto giorni e Petroselli vara una delibera per la distruzione di via della Consolazione. L’intervento viene avviato neanche un mese dopo, per battere sul tempo le perplessità che in sede ministeriale ha manifestato uno storico dell’arte illustre come Cesare Brandi. E già si annunzia un secondo passo: l’eliminazione a destra del Colosseo della strada che lambisce l’Arco di Costantino.
Contemporaneamente ci si batte perché il Parlamento vari la legge speciale per Roma (180 miliardi di lire in cinque anni) che prevede interventi di restauro, esplorazioni archeologiche e anche espropri lungo l’Appia Antica (il provvedimento viene approvato nel marzo del 1981).
Intorno al Progetto Fori si forma un movimento di opinione che sembra sfondare nel mondo della politica e in quello della cultura. A febbraio del 1981, fortemente volute da Petroselli, iniziano le chiusure domenicali al traffico di via dei Fori imperiali. È una festa popolare, avviata timidamente, ma poi proseguita con più slancio, che si collega con le altre iniziative di massa intraprese dall’amministrazione di sinistra, la più riuscita delle quali è l’estate romana promossa dall’assessore Renato Nicolini. I romani e i non romani che sciamano lungo lo stradone voluto dal fascismo potrebbero prefigurare una svolta radicale e duratura nell’assetto complessivo della città. Si approssimano inoltre le elezioni e il consenso nei confronti dell’amministrazione Petroselli è ben evidenziato anche da quelle famiglie che ogni domenica riscoprono la bellezza dell’antico.
Alle ostilità che manifestano il latinista Ettore Paratore sul quotidiano Il Tempo e l’ingegner Piero Samperi, a lungo direttore dell’Urbanistica presso il Comune di Roma, alle critiche che compaiono anche sull’Unità, Cederna replica scrivendo con insistenza, confidando sul sostegno che il Corriere continua a garantire al progetto. A metà marzo sulle pagine del quotidiano esce un appello a favore del Progetto Fori sottoscritto da 240 personalità della cultura – scrittori (Giorgio Bassani, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Luigi Malerba), registi (Luigi Comencini, Gillo Pontecorvo, Luigi Magni), filosofi, scienziati, sociologi, storici, editori e giornalisti (Norberto Bobbio, Daniele Bovet, Francesco Adorno, Franco Ferrarotti, Enzo Forcella, Alessandro Galante Garrone, Vito Laterza, Alberto Ronchey), architetti e urbanisti (Giovanni Astengo, Leonardo Benevolo, Giuseppe Campos Venuti, Vezio De Lucia, Edoardo Detti, Roberto Einaudi, Mario Ghio, Tommaso Giura Longo, Antonio Iannello, Michele Martuscelli, Carlo Melograni, Luigi Piccinato, Bernardo Rossi Doria, Edoardo Salzano, Italo Insolera, Bernardo Secchi), archeologi (Andrea Carandini, Filippo Coarelli, Giovanni Colonna).
Il Progetto Fori è uno dei punti principali nel programma elettorale di Luigi Petroselli. Ma con l’improvvisa scomparsa del sindaco, i primi di ottobre del 1981, appena insediatosi dopo la vittoria, riprende smalto anche dentro il Pci una posizione più cauta su tutta l’operazione. Cederna scrive due articoli di rievocazione, uno sul Corriere, l’altro su Rinascita. Petroselli, sfidando una parte del suo stesso partito, aveva chiaro che il Progetto Fori «ci avrebbe aiutato a concepire in modo nuovo la Roma futura, a ridimensionare e a capire meglio gli stessi problemi del traffico, del commercio e della direzionalità, dimostrando così di avere ben compreso il carattere per così dire rivoluzionario di quella riscoperta dell’antico cui assistiamo: perché la salvaguardia della Roma archeologica può diventare la leva per sollevare le sorti di Roma intera».
Con la morte di Petroselli viene a mancare l’impulso politico a una strategia culturale e urbanistica di respiro enorme. Il suo successore, Ugo Vetere, anche se formalmente non smentisce l’intenzione della giunta di proseguire quel cammino, cambia passo. Viene istituita una commissione che fa slittare in un tempo quasi indefinito la realizzazione del progetto. Anche il governo manifesta maggiore freddezza, stando alle dichiarazioni del ministro Nicola Vernola. Diventa più folta la schiera degli oppositori, fra i quali si annoverano grandi personaggi della cultura come Giuliano Briganti, Federico Zeri e Cesare Brandi. Quest’ultimo lamenta che lo smantellamento di via dei Fori imperiali è incompatibile con una città di impianto prospettico rinascimentale e barocco, nella quale «si verrebbe a inserire non più una serie di monumenti da riassorbire nel tessuto vitale urbano, ma un campo di rovine intransitabili che bloccherebbe senza scampo tutto il centro cittadino».
Cederna è impegnato in vario modo. Nel Progetto Fori mette un libro, Mussolini urbanista. Lo sventramento di Roma negli anni del consenso, pubblicato nel 1979, nel pieno della discussione. Il volume è al tempo stesso un libro di storia – è fittamente documentato, attinge a giornali e riviste d’epoca fascista e anche a materiali d’archivio non esplorati – e un vibrante pamphlet, schierato senza infingimenti e senza risparmiare l’aggettivazione esilarante, corrosiva, persino faziosa. Mussolini urbanista ha il suo fulcro negli sventramenti fascisti, nel loro rilievo urbanistico e politico. Ma Cederna si avvicina a esaminare quelle vicende insistendo sulla mistificazione culturale che le sostiene e sul capovolgimento d’ogni considerazione archeologica scientificamente accreditata. I ragionamenti che Cederna sviluppa, rovesciando quelli fasciste, tornano utili per il Progetto Fori. Il capo del fascismo è affetto da un “delirio” che, «basato su un mito vizioso e inteso a ristabilire un anacronistico primato, riuscì ad abbracciare solo un fantasma, il rovescio della romanità: nessuna mentalità è mai stata più negata di quella fascista a comprendere l’autentica eredità della civiltà classica. E la sorte urbanistica toccata a Roma ne è la prova più evidente». L’esaltazione del primato è un culto piccolo-borghese, falso, ispirato da preoccupazioni d’ordine e di decoro. «I monumenti millenari della nostra storia devono giganteggiare nella necessaria solitudine»: il proposito mussoliniano è espresso nel 1925, ma è, sottolinea Cederna, un’idea («vecchia spazzatura urbanistica») che circola nei precedenti piani regolatori cittadini. Alla base dei propositi fascisti Cederna scorge una viziosa concezione dell’archeologia, «come mezzo d’evasione, come curiosità mossa da stimoli irrazionali ed estetizzanti, dall’irresistibile miraggio delle civiltà sepolte in quanto passibili di resurrezione», quasi, aggiunge, «una pratica di spiritismo».
Mussolini urbanista è un libro sul valore della storia come elemento vitale di una città. Di tutta la storia, dalla più antica alla più recente. La storia non è concepita come uno sfondo scenografico, mummificato e falsificato, e neanche come monito esemplare, che si impone per via monumentale e facendo il vuoto attorno. È invece parte attiva nel formarsi di una città e poi della sua esistenza quotidiana. Con gli sventramenti, Roma diventa informe, cresce “a macchia d’olio” e chi la governa rifiuta «di capire, al di là delle apparenze superficiali, i veri problemi della civiltà urbana moderna».
La distruzione del quartiere costruito dal Cinquecento in poi tra i Fori e la realizzazione di via dell’Impero sono idee che vengono da lontano, presenti nei piani regolatori della città dal 1873 in poi. Nel 1886 si demolisce tutta la pendice settentrionale del colle capitolino. Nel 1900 viene giù il Palazzo Torlonia di fronte a Palazzo Venezia e si costruisce l’edificio delle Assicurazioni Generali. Nel 1911, poi, la questione si complica con l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele, l’Altare della Patria. Il piano del ’31 prevede lo stradone largo in media 60 metri che da piazza Venezia costeggia la Basilica di Massenzio giunge al Colosseo e di lì sfocia a San Giovanni in Laterano. Tutto quel che c’è in mezzo va abbattuto. Detto fatto: i lavori iniziano nell’ottobre del ’31 e terminano il 28 ottobre del ’32, decennale della marcia su Roma.
Ma il rilievo urbanistico dell’operazione è altrettanto scellerato di quello architettonico, culturale e archeologico. Con lo sventramento dei quartieri a destra dell’Altare della Patria e l’apertura della via del Mare (oggi via del Teatro di Marcello), si indirizza la crescita di Roma verso l’Eur e il mare, travolgendo con un flusso enorme di auto la “passeggiata archeologica” concepita ai primi del Novecento fra il Palatino, Circo Massimo e le Terme di Caracalla. Agli occhi di Cederna, lo stradone di via dell’Impero rovescia definitivamente verso sud lo sviluppo della città. Ed è questa la prospettiva che il Progetto Fori vuole ribaltare, riproponendo l’integrità dell’area archeologica centrale e interrompendo la morsa di traffico che l’avvolge.
Ma intanto il Progetto Fori sta subendo una consunzione lenta. Viene lasciato cadere. Prima è sistemato nell’orizzonte lontano delle utopie, alle quali si immagina di giungere con la velocità burocratica delle mediazioni al ribasso. Poi sparisce dall’orizzonte politico della città. Restano alcuni concreti risultati, come l’eliminazione di via della Consolazione e la pedonalizzazione davanti al Colosseo, lo scavo nei Fori, le limitazioni al traffico. Ma è svanito l’impianto strategico.
Fra il 1985 e il 1988 la Soprintendenza pubblica due grandi volumi con il progetto che Leonardo Benevolo, Vittorio Gregotti, Ippolito Pizzetti, Guglielmo Zambrini, Claudio Podestà e Francesco Scoppola hanno messo a punto per l’area dei Fori. Così, a distanza di oltre vent’anni, Benevolo racconta quell’esperienza:
Trovammo di fronte a noi uno sbarramento di tipo culturale. Qualcuno sosteneva che in quell’area tutto fosse storico, comprese le strade novecentesche, compresa la via dei Fori Imperiali voluta dal fascismo. C’è il Colosseo, dicevano, e ci sono le sistemazioni di Antonio Muñoz. Tutte le epoche hanno la loro dignità. Tutto è uguale, tutto va ugualmente tutelato. La prima differenza fra noi e loro era che Gregotti e io eravamo due professionisti indipendenti, gli altri erano tutti insediati nelle amministrazioni, nei partiti
Il progetto viene completato in tutte le sue parti, prevede il riassetto integrale di circa 250 ettari. Immagina soluzioni alternative per il traffico. Ma ormai la politica cittadina e nazionale ha obiettivi ridimensionati. Secondo Benevolo,
È molto più facile governare senza grandi progetti e invece sminuzzando i fatti. Alla fine degli anni Ottanta – c’era non ricordo quale sindaco democristiano – fummo invitati a una grande manifestazione nella Sala delle Bandiere del Campidoglio. Gregotti e io illustrammo il progetto e ci furono gli interventi degli amministratori. Da parte del Comune fu un’idea geniale. Poco dopo capimmo che era una trappola: con grandi cerimonie e onori si siglava l’atto conclusivo del lavoro, che poi sarebbe stato chiuso in un cassetto. Successivamente, sia per Rutelli che per Veltroni, quel progetto è apparso come un grande impiccio: non hanno mai avuto alcun interesse a portarlo avanti. Noi pubblicammo il progetto e tutti gli studi di accompagnamento in due volumi curati dalla Soprintendenza archeologica. Di solito succede così: quando si pubblica un libro su una vicenda di pianificazione è perché questa non ha avuto nessuna attuazione. Posso dire una cosa che apparirà eccessiva? (…) Il nostro progetto era troppo bello. Fummo vittime di una selezione al rovescio, che è tipica di certa cultura e di certa politica in Italia
Una nuova fiammata d’interesse Cederna riesce a suscitarla nel 1989, quando alla Camera si fa promotore di una legge «per la riqualificazione di Roma capitale della Repubblica». L’articolato e la relazione introduttiva ripropongono in modo chiarissimo il legame fra il Progetto Fori e la realizzazione dello Sdo. Nella sua relazione Cederna recupera l’impianto complessivo di quel che andava scrivendo da decenni. Dandogli un assetto lucido e sistematico e al tempo un respiro politico e culturale all’altezza di una capitale europea e di una grande città moderna. La legge viene approvata un anno dopo, leggermente modificata. Ma resta del tutto inapplicata per entrambi gli aspetti che la qualificano, il Progetto Fori e lo Sdo. Senza che nessun’altra legge l’abbia mai smentita né un dibattito politico e culturale l’abbia dichiarata superata. A suggello di questo lento crepuscolo arriva, nel 2001, la decisione della Soprintendenza ai beni architettonici di imporre un vincolo su via dei Fori imperiali, che ora è tutelata al pari dei Fori che sovrasta