«I Giochi del 1960 furono una strepitosa occasione per gli interessi fondiari. Ancora stiamo pagando il lascito di quell’evento “sportivo”. La prima cosa da fare è spezzare le connessioni tra l’amministrazione e quelli che chiamiamo poteri forti. In romanesco, i palazzinari». Il manifesto, 11 settembre 2016
Vezio De Lucia non è solo uno dei più grandi urbanisti italiani ma è anche la memoria storica di Roma, del suo territorio, della sua trasformazione sotto gli appetiti dei potenti, della sua anima.
Cosa pensa dell’attuale giunta capitolina, crede che Virginia Raggi sia nel posto giusto?
Intanto se c’è, è meglio che resista. Credo sia presto per dare un giudizio definitivo, mi pare che la stampa si stia scatenando contro al di là del dovuto. Certo però, dato che uno degli elementi che lo caratterizzavano era l’impegno prioritario alla trasparenza, ci si sarebbe aspettati dal M5S, soprattutto a Roma, l’adesione al precetto evangelico «Sì sì, no no, il resto viene dal maligno». E invece non è così purtroppo: non vediamo prese di posizione nette e coerenti rispetto agli impegni presi prima. Questa incertezza, questa ambiguità e reticenza legittimano chi osserva che il movimento sta andando verso l’equiparazione con gli altri partiti.
Sulle Olimpiadi invece sono stati coerenti.
E me ne compiaccio, aspettiamo però di vedere gli atti formali.
Ha dei dubbi sul No a Roma 2024 da parte della sindaca?
Nessun dubbio, ma credo che siano sottoposti a pressioni inaudite. Tutta la stampa italiana, tranne poche eccezioni, continua a ritenere che ci sia spazio per un cambiamento del progetto per la candidatura, ed è una posizione sostenuta anche da sinistra. Perfino dal mio amico Paolo Berdini.
D’altronde per il no alle Olimpiadi Stefano Fassina, candidato sindaco di Sinistra Italiana, si è avvalso della sua consulenza durante la campagna elettorale. Paolo Berdini sostiene però soprattutto che si possa tentare di sfruttare l’occasione per far finanziare le opere di cui la Capitale ha bisogno. Se è così è bene, afferma l’assessore all’Urbanistica, altrimenti niente Olimpiadi. Lei non crede che in questo senso potrebbero essere trasformate in un’opportunità?
No, forse è la prima volta da decenni che non sono d’accordo con Paolo. Per esempio quando il governo Monti rifiutò la candidatura di Roma 2020, lo fece per una serie di ragioni tuttora valide. A cominciare dall’onere troppo gravoso per lo Stato, perché financo Londra ha visto raddoppiare le spese preventivate. Eppure allora la scelta di Monti fu accettata pacificamente, senza contestazioni. Vorrei che il mio amico Berdini riflettesse su questo: allora le condizioni erano molto meno gravi di oggi e Roma era una città in cui ancora non si era scoperchiato il verminaio di Mafia capitale. Da allora il livello di corruzione è peggiorato, ed è un’illusione, date le condizioni penose in cui versa l’apparato amministrativo, pensare di poter ripristinare la normalità in poco tempo, senza prima recuperare una dimensione pubblica del governo. E con le Olimpiadi c’è il rischio che il livello di corruzione aumenti.
Non basta che il progetto preveda il controllo dell’Anac e della Corte dei conti?
No, non basta perché non abbiamo il controllo pieno della struttura amministrativa, è una struttura che dopo decenni di malapolitica, soprattutto nell’urbanistica, non si può considerare disponibile per un cambio di rotta radicale.
«Un enorme no che farà tremare i Palazzi», aveva annunciato Di Battista. Ma basta questo per creare un danno ai “poteri forti” che il M5S dice di voler combattere?
No, evidentemente. Ma prendiamo le Olimpiadi del 1960, presentate oggi con una retorica infinita come un evento di riferimento. Bene, quella fu proprio una strepitosa occasione per gli interessi fondiari. Per esempio, la via Olimpica, pensata per unire il Foro italico con i nuovi impianti dell’Eur, fu una sapientissima scelta per costruire una strada che valorizzava le enormi aree di proprietà della Chiesa e degli enti religiosi. E che finì per spostare nella parte opposta della città il baricentro di espansione previsto invece ad est, secondo il piano regolatore che si stava mettendo a punto proprio in quegli anni e che venne poi adottato nel 1962.
Veltroni sostiene invece che, tra tante magagne, quell’Olimpiade ha lasciato un lascito importante alla città.
Sì, la conferma dello strapotere della rendita fondiaria: questo mi sembra il lascito più importante. E che stiamo pagando ancora.
Quali opere considera prioritarie per Roma?
Non dico una cosa nuova: Roma ha un maledetto bisogno di cose ordinarie, lo straordinario è una scorciatoia. Ridare legittimità, funzionalità e trasparenza alla pubblica amministrazione è la prima e più grande opera da compiere. E poi i trasporti, che restano un nodo drammatico sul quale dopo Walter Tocci nessuno ha più lavorato. Per quanto mi riguarda le ragioni della linea C restano tutte in piedi. Se poi cerchiamo elementi di carattere simbolico, non posso che ricordare il progetto di Petroselli – sindaco citato da Raggi nel suo discorso di insediamento – che non è la «pedonalizzazione dei Fori» ma un modello culturale che cambia il rapporto tra centro e periferia, si riappropria della memoria storica di Roma, ed è un’opera che va dal Campidoglio fino all’Appia antica e ai Castelli romani.
Alcuni di questi progetti potevano essere finanziati dai Giochi?
A parte il fatto che questo progetto ancora non c’è, e i tempi sono ristrettissimi, rifiuto la concezione delle Olimpiadi come bancomat. Credo sia assolutamente illusorio e sbagliato rifugiarsi nell’ipotesi, a mio avviso del tutto infondata, che attraverso un’occasione straordinaria, funzionale a tutt’altri obiettivi, si possano risolvere le carenze accumulate in decenni. E non solo a Roma.
Dunque secondo lei nessuna città italiana sarebbe candidabile?
Rebus sic stantibus, no.
Non è l’ammissione di fallimento di un’intera nazione?
Siamo abbastanza vicini a una condizione di fallimento. Ovviamente mi riferisco alle grandi città, quelle che potrebbero accogliere i Giochi.
Lei è fortemente contrario anche alla realizzazione del nuovo stadio, perché?
È bene ricordare che non si tratta solo dello stadio ma di un nuovo centro direzionale. Sono contrario perché è un esempio clamoroso di urbanistica contrattata, cioè quella decisa da un privato e subita dal potere pubblico. Paolo Berdini è da sempre uno dei massimi esperti di questa piaga. Ecco, la prima cosa da fare è cominciare a spezzare le connessioni implicite o esplicite, legali o illegali, tra il potere amministrativo e quelli che chiamiamo «poteri forti». In modo più romanesco, i «palazzinari».