Via Scorticabove. Raccontare lo sgombero che calpesta i diritti
Autore : Redazione
Foto S.Favorito
In Via Scorticabove il 5 luglio sono state sgomberate, senza nessun preavviso e senza nessuna colpa, 120 persone sudanesi titolari dello status di rifugiato. La comunità viveva nello stabile dal 2005 su concessione dell’Amministrazione Comunale, ma dal 2015 la cooperativa che si occupava del servizio di accoglienza aveva interrotto la gestione in seguito ai fatti di Mafia Capitale. Da allora la comunità si era autogestita, senza riuscire ad avere risposte dalle istituzioni nonostante le frequenti sollecitazioni. A più di una settimana dallo sgombero, i rifugiati sono accampati per strada con tende e sacchi a pelo e all’intera comunità non è stata proposta una soluzione abitativa alternativa adeguata alla loro condizione.
Pubblichiamo due contributi sulla vicenda: una testimonianza di Stefania Favorito, attiva sul posto in tutti questi giorni, con una richiesta finale rivolta a cittadini e istituzioni, e una una riflessione di Federico Bonadonna, antropologo che si è occupato di queste problematiche durante l’Amministrazione Veltroni (in calce l’appello della Rete dei numeri pari, diffuso il giorno dopo lo sgombero)
> vai alla LETTERA APERTA E APPELLO DELLA COMUNITA’ SUDANESE DI VIA SCORTICABOVE del 16 luglio 2018
Il razzismo che ci covava dentro
di Stefania Favorito
Via Scorticabove, ore 11. Si passa attraversando una serie di stradine sconosciute, sulla via Tiburtina, altezza S.Basilio. E’ un quartiere periferico questo, con tante storie faticose alle spalle, oggi come tanto tempo fa,di qualche splendida vita strappata allo stereotipo che vuole veder crescere da questo disagio solo ignoranza, e di tanta lotta per il riscatto sociale, per lo più del tutto ignorate dalla luce dei media quotidiani.
In mezzo alla moltitudine di piccole aziende e capannoni abbandonati, c’è un anonimo edificio giallo a due piani, finestre aperte e guardiani vestiti di nero all’entrata. Come se lo sguardo potesse essere una fotocopiatrice, rivedo una via di un’altra parte della Tiburtina, materassi, valigie in strada, occhi neri e profondi e un po’ spaventati, l’estate di Via Cupa, l’estate della prima volta al Baobab.
Sono passati sette giorni dalla mattina in cui 120 persone sono state tirate giù dal letto dalla celere senza preavviso, un’ora di tempo per mettere tutto nelle valigie e fuori, né domande né spiegazioni, così sono gli ordini, non sappiamo niente. Eppure qualcosa la Questura l’avrebbe dovuta sapere, qualcosa all’Assessore alle Politiche Sociali di Roma sarebbe dovuto arrivare all’orecchio, perché la storia di Via Scorticabove bolliva in pentola già da tre anni. Una storia come ce ne sono state tante, storie legate a Mafia Capitale e a una cooperativa “ La Casa della Solidarietà”, che ha preso in carico le 120 persone per dieci anni e a cui una volta bloccati i fondi con cui pagava la pigione al proprietario privato, ha lasciato tutti in balìa delle onde. Non era la prima volta che queste persone si trovavano in grande difficoltà: prima erano stati costretti a fuggire dalla terra di origine, il Sudan. Scappare dal regime di Al Bashir, dalle sue milizie armate, i cosiddetti “diavoli a cavallo” Janjaweed. Poi traversare mezz’Africa ed arrivare in Italia passando per la Libia. Ma loro, quelli che alla fine si erano visti riconoscere lo status di rifugiato e assegnare un posto a Via Scorticabove, ce l’avevano fatta da tanto tempo, erano riusciti a costruirsi un piccolo futuro, un lavoro dignitoso, una stanza per dormire, in quel fabbricato giallo.
Quando la cooperativa nel 2015 aveva detto loro “è finita”, non si erano persi d’animo: avevano creato una cassa comune con la quale pagavano le utenze, e sostenevano tutti quelli che arrivavano dal Darfur, dalla loro amata terra martoriata dal sangue. Erano diventati uno specchio per rispetto del prossimo, solidarietà, vicinanza e integrazione. Fino a quel giorno di una settimana fa, giorno in cui le poche certezze sono state spazzate via, gli effetti personali e i pochi ricordi di questa avventura in Italia riversati in strada e sono entrati in un nuovo incubo: dove andare? che fare?
Il giorno dello sgombero, la visita dell’Assessore alle Politiche sociali Baldassarre. Che dice loro che, sì, possono avere qualche giorno per organizzarsi e trovare un altro posto tra amici e parenti e che pertanto ha mediato con la proprietà perché fosse garantito l’uso del bagno ad orari stabiliti durante la settimana, ma esclusa la domenica. Un vigilantes grosso e tatuato un giorno dice che non li farà più entrare: scatta la difesa dei diritti e dei patti stabiliti e lui a malincuore riapre il cancello facendo passare nell’umiliazione chi deve andare in bagno passando per gli sguardi feroci (*). Ma che male hanno fatto per essere trattati in questo modo?
E la domanda è: dopo il 14 luglio, data in cui la Questura ha stabilito un ultimo limite, che cosa sarà? Un’altra Piazza Indipendenza? Nuova forza e violenza su persone inermi già stremate? Ma la comunità resta unita, legata, e non trovo le parole per descrivere la solidarietà che passa tra loro, e tutta la gratitudine che arriva nei confronti delle persone che si affacciano nella via, portando cibo, tende per ripararsi dal sole infuocato, il loro tempo e un po’ di conforto.
Negli slogan di questi aridi tempi, risuonano spesso le parole “se fossero integrati e pagassero come noi le tasse, chi direbbe niente…”, e invece no, neanche così va bene, devono tornare per strada, così saranno magari tentati di trovare modi illegali di sopravvivere , e anche loro, persone perbene, saranno costrette rientrare nel famoso stereotipo del nero= delinquente. Non riesco a darmi pace per quanto razzismo evidentemente covava dentro l’animo della gente di questa mia città, non oggi, ma già da tempo, muto e strisciante eppure così presente, pronto ad uscire non appena gli fosse stato permesso, a quante facce voltate dall’altra parte, a quanta indifferenza. Siamo pochi a supporto di quelle persone, per quello che sta succedendo, siamo solo pieni di buona volontà e tante nozioni sui diritti umani, da far rivalere sul tavolo di chi non ascolterà.
L’Assessorato alle Politiche Sociali ha detto ai rifugiati che qualche posto, qua e là, si sarebbe potuto trovare. I posti letto dei circuiti comunali di accoglienza non hanno niente di accogliente: bene che va entri alle 8, dormi, vieni sbattuto fuori alle 8 del giorno dopo. Quella comunità è cresciuta insieme, si aiutano veramente, raccontano a chi è disposto a sentire, cosa vuol dire vivere sotto un regime di sangue, cosa vuol dire ricominciare da zero…Un posto qui e un posto là, cosa resterebbe?
E viene da piangere a pensare a quanti spazi in completo abbandono appartengano al Comune, quanti beni appartengano alla Chiesa, quanti affidati alle Associazioni, Fondazioni, uffici della politica, interi appartamenti vuoti: una realtà paradossale davanti alle parole “non abbiamo nessun posto da darvi”, che arrivano come un pugno nello stomaco.
La città stanca e accaldata sembra guardare altrove: tempo di vacanze, tempo di spiaggia e riposo, non si deve pensare a niente.
Ma in quella strada di materassi e tende, ci sono due occhi di un uomo anziano che guardano sempre in basso, un uomo che non parla mai e si muove nella strada, serio e preoccupato. Oh, quant’è preoccupato quel signore, non più giovane, senza un tetto, senza nessuna certezza se non quella di sapere che ci sono i suoi fratelli. Ed io e tanti come me che sono lì con lui, in quell’insieme che hanno costruito negli anni, a dire che forse ancora tutti insieme, a spingere forte spalla a spalla, una speranza ancora c’è.
COSA FARE:
Per aiutare bisogna muoversi. Chi può venga a sostenere il presidio di strada in via Scorticabove, altri raccontino la storia a tutti i mezzi di comunicazione.
Si scriva all’Assessorato alle Politiche Sociali, alle Chiese, dicendo che la comunità DEVE rimanere unita
E poi tutto quello che viene in mente, loro hanno bisogno di noi.
Foto S.Favorito Via Scorticabove
Il comune sgombera solo d’estate: le polpette avvelenate della politica dell’occultamento del disagio sociale del Modello Roma.
5 luglio 2018Stanno sgomberando via Scortica-bove. Era un centro di accoglienza per sudanesi nato a seguito dello sgombero di un plesso abbandonato della Stazione Tiburtina (nominato Hotel Africa dai giornalisti) nell’estate del 2004. Poi è diventata un’autogestione quando nel 2013 il comune uscì dalla gestione.
Nel 2004 eravamo presenti con la Sala Operativa Sociale all’Hotel Africa. La linea era di promettere ai 150 etiopici ed eritrei l’ingresso in un centro d’accoglienza che stavamo allestendo in quelle ore, il Baobab. Ai 120 sudanesi censiti invece, si promise un centro monoetnico sulla Nomentana. E alle 50 coppie con bambini appartamenti a Roma e nell’alto Lazio del circuito del Programma nazionale asilo e dell’Ufficio speciale immigrazione.
Si disse che l’operazione sarebbe costata circa 1 milione 600 mila euro per il primo anno. «In tutto 600 nuovi posti – disse il vicecapo gabinetto del sindaco di Roma, Luca Odevaine – si tratterà di strutture che manterranno un’organizzazione autogestita, in modo da conservare gli aspetti positivi dell’esperienza di Tiburtina».
Non andò così per nessuno degli occupanti
I sudanesi, rifugiati politici scampati al genocidio del Darfur, dopo aver lottato per mesi, con presidi sotto il dipartimento politiche sociali di viale Manzoni, ottennero il primo centro monoetnico della città, quello in via Scorticabove appunto.
Quel tipo di centri rispondevano al bisogno politico dell’allora giunta Veltroni: comunicare alla stampa un’accoglienza per i “bisognosi” per tranquillizzare l’opinione pubblica ancora sensibile al tema e prendere tempo. Altri dopo Veltroni si sarebbero occupati delle polpette avvelenate che in quella fase lui stava preparando.
Ecco, questa è una di quelle polpette che capita in una fase storica delicatissima. Già nel 2004 la sensibilità sociale verso i rifugiati era bassa, non oso immaginare cosa sia adesso.
Resta il tema solito degli sgomberi (che questa volta avranno un plauso se possibile maggiore rispetto a 13 anni fa): dove andranno gli sgomberati che sopravviveranno?
Semplice: in altre occupazioni, a dimostrazione che gli sgomberi senza progetto producono solo altri sgomberi e alimentano una catena di abusi per tutti.
Foto S.Favorito Via Scorticabove
Appello alla cittadinanza e alla Sindaca di Roma per via Scorticabove della Rete dei numeri pari del 6 luglio 2018
Oggi, 6 luglio, una delegazione della comunità di rifugiati sudanesi di via Scorticabove è stata ricevuta presso il Vicariato di Roma dal vescovo ausiliario di Roma Sud e delegato della Migrantes del Lazio, Don Paolo Lojudice insieme al direttore di Migrantes di Roma. La delegazione è stata accompagnata da una rappresentanza delle realtà sociali e sindacali che da ieri si sono mobilitate al fianco della comunità ingiustamente sgomberata senza nessun preavviso e senza nessuna colpa, nonostante le 120 persone che vivevano nello stabile siano titolari dello status di rifugiato. Ci troviamo quindi, in una situazione in cui i diritti fondamentali dei titolari di protezione internazionale sono stati violati. Dopo aver passato la notte per strada con tende e sacchi a pelo, all’intera comunità non è stata proposta alcuna soluzione abitativa alternativa congrua alla loro condizione.
Chiediamo alla sindaca di Roma e all’assessorato alle politiche sociali, alla salute, alla casa e all’emergenza abitativa di trovare adeguate soluzioni seguendo le indicazioni delle Convenzioni Internazionali che tutelano i Diritti dei titolari di protezione internazionale e dall’UNHCR, le quali prevedono il pieno godimento dei diritti di cittadinanza dei rifugiati così come dei cittadini italiani. Il nostro unico obiettivo è che venga immediatamente garantita la dignità e i diritti dei 120 sudanesi che non hanno nessuna responsabilità di quanto accaduto e che sono vittime due volte: prima perché costretti a scappare dalla guerra e poi perché, invece di ricevere risposte, sono stati sgomberati ingiustamente.
Ricordiamo a tutta la cittadinanza e alle istituzioni preposte, che la comunità vive nello stabile di via Scorticabove dal 2005 su concessione dell’Amministrazione Comunale. Dal 2015 la cooperativa che si occupava del servizio di accoglienza, e che nulla ha a che vedere con la comunità sudanese, ha interrotto la gestione in seguito ai fatti di Mafia Capitale. Da quella data la comunità si è autogestita in conseguenza delle inadempienze delle autorità preposte al controllo e al governo, nonostante siano state sollecitate più volte.
Una situazione, questa, che tutta la nostra città non può e non deve accettare, in nome di quella civiltà fondata sul Diritto e sulle responsabilità, che ciascuno deve assumersi. Per questo, facciamo appello alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, ribadendo la nostra disponibilità a contribuire affinché vengano trovate soluzione condivise che garantiscano la coesione e la dignità di tutti.
(*) Vedi Roma Today 11 luglio 2018 Via Scorticabove, rifugiati ancora in strada: “Negato loro accesso a bagni e acqua” http://www.romatoday.it/attualita/rifugiati-accesso-bagni-acqua.html
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