Vietato fotografare lo spazio pubblico
Autore : Redazione
Parigi, Grande Arco de La Défense foto AMBM
AGGIORNAMENTO: Il 9 luglio l’ Aula ha deciso ad ampia maggioranza di stralciare dal testo sulla riforma del copyright l’emendamento che avrebbe rischiato di rendere illegale la condivisione di foto di edifici pubblici ed opere d’arte. In Italia però il diritto a fotografare beni culturali storici continua ad essere sottoposto ad autorizzazioni, grazie al codice Urbani (2004)
Il 9 luglio approda al Parlamento Europeo una proposta di legge che cancella la «libertà di panorama», cioè il diritto di fotografare lo spazio pubblico, che esiste in molte parti d’Europa (non in Italia, dove il codice Urbani (2004) impone autorizzazioni sui beni culturali storici): come fa notare Julia Reda, membro del Parlamento europeo, anche il caricamento privato di una fotografia di edifici pubblici su Facebook avrebbe così bisogno del consenso dell’architetto, dal momento che con il caricamento si concede a Facebook la licenza per l’uso commerciale della fotografia. Per non parlare delle conseguenze per i professionisti dell’informazione e ancheper i blogger…
Il primo aprile scorso è circolata sui social una notizia falsa ma ben confezionata: “È ufficiale: dal 2016 coltivare l’orto sarà illegale”. L’articolo cominciava così : “Purtroppo non avremmo mai voluto darvi una notizia del genere. Eppure ieri il Parlamento Europeo ha varato definitivamente una legge che definire tirannica è poco. In tutto il suolo dell’Unione Europea (e non solo), non si potranno più coltivare ortaggi “a uso proprio” “per ragioni di sicurezza alimentare”…
Chi cliccava sul link per firmare la petizione, trovava un’immagine che spiegava inequivocabilmente che si trattava di un pesce d’aprile (a lato). Questa volta invece purtroppo la notizia è seria: come spiega Nico Trinkhaus, autore di un appello che circola sul web, Salviamo la libertà di fotografare! #saveFoP, “Fino a oggi, nella maggior parte dei Paesi europei, è stato possibile scattare fotografie in luoghi pubblici e pubblicarle, grazie alla cosiddetta “Libertà di Panorama”. Quando si era in vacanza, si poteva scattare una foto dal London Eye e condividerla con i propri amici su Facebook. Se qualcuno voleva pagare per utilizzare la foto di un altro, ugualmente non c’era problema. Queste due cose stanno per cambiare e ciò potrebbe distruggere la fotografia così come la conosciamo”. “Julia Reda, membro del Parlamento europeo*, ha cercato di portare la Libertà di Panorama in tutti i Paesi dell’Unione, visto che alcuni Stati, come l’Italia e la Francia, non hanno ancora questo tipo di legge. Nella maggior parte dei Paesi, come Regno Unito, Spagna, Portogallo, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia,
la libertà di panorama nei paesi europei (in rosso dove non esiste)
Ungheria, Austria e Croazia, si è liberi di scattare, pubblicare e vendere le foto di edifici pubblici se scattate da un luogo altrettanto pubblico.L’attuale progetto europeo, promosso da un eurodeputato francese, Jean-Maria Cavada, ha capovolto la proposta. Invece di portare la Libertà di Panorama in quei pochi Paesi che ancora non hanno una legge, la eliminerebbe da quelli che già ne dispongono. Con questa misura, la fotografia di strada, di viaggio e architettonica non sarebbero più così come le conosciamo. È impossibile conoscere il nome dell’architetto di ogni edificio pubblico per chiedergli il permesso prima di pubblicare ed eventualmente vendere la foto”. Come fa notare la stessa Julia Reda: “La riduzione della libertà di panorama peraltro complicherebbe enormemente il lavoro di giornalisti, fotografi professionisti e documentaristi, le cui attività sono palesemente commerciali ma che per decenni hanno potuto fare affidamento sullo spazio pubblico come una risorsa che può essere usata liberamente da chiunque senza dover negoziare una licenza. Se lo scopo della legislazione sul diritto d’autore è di stimolare la produzione di nuova arte e informazione, questo cambiamento sarebbe chiaramente controproducente. Se alcuni artisti usano lo spazio pubblico per produrre le loro opere, la principale fonte di reddito per gli architetti certamente non è la vendita di illustrazioni dell’edificio finito. È facile vedere che l’effetto complessivo della riduzione della libertà di panorama per gli autori sarebbe negativo”. Pubblichiamo l’articolo di Beppe Severgnini, con la postilla di Eddyburg, invitando alla sottoscrizione in massa del’appello di Trinkhaus (la legge andrà in discussione il 9 luglio). Non solo vanno restringendosi sempre più gli spazi pubblici, ma addirittura si vuole privatizzare l’immagine dello spazio pubblico. Diventerà soggetto ad autorizzazione anche alzare lo sguardo sui paesaggi urbani?
AMBM annaemmebi@gmail.com
*leggi tutto l’intervento dell’eurodeputata Julia Reda, (Bonn, 30 novembre1986) politica tedesca, segretaria dei Giovani Pirati dal 2013 ed europarlamentare dal 2014 per il Partito Pirata tedesco.
Siamo nell’epoca dell’opera d’arte infinitamente riproducibile e fruibile con infiniti supporti tecnici: ha qualche senso che una squallida lobby di speculatori (e decisori analfabeti) voglia compiere l’ennesimo passo verso la privatizzazione di tutto quanto? Corriere della Sera
, 4 luglio 2015, con postilla di Eddyburg (f.b.)
Una monumentale sciocchezza. Come definire, altrimenti, la proposta di vietare la condivisione delle fotografie di celebri edifici e opere d’arte, in nome della protezione del diritto d’autore? È difficile crederci, ma di questo discuterà il Parlamento europeo il 9 luglio, in seduta plenaria. Come si è arrivati a questa delicata follia? Un’eurodeputata tedesca, Julia Reda, chiedeva che la «libertà di panorama» fosse sancita ufficialmente dalla Ue. Ma un eurodeputato francese, Jean-Maria Cavada, ha proposto un emendamento che prevede l’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore, in caso di utilizzo commerciale della riproduzione. E i tre gruppi principali (socialisti, popolari, liberali), in commissione, l’hanno sostenuto.Oggi la «libertà di panorama» esiste in molte parti d’Europa. Non in Italia, però: il codice Urbani (2004) impone autorizzazioni sui beni culturali storici. Non in Francia: fotografare la Torre Eiffel di notte pare sia vietato (informare legioni di innamorati e battaglioni di turisti giapponesi). Ma scattare una foto-ricordo sul decumano di Expo, e caricarla sul profilo Facebook? Potrebbe violare il diritto d’autore di qualche dozzina d’architetti. Per pubblicare un’immagine di Buckingham Palace su Instagram dovremo scrivere alla Regina Elisabetta? L’Europarlamento voterà solo un documento d’indirizzo. Ma come siamo finiti qui? Semplice: affrontiamo problemi nuovi con strumenti vecchi.«Riproduzione di opere d’arte» è un termine che profuma di pellicole, riviste ed enciclopedie; mentre oggi ognuno di noi viaggia con una formidabile fotocamera digitale dentro il telefono. «Utilizzo commerciale dell’immagine» presuppone qualcuno che vende e qualcuno che compra. Facebook, Google & C. non vendono e non comprano: fanno soldi su tutti e su tutto (è diverso). Il Parlamento si appresta a votare, quindi, una misura antistorica, inapplicabile e — diciamolo — ridicola. Come reagire? Semplice. Smettiamo d’andare nelle grandi capitali. Rinunciamo a visitare le città d’arte. Basta fotografie davanti ai monumenti e con lo sfondo dei grattacieli. Tempo una settimana, e verranno a chiedercelo in ginocchio. Tornate! Fotografate! Renzo Piano, Richard Rogers, Norman Foster, siete persone di buon senso: avanti, battete un colpo. Eiffel, Bernini e Vespasiano non lo possono più fare.
postillaQuante volte qualcuno fra chi legge, proprio per intricate questioni di copyright poste da un editore o da una redazione, ha per così dire tagliato la testa al toro pescando uno scatto proprio dall’hard disk, o addirittura da una bustina di plastica di vecchie stampe a colori, via scanner? Ma non è certo finita qui, perché tutto il nuovo valore d’uso sociale dello spazio pubblico, oggi, si accoppia proprio alla sua libera disponibilità virtuale anche in quanto immagine, oltre che luogo virtualmente condiviso con chi si collega a noi solo attraverso reti immateriali. Coglie benissimo il senso generale di questa stupida e autoritaria spinta lobbistica, l’Autore dell’articolo, quando parla sostanzialmente di spazio collettivo nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, totalmente ribaltata dal nuovi strumenti di comunicazione. E sbaglia di grosso chi crede davvero che il tentativo di «uniformare le normative sui diritti di immagine», come ci spiegano saccenti alcuni personaggi (e come è anche circolato sui social network in risposta alla petizione), abbia qualche senso. Certo, le vecchie normative sull’uso commerciale di alcune riproduzioni qualche senso ce l’avevano, ma non è sicuramente piallando in malafede tutto secondo quegli arcaici criteri che si vada da qualche parte. Basta pensare cosa è accaduto in tempi recentissimi alle riproduzioni di suoni, su cui si continuano a combattere battaglie analoghe, per capire che è proprio l’idea di spazio pubblico liberamente disponibile, ad essere in gioco e non certo qualche raro «diritto d’artista» profumato di lastre, acidi, inchiostri, tanto vintage quanto il cervello di chi non ha proprio colto la
posta in gioco (f.b.)